L’Italia può senz'altro vantare una tradizione cantautorale ricchissima e che di fatto non ha mai conosciuto vere e proprie soste. Ma è nel corso dei ’70 che alcuni di questi autori iniziano progressivamente a staccarsi dalla consueta forma canzone e ad avvicinarsi sempre più alle nuove sonorità che animano la musica di quegli anni. E così, dalla fusione delle due componenti – da un lato l'attenzione e la cura per i testi e dall'altro la ricerca e la sperimentazione sonora – in questo periodo vedono la luce alcuni preziosi lavori che sarebbero certo impensabili altrove e in un'altra epoca. Coraggiosi, innovativi, colti, talvolta persino audaci nella loro libertà compositiva e totale mancanza di schemi, i dischi nati dal fertile incontro fra canzone d’autore e nuovi linguaggi musicali, di norma, sono soltanto tappe all’interno delle singole discografie di questi artisti, e molto spesso anche dei capolavori mai più ripetuti.
Leggermente diverso appare l’iter umano e artistico di Claudio Rocchi: carriera iniziata come bassista degli Stormy Six – coi quali nel 1969 registra il loro album di debutto Le idee di oggi per la musica di domani – e solo in seguito, dopo la separazione dal gruppo, indirizzata verso un progetto di tipo cantautorale. Già il primo album (Viaggio, 1970), il quale conteneva in vitro quegli stessi elementi costitutivi presenti sul disco successivo, metteva in evidenza gli intenti di un artista interessato sia al lato contenutistico e testuale delle sue composizioni che a quello più marcatamente sperimentale. Ad ogni modo, se pur ardito e degno di lode, questo esordio discografico rimane ancora legato a schemi compositivi più o meno ordinari, poiché tutti e undici i brani che lo compongono sono di breve durata e, se pur impreziositi da arrangiamenti raffinati e belle divagazioni strumentali (c’è Mauro Pagani al flauto), risultano comunque vincolati alla forma canzone propriamente detta. Così, sebbene preceduto da un ottimo lavoro, Volo magico n. 1 rappresenta forse un capitolo unico nel percorso musicale di Claudio Rocchi, anche perché, dopo la svolta mistica che lo porterà di lì a poco a compiere lunghi viaggi in India, gli album successivi, se pur di pregevole fattura, saranno maggiormente sbilanciati verso la contaminazione etnica e sostanzialmente lontani dagli esiti cui era approdato il disco che stiamo prendendo in esame adesso.
Il brano omonimo, con i suoi diciotto minuti e oltre, copre l’intera prima facciata del disco. È un sontuoso caleidoscopio di umori, situazioni, momenti, in un crescendo ipnotico che parte dal delicato folk psichedelico iniziale e si evolve in un mantra dal sapore esotico – con le chitarre di Alberto Camerini in bella evidenza – approdando poi, nella seconda parte del pezzo, a un più energico e articolato rock di chiara derivazione progressive, salvo poi chiudersi sulle splendide e sognanti note di un pianoforte. La seconda facciata del disco è occupata da tre soli brani: La realtà non esiste è una delicatissima canzone per piano e voce; Giusto amore è una lunga cavalcata acustica, a metà strada fra Donovan e Bob Dylan, con la malinconica voce di Claudio Rocchi sopra tutti gli altri strumenti; chiude l’album Tutto quello che ho da dire, introspettiva e onirica, leggera e tenue quasi quanto una ninna nanna, degno finale di un disco costantemente sospeso fra meditazione e digressioni strumentali.
Volo magico n. 1, se pur coerente col sogno generazionale dell’underground e perfettamente inserito nel panorama culturale del tempo, è stato un album innovativo, fonte d’ispirazione per molti altri artisti venuti dopo (qualcuno ha giustamente rilevato parecchie affinità con l’esordio di Alan Sorrenti – Aria, 1972 – e non soltanto per la presenza di un brano lungo un’intera facciata e costruito sulla sovrapposizione e l’intreccio di più stili), un’audace proposta musicale che in Italia non ha avuto precedenti, un disco che ha saputo prender le mosse da una tradizione oramai stantia e imboccare coraggiosamente un fascinoso percorso di ricerca e sperimentazione.
Un consiglio su dove e come ascoltarlo? In aperta campagna, distesi su un prato fiorito a guardare le nuvole come le marionette di Jago e Otello nel cortometraggio di Pasolini...