Ugo il trasformista, il manipolatore del bello, dell'utile e del superfluo. Purché appartenga alla nostra vita quotidiana. Che siano cravatte o tappeti, moto o tram, ma anche film e persino cartoni animati, l'importante è comunicare. Con il coraggio dell'esploratore, la flessibilità di un acrobata, l'ironia di un folletto, ha fatto dell'arte una protagonista dei nostri giorni, quasi in concorrenza con computer e cellulari.
Ostinato lo è molto, Ugo Nespolo, fin da quando decise di fare l'artista contro il volere dei genitori che lo avrebbero voluto un serio magistrato. Dice di essere stato influenzato dallo zio Aligi che lasciò un posto in banca per dedicarsi alle sue passioni. Ma il tempo gli ha dato ragione perché oggi è un'icona della modernità e delle avanguardie, uno dei pochi a indicare con audacia la nuova strada dell'arte e a percorrerla senza dare peso alle critiche. "Sono sempre stato insofferente all'idea canonica del pittore, intesa come un signore che soffre nel chiuso della sua stanza. I cretini di genio - come li chiamo io - che sanno solo muovere una mano, sono ormai figure antistoriche".
Non è certo il suo caso. Dalla 'polo' della Brooksfield alla maglia rosa del giro d'Italia, dagli ex libris ai cortometraggi, dalle opere pubbliche alle creazioni astratte, lui si muove con leggerezza, mettendo il naso dappertutto, come se né i soggetti, né i materiali, né le forme avessero segreti per lui. "Il mio atteggiamento è quello di un pittore collegato alla vita reale, come volevano i Futuristi, ma anche altri artisti delle avanguardie, da De Chirico a Picasso e Kandinsky. Una volta si chiamava interdisciplinarietà. Ho sempre sognato che finalmente arrivasse questa era... un po' come nel Rinascimento. Che bellezza le arti che abbracciano altre arti! E invece niente, non è successo niente. Ognuno è rimasto nel suo recinto. Io ho preferito l'eclettismo: mi piace approfondire tante espressioni artistiche perché fanno tutte parte dello stesso progetto, quello della vita".
L'ultimo volo, per il momento, Nespolo l'ha fatto sul teatro. Anzi, sull'opera lirica, soggetto classico e tradizionale per eccellenza, ma anche popolare e quindi, per lui, di grande stimolo. Il 10 e l'11 marzo al teatro Verdi di Pisa firmerà le scene e i costumi di uno dei capolavori di Rossini, L'Italiana in Algeri, per la regia di Stefano Vizioli. Dopo la prima di Pisa, l'opera si sposterà sui palcoscenici di Rovigo e Trieste, coproduttori di questa edizione che ha già il sapore dell'evento. Nespolo ci ha lavorato un anno e mezzo, mettendo insieme i colori e creando gli abiti per ognuno dei protagonisti, in modo da lasciare allo spettacolo quel carattere giocoso che in fondo lo accomuna al grande compositore pesarese. D'altronde non è la prima volta che si dedica alla lirica. Nella lunga lista della sua attività dedicata al bel canto troviamo L'elisir d'Amore di Donizetti, Madama Butterfly di Puccini, persino Veremonda, l'amazzone di Aragona, opera seicentesca di Francesco Cavalli che sembrava ormai caduta nell'oblio e che grazie a lui è tornata a colorare la scena.
Certo, la lirica viene da lontano nella vita di Ugo Nespolo. Il nonno, appassionato melomane, gli aveva regalato un volume con i libretti di tutte le opere e in gioventù lui stesso si era dedicato allo studio del pianoforte e anche al canto. Il figlio Camillo è un musicista che suona jazz, mentre la figlia, laureata in marketing internazionale alla Bocconi, si chiama Violetta. "Non è una citazione, semplicemente a me e a Giusi, mia moglie, piaceva". Eppure, c'è poco da fare, il nome evoca la Traviata. Comunque il flirt con la lirica non finirà con Rossini. "Mi piacerebbe curare le scene di un'opera di Mozart>", confida. "È un autore con cui non mi sono mai confrontato. Ma succederà. Sono sicuro che succederà".
