Donne d’arte, donne d’amore
Donne sapienti, donne seducenti
Donne eleganti, donne intelligenti
Donne di grazia, donne di delizia
Donne raffinate, donne ammalianti
Donne gioiose, donne piangenti
Donne malinconiche, donne esultanti
Donne velate, donne svelanti
Donne segrete, donne squillanti
Donne d’ogni mondo e d’ogni maniera
Donne sole e sole donne
Donne infinite di immensa armonia
Quanto bene sappiamo accogliere nelle nostre anime! Quante vite sappiamo di avere condiviso, quanto amore abbiamo donato!
Se riusciamo a sentire la forza che ci unisce ne riceveremo balsamo che lenisce il dolore, farmaco che cura. Non abbandoniamo la speranza: per noi ci sarà leggerezza, per noi ci sarà benevolenza, ci sarà perdono. Attingiamo al nostro sapere antico per resistere ad un oscuro e avvelenante pensiero di sopraffazione, per guarire da quel male di vivere che rende incapaci di ascolto, condannati al silenzio del bene.
È un filo lieve e delicato quello che inizia a dipanarsi, sono emozioni che ci attraversano e scaldano il cuore: entriamo nella musica come danzatrici a creare una sottile, evanescente rete luminosa nella quale cominciamo a muoverci in una sorta di invisibile disegno nel quale ciascuna trova il proprio posto.
Possiamo udire il respiro che passa dall’una all’altra e si fa ritmo condiviso, unicità nel tutto, suono nella sinfonia così che possa crearsi una sola brezza che, a tratti, si fa vento e solleva i corpi fluttuanti che si lasciano condurre a scrivere una partitura nella quale ciascuna porterà la sua nota, la sua pausa, il suo tempo così da creare una melodia.
Danziamo senza fatica, respiriamo senza paura, rese leggere dal contatto tra i nostri corpi che fluiscono come un’onda che avvolge ogni cosa. Per mano, ad occhi chiusi in una purezza di sentire, in una rassicurante fiducia, libere di essere vere, di svelare alle altre la nostra anima, di affidare loro i segreti che ci uniscono al di là della parola, in un abbraccio di morbida pienezza.
Tutto scivola via e ci coinvolge in una rinnovata comprensione, in una limpida e lieve attitudine di sentimento, una percezione di dolcezza e di abbandono che attraversa e scalda.
Anche se non entriamo più negli abiti di un tempo, anche se le rughe sono tatuate sul nostro volto come i segni indelebili di una mappa che ci aiuta a compiere il viaggio della vita, anche se lo sguardo dei nostri occhi si vela di malinconia, anche se ci serve aiuto per rinnovare i ricordi, anche se le angosce dell’esistenza ci tolgono il sorriso, se non ci è dato di ringiovanire, se la nostalgia per il tempo perduto ci fa piangere, ritroviamo la gioia dell’essere così come siamo riuscite ad essere.
La vita è una serie incessante di opportunità. Se allunghiamo la mano, se approfittiamo di ciò che ci viene incontro noi siamo in armonia con la natura essenziale delle cose e, con grazia, sappiamo portare a compimento il nostro impegno.
Nell’intimo di ognuna di noi risiede lo spirito che cavalca il cavallo del soffio, dimora nel nostro canto e attende di solcare il cielo per condurci nelle sconfinate regioni della bellezza.
All’inizio del tempo la Dea egizia Nut sorse dalle acque primordiali e il suo corpo divenne il vasto cielo:
"Poggiando le punte delle dita e dei piedi sulla terra
si inarcò nella sua bellezza cosmica,
creando la volta celeste.
Le lacrime che uscirono dai suoi occhi
divennero il Nilo.
Le stelle brillando di luce smeraldina
si disposero seguendo la forma del suo corpo,
la parola bellezza posta come un glifo
tra le sue sacre corna”.
Ci appartiene la confidenza potente e benevola con la Dea.
Ci appartiene il sapere ancestrale che è la saggezza di tutti coloro che ci hanno preceduto, prime fra tutti le Antenate che hanno lasciato le loro tracce sul cammino perché potessimo ritrovarle e farne rimedio, protezione e difesa.
