La profonda relazione mistica tra la natura umana e quella vegetale coinvolge nel mito greco una categoria di eventi metamorfici che legano l’origine di alcune specie vegetali agli umori corporei; in particolare al sangue, ma anche alle lacrime di una divinità, che nella pietosa partecipazione alla fragilità dell’uomo sono in grado di generare meraviglie botaniche. Per il pensiero magico i fluidi corporei connessi alla vita possiedono una rispondenza sul piano vegetativo: possono cioè trasformarsi cioè in linfa. Il sangue rappresenta potentemente l’impulso alla vitalità e spesso nelle vicende mitiche gioca un ruolo di medium metamorfico, specialmente quando è il tributo sacrificale di una giovane vita spezzata da una morte violenta. Dal sangue del giovane Giacinto, amato da Apollo, nacque il fiore che porta il suo nome, dal sangue nacquero il croco e il narciso: fiori che trattengono la memoria dei fatti favolosi che li hanno generati, delle passioni, delle emozioni di dèi e mortali.
Il momento dell’incontro tra il sangue e la terra è simbolicamente fecondo; conserva il segno delle antiche pratiche sacrificali e riporta ai tanti miti mediterranei che ricollegano la creazione del cosmo al sacrificio di una divinità. Il sangue è un fluido magico potente e se appartiene a una creatura straordinaria può assumere un potere distruttivo oppure salvifico. Si dice che Asclepio, il dio taumaturgo, avesse ricevuto da Atena un campione di quello che scorreva nelle vene della Gorgone Medusa, la creatura ibrida capace di pietrificare chi avesse incrociato il suo sguardo: il liquido ricavato dal lato sinistro del corpo era un veleno letale, filtro di morte e distruzione, mentre quello della parte destra possedeva forza salvifica ed era una potentissima panacea medicinale. L’ambivalenza della qualità del farmaco si manifesta nell’incontro con il potere terribile di Medusa, creatura quasi primordiale per potenza iconica: quasi una strega ante litteram, una degenerazione dell’antico archetipo femminile della natura, che ha ventre generoso e mano rapace. Nel suo nome sopravvive il riflesso adamantino che si specchia nel verbo greco médomai: “io curo”!
La relazione viscerale tra sangue e forza vitale e trasformativa è ben rappresentata nel mito di Adone, il giovane amato da Afrodite e da Persefone: due divinità di segno opposto, che si sono contese il bellissimo amante. Essere oggetto di disputa tra queste dee segna la sua storia mitica, mettendone in luce la dinamica contrastante legata ai simboli di fecondità. Nella trasposizione botanica dei significati Adone personifica l’essenza del seme: custodito per parte dell’anno nel sottosuolo che lo protegge nell’assopimento invernale, ma reclamato in primavera da Afrodite, che governa tutto ciò che germoglia e celebra la vita. Adone è, in un certo senso, servitore e paredro della dea che lo ama e protegge. È nato da Mirra, una madre in pieno processo di metamorfosi vegetale, trasformata proprio nel momento di quel parto prodigioso nella pianta che genera lacrime resinose dall’aroma sensuale e avvolgente. Adone viene alla luce nell’attimo esatto in cui il ventre materno si indurisce in corteccia, il sangue in linfa: il suo destino sarà per sempre legato a quella duplice essenza.
Sconterà l’audacia di avere amato una dea con l’offerta della sua giovinezza, ucciso dalla gelosia di Ares e da un cinghiale da lui inviato per dilaniarlo. La sua morte, compianta da Afrodite, lascerà in dono al mondo un miracolo vegetale, l’anemone, delicata ammonizione della fragilità dell’esistenza, generato dalla terra al contatto col suo sangue: la dea, abbandonandosi a un accorato lamento sul corpo straziato del suo protetto, porrà i termini della sua divinazione istituendo, di fatto, un nuovo culto. La letteratura e le fantasie narrative degli antichi avrebbero catturato con grande forza poetica la carica emotiva del lamento di Afrodite sul suo cadavere.
Adone era bellissimo anche nella morte e Afrodite vegliava il suo corpo immaginando che stesse solo dormendo. Ma il colore stava ormai abbandonando le sue labbra: le ninfe, intorno, piangevano sommessamente e perfino i monti, le querce e le correnti rimandavano un lamento mesto, che le valli facevano risuonare. La dea volle che rimanesse memoria del suo lutto e dispose che il sangue del giovane fosse mutato in fiore: solo allora avrebbe lasciato che l’amato venisse consegnato per sempre alla sua rivale Persefone, affinché lo custodisse nelle terre eterne, dove ogni cosa bella alla fine riposa. La dea allora versò del nettare odoroso sul sangue che imbeveva il terreno, e questo al solo contatto cominciò a fermentare nello stesso modo in cui nel fango si formano, sotto la pioggia, bolle iridescenti. Non era trascorsa un'ora intera, quando dal sangue spuntò un fiore dello stesso colore, simile a quello della melagrana, i cui frutti celano tanti granelli sotto la buccia duttile. Era un anemone, fiore bellissimo che però dura poco, come la giovinezza dei mortali. Fragile per troppa leggerezza, deve il suo nome al vento (in greco ànemos), e proprio il vento ne disperde i petali.
Una versione minore del mito racconta di una doppia metamorfosi vegetale, che confonde i termini delle simbologie floreali: Afrodite versa tante lacrime quante stille di sangue produce la ferita di Adone e la terra viene fecondata dai due fluidi. Ovunque spuntano fiori, e mentre il sangue genera rose, le lacrime danno vita ad altrettanti anemoni.
Il processo di metamorfosi mette in connessione dinamica due mondi, consente un libero passaggio tra dimensioni solo in apparenza estranee. Nel circuito della trasformazione la natura umana ritorna allo stato di seme lasciandosi riassorbire dalla matrice originaria dell’esistenza, e attraversando quel confine segreto l’uomo si connette alle forze più profonde dell’universo riscoprendo una primitiva solidale fratellanza. Il passaggio dallo stato umano a quello vegetale assume il valore di una ritrovata identità, un ritorno a uno stato primigenio. La trasformazione botanica non è mai casuale: serve a recuperare una primitiva nostalgia, una dimora dimenticata dell’anima, la memoria delle origini profonde. Il cambiamento di stato non ha conseguenze sulla sostanza, che rimane immutata al di là della forma.