Entrare nel suo atelier di via Susa, a Torino, è come giocare con il futuro tenendo i piedi nel passato. Centinaia di libri, manifesti e opuscoli pubblicati dalle avanguardie artistiche in vari periodi e in tutte le lingue ci accolgono all'ingresso. E' una delle tante collezioni da cui Nespolo non saprebbe mai separarsi. Una memoria storica sempre presente, quasi un omaggio a chi prima di lui ha avuto voglia di fare, di cambiare. "Perché l'artista deve essere un personaggio di cultura e sapere cosa sta facendo e perché lo fa. L'ispirazione? No, non ci credo molto in quella storia lì. La creatività è lavoro e fatica, altro che ispirazione. Io teorizzo molto me stesso perché l'artista deve essere un intellettuale. Guardate Kandinsky e Klee quanto hanno scritto...".
E poi, al piano superiore della sua 'Factory', c'è il cinema. Una piccola sala con proiettore pronto all'uso e, un po' dappertutto, oltre 600 cineprese, alcune usate da lui stesso, tutte in mostra dentro teche di vetro. È' un'altra collezione, a cui si aggiungono una grande consolle da moviola e, appese alla parete, alcuni fermi-immagine di Lucio Fontana rubate alla macchina da presa mentre recitava insieme all'altro pittore e sculture Enrico Baj. Lui, Fontana, famoso per i suoi tagli alle tele, vendute alle aste a prezzi strabilianti, è vestito da generale in un film di Nespolo, La galante avventura del cavaliere dal lieto volto, girato nel 1966-67. È uno dei frutti del suo eclettismo e della grande capacità di manipolare tutto ciò che è intorno a lui per poi tornare alla realtà con una grande risata.
D'altra parte non sarà un caso se sulla massiccia scrivania lignea di Fortunato Depero, che l'artista torinese custodisce gelosamente quale tributo al suo riconosciuto maestro, sono allineate alcune vecchie edizioni di Pinocchio, un'altra collezione di un classico che lo affascina. Forse perché lui, Nespolo, è un po' come Mangiafuoco, che riesce a far vivere un mondo di burattini, e poi ci regala anche l'abbecedario per permetterci di leggerlo. E se gli chiedete cos'è oggi l'arte, lui risponde con un'altra domanda: "che influenza ha l'arte nella nostra vita?" Poi risponde così: "Siamo in una fase in cui l'arte è un oggetto marginale, un optional. Ed è una fase irreversibile. Se chiedessimo alle persone in strada quanto conta l'arte per loro, avremmo delle sgradite sorprese. Il fatto è che il vero senso della bellezza è ormai emigrato negli oggetti d'uso. Il design di alto bordo, ad esempio, ha avuto un'evoluzione splendida e produce cose bellissime. Nell'arte è avvenuto un processo inverso, si è depauperata, è rimasta uno scheletro, interessa una nicchia di collezionisti che comprano le opere per mostrarle nei loro salotti. Più costano e più valgono. Quindi basta farle costare per farle valere. Siamo in un vicolo cieco e bisogna reagire".
Sembra strano, eppure persino uno come lui, tra gli artisti più colorati e 'sorridenti', lui che dipinge e crea divertendosi, che usa l'ironia come sottile arma di difesa, non riesce a nascondere una vena di malinconia. "Fare l'artista oggi non è un mestiere eroico, viviamo in un'inquieta solitudine, dobbiamo essere pronti all'insuccesso e alle delusioni. È vero che per un po' ho creduto nell'ironia, però in fondo è un contentino da poco". Ma chi si è liberato dai vincoli e dalle etichette non si lascia sopraffare e prosegue dritto verso il suo obiettivo. "Voglio uscire dalla mandria artistica generale, propormi come personaggio di cultura, riuscire a mettere insieme tante discipline e così inserire l'arte nella vita e non solo nei salotti buoni e nelle gallerie".
La sua Italiana in Algeri sta per andare in scena; è ormai pronto al varo il nuovo libro sui numeri firmato insieme a Piergiorgio Odifreddi; tra breve avremo l'edizione di Pinocchio che ha curato per Giunti; l'Università di Torino sta per conferirgli la laurea honoris causa in filosofia. Poi ci sarà una mostra a Ginevra, una a Canton e un'altra in Messico. I travestimenti della fantasia sono come gli esami: non finiscono mai.