È questo il valore dell’archetipo che, nella sua intima etimologia, rimanda al ‘modello’ (typos) ‘primo’ (archè), a quell’impronta che viene battuta (typtein) nella materia sia essa marmo, legno, sasso, creta o corpo così da lasciare indelebilmente impresso quel carattere. Dunque l’archetipo del Femminile è ciò a cui possiamo sempre tornare a fare riferimento per ritrovare la traccia della nostra maternalità.
Grazie alla frequentazione dell’archetipo possiamo ritrovare un aggancio potente con la ritualità, con la sacralità, tornare a sentire il legame profondo con la Terra “madre universale dalle solide radici, antenata venerabile che nutre tutto ciò che esiste”. [1]
Gli archetipi sono importanti, sono paragonabili a “impronte genetiche” che permettono non solo di capire meglio cause ed effetti, di collocare comportamenti e sentimenti all’interno di una trama sulla quale si tesse la nostra vita, ma anche di trovare forza e fiducia nell’aiuto che possiamo ricevere da queste “Divine Madri” che, tutte insieme, accompagnano il nostro cammino di esistenza.
Sono loro a dirci che in ognuna di noi c’è una dea, e anche più d’una, che ha lasciato una sua impronta nel nostro spirito nascente, come la fata madrina delle fiabe: con lei dobbiamo entrare in rapporto, imparare a conoscerla, non averne paura o soggezione ma trovare quella confidenza che sempre desideriamo con una sorella maggiore o con una madre affettuosa e saggia e dobbiamo ricordarci sempre che abbiamo una dea ad accompagnarci.
C’è un nostro segno che rivela l’appartenenza alla “stirpe” del femminile che identifica il nostro essere parte del tutto antenato, ma che, al tempo stesso, dà a ciascuna la forza creatrice per esprimersi secondo le proprie attitudini.
Sono le nostre impronte originarie quelle sulle quali dobbiamo lavorare ogni giorno così da ritrovare sempre la nostra identità.
Ci appartiene la traccia indelebile di un passato nel quale potevamo cullarci nell’abbraccio della Madre Antica, e se, rovistando tra gli abiti dismessi ancora appesi in un vecchio armadio riusciamo a sentire la nostalgia che accarezza le nostre lacrime mai piante allora possiamo ritrovare il tepore di quell’abbraccio, riprovare quella gioia morbida e dolcissima.
Ci appartiene la confidenza, quella pienezza d’amore che è disponibilità ad accogliere.
Ci appartiene il mutamento come espressione di quella ciclicità che ci congiunge mirabilmente alla potenza lunare.
Ci appartiene lo stato di sublime purezza di una spiaggia lambita dal mare sulla quale lasciamo le nostre orme mentre passeggiamo nel fresco mattino ascoltando il suono delle onde. È un bel luogo per comprendere la saggezza.
Ci appartiene il frutto della perseveranza, la forza di continuare ad accarezzare i nostri desideri anche quando sembra che nulla riesca a darci nuovo entusiasmo, quando la monotonia del quotidiano sembra allontanare i nostri sogni.
Ci appartiene il nomadismo, quello di un’intera casa caricata e scaricata dalle schiene pazienti degli animali che le donne custodiscono come nutrici, e quello del pensiero che oltrepassa gli alti muri delle prigioni domestiche, che varca i confini angusti delle case, che attraversa le spesse grate delle clausure per respirare l’aria della libertà.
Ci appartiene l’acqua scavata in pozzi profondi difesi con il coraggio appreso da mille vite che hanno attinto dalla terra, dalle sue viscere immortali.
Ci appartiene la magrezza del corpo di una madre che a fatica riesce ad allattare la propria creatura.
Ci appartiene la pelle spalmata di rossa terra impastata di grasso d’animale. Ci appartiene il coraggio di mostrare la nostra debolezza, di fare i conti con i nostri limiti e con la paura che abbiamo di non poterli superare.
