La fine del 2015 ha segnato un punto di svolta nella lotta al cambiamento climatico, o almeno lo ha fatto sperare. Politici provenienti da 192 paesi si sono riuniti a Parigi per il 21esimo summit annuale ospitato quell’anno nella capitale francese e hanno chiuso la sessione con un promettente accordo per contenere l’innalzamento della temperatura globale entro 1.5°C al di sopra dell’era pre-industriale.
L’anno successivo, il COP22 di Marrakech avrebbe dovuto essere il summit dell’azione, quello che concretizzava gli accordi di Parigi, invece la burocrazia ha avuto la meglio. In un clima sottotono, offuscato dalle dichiarazioni poco incoraggianti dell’allora neo-eletto presidente Trump, non si è prodotto altro che accordi procedurali.
Si è passati cosi al COP23 dello scorso autunno che non è stato più incoraggiante del precedente in quanto a concretezza e ha lasciato importanti questioni aperte, fra cui quelle di tipo finanziario, rimandate al 2018. Il lento evolversi degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici che, anche nel passato ha visto alternarsi incontri promettenti ad altri meno rassicuranti, fa riflettere sui tempi effettivamente necessari per passare dalla teoria alla pratica. Viene da domandarsi se alla fine di questa lunga attesa si raggiungeranno risultati tangibili, se la strada che si intende perseguire sia corretta o meno.
I dibattiti sul clima sono in buona parte dibattiti sull’energia. Una voce autorevole, quella di Vaclav Smil, ha espresso negli anni riflessioni molto interessanti a riguardo che meritano di essere ascoltati fra le tante voci che circolano sui medesimi temi ormai inflazionati.
Le richieste dell’agenda internazionale spingono verso una transizione a forme di energia alternative che siano inesauribili e non inquinanti ma, come evidenzia Smil, si parla di alternative perché ci si prepara al fatto che le forme di energie oggi molto in uso finiranno. Ma questo cosa significa esattamente? In realtà non si arriverà mai a finire una risorsa perché molto prima che questa sia veramente esaurita il suo costo sarà diventato così alto da renderla economicamente inutilizzabile. Il problema non è esaurire una risorsa, ma esaurire la possibilità di reperirla a prezzi contenuti.
Se si può discutere sull’uso più o meno improprio del termine “esauribile”, non si può negare la necessità di ridurre le emissioni inquinanti. Anche su questo punto, però, Smil scuote gli animi sfatando alcuni luoghi comuni quando ci ricorda che la nostra società è molto meno “green” di quanto ci piace pensare. Quali sono i costi ambientali legati alla produzione di acciaio? Sembra un controsenso se si pensa poi di utilizzarlo per realizzare nuovi avvenenti grattacieli che, magari, a seguito dell’adozione di innovative soluzioni tecniche riescono ad ottenere prestigiose certificazioni energetiche. Si dice che l’acciaio sia riciclabile al 100% e che esistano processi moderni che riducono drasticamente le emissioni di diossine e polveri sottili assai nocivi per l’ambiente e la salute dell’uomo, ma quando si conoscono i dati allarmanti riferiti all’ILVA di Taranto, ci si domanda se e in che misura le nuove soluzioni siano applicate su scala globale.
La verità, come sostiene Smil, è che i passaggi a diverse forme di energia sono molto graduali. Se si guarda il loro sviluppo si nota come i processi di cambiamento richiedano decenni. Ad esempio, l’utilizzo del carbone ha globalmente superato quello del legno intorno al 1905, ma analizzando la transizione all’interno di alcuni stati rappresentativi si passa dagli Stati Uniti intorno al 1880 alla Russia degli anni '30 seguita dalla Cina solo dopo gli anni '60 e l’India addirittura negli anni '70.
A partire dalla metà del secolo scorso, si è via via imposto il petrolio (sebbene Smil spieghi che l’uso massiccio del carbone nei primi cinquant’anni lo rendono comunque la risorsa che contraddistingue l’epoca passata) e ad oggi la presenza di combustibili fossili è ancora la realtà maggiormente rappresentativa delle risorse energetiche più largamente impiegate. La diffusione delle forme di energia rinnovabile si attesta su valori ancora molto bassi anche in virtù delle limitate performance delle soluzioni promosse.
L’intermittenza, ad esempio, rappresenta un grosso limite riscontrabile nell’utilizzo delle turbine per l’energia eolica. Si può passare da periodi con assenza di vento in cui le pale non funzionano a periodi con eccesso di vento dove la potenza delle raffiche impone la chiusura dei generatori. È pertanto necessario poter disporre di riserve di energia affinché questa sia disponibile quando se ne ha bisogno, ma questo non è sempre possibile e per dare maggiori garanzie bisogna migliorare il sistema di interconnessioni, ma probabilmente ci vorranno decenni perché questo avvenga.
Questo però non significa lasciar perdere e abbandonare i buoni propositi. L’evoluzione delle tecniche estrattive ci insegna che la nostra capacità di previsione è circoscritta alla conoscenza che abbiamo nel momento stesso in cui esprimiamo il nostro pronostico. Quando sembrava che le estrazioni a certe profondità su terraferma fossero in esaurimento, si è trovato il modo di scendere più in profondità attingendo anche dai territori sottomarini.
L’energia nella vita dell’uomo è di innegabile importanza. Proporre misure restrittive di utilizzo non è la risposta. Lo sviluppo e il progresso devono guardare avanti, verso terreni nuovi da esplorare per rendere fattibile ciò che oggi resta impossibile. La realtà delle emissioni inquinanti che è ancora massicciamente presente su scala globale potrà essere soppiantata nel corso delle prossime generazioni da forme alternative non nocive che garantiscano comunque valori di potenza e densità uguali se non migliori di quelle tutt’ora in largo uso. Solo in questo caso le forme di energia inquinanti diventeranno meno appetibili di quelle così dette “green”.