Ha fatto bene ogni cosa…
(Vangelo di Marco 7,37)
La pietra rosseggia. La pietra dell’unzione, dell’imbalsamazione, dove il corpo viene unto di aromi prima della sepoltura. L’Unto, il Cristo, riposa sopra la sua pietra. La Roccia della salvezza ora mostra il suo corpo rigido e fermo, come una pietra. Ma il tempo è breve. Non c’è il tempo per una completa unzione. Il corpo dell’Eroe viene lavato e coperto di balsami, in fretta. La Pasqua incombe. La Pasqua è banchetto frettoloso. La Giustizia di Dio passa, velocemente. Occorre prepararsi… Il volto di Cristo sembra inciso nella pietra.
È un volto statuario, come i paesaggi del Mantegna, geologici, plastici, incisi tramite linee di vibrante energia. La postura è quella delle sculture sepolcrali di re, nobili, cavalieri, vescovi, papi. Il paragone con le foto di Che Guevara appena ricomposto dalla sua frettolosa morte non è blasfemo. Medesimo l’archetipo: il riposo del guerriero, dell’eroe. Di Colui che ha compiuto la Sua Opera e