Ci appartiene l’antidoto che abitua il corpo ai veleni e noi ogni giorno siamo state e siamo minacciate dal veleno della violenza, dell’indifferenza, della sopraffazione, e abbiamo imparato a sopravvivere grazie alla nostra quotidiana dose di compassione, di benevolenza, di serenità e amore.
Ci appartiene la capacità di nutrire attraverso la gentilezza, ma abbiamo anche riscoperto il grande valore della determinazione che sappiamo mettere nelle cose e della costanza che è forza d’animo, resistenza, stabilità: un grande aiuto nell’affrontare gli ostacoli. Niente cresce senza dolore nemmeno in natura. È la sofferenza che ci fa aprire altre porte in una incessante serie di opportunità. Si passa per i sentieri roventi della vita.
Ci appartiene l’arte dell’impasto e la nostra lunga abitudine all’uso del fuoco ci rende capaci e abili nella trasformazione. E se questo vale nel mischiare gli ingredienti “materiali” vale anche per la nostra abilità di trasformare la materia sottile attraverso i gesti che ci appartengono come le carezze o l’abbraccio o il dono.
Ci appartiene l’arte della trasformazione, è un nostro “segno” che possiamo utilizzare per restare diverse pur nella identità sorella: mai una torta è uguale all’altra pur con la medesima ricetta!
Ci appartiene la parola e la sua assenza, il silenzio attonito dei sacerdoti di Eleusi che, muti, stanno per sacrificare Ifigenia, vittima innocente e inerme della ragion di stato.
Ci appartiene la parola che attraversa il corpo e lo fa vibrare, lo fa pulsare come sbattuto da un gelido vento; ci appartiene il battito del cuore, la voce del sangue.
Ci appartiene la gioia di ascoltarci dialogare con la nostra interiorità, di ritrovare tracce e riannodare fili di tante vite dentro le quali ci siamo incontrate e abbiamo passato il sapere l’una all’altra.
Ci appartengono gli amuleti.
Ci apparteniamo come sante e come streghe.
Ci appartengono i giardini profumati di gelsomino nei quali starcene sedute a raccontare storie di antica sorellanza.
Ci appartiene la fierezza.
Ci appartiene la pazienza.
Ci appartiene la conchiglia che fa risuonare la lontananza.
Ci appartiene l’abilità di entrare nelle cose attraverso l’esperienza, di sentire attraverso il nostro corpo la vicinanza con quel Femminile Ancestrale che è sapienza intessuta di luce lunare, intrecciata dei profumi della terra, imbevuta dell’acqua del grande pozzo.
Ci appartiene la consapevolezza del nostro essere attraversate dalla voce dell’Antica che conosce la potenza dell’incantesimo.
Ci appartiene il canto che sale in una potente spirale armonica ad incontrare le sfere celesti
Ci appartiene la parola potente e sacra che assegna il nome alle cose. Attraverso la nostra bocca il suono dell’universo si fa parola nutrice per ogni creatura che impara la segreta lingua del cuore.
Ci appartiene la forza quieta che, pur nel vortice delle emozioni, sa accogliere il mutamento delle cose ed ascoltare le ragioni di tutte.
Ci appartiene la capacità di guardarci allo specchio senza trucco, senza finzioni accogliendo i nostri limiti, le cose di noi e, a volte, anche delle altre, che ci piacciono meno.
Le tracce che si sono impresse in noi sono segni originari, sono la forma della nostra vita: dobbiamo imparare ad accettarli, a trattarli con amorevolezza.
Ci appartiene il lungo reiterato cammino compiuto per raccogliere l’acqua che inumidisce il cuore inaridito dalle sabbie del deserto.
Ci appartiene il cibo scambiato come omaggio d’amore con una vecchia madre che torna bambina per darci il tempo di riconoscerla.
Ci appartiene l’abito battesimale, ci appartiene la veste di pizzo cucita per le nozze e ci appartiene l’abito del lutto. Ci appartiene la forza di essere autentiche.
[1] Inno omerico alla Terra, vv.1 ss.
A cura di Save the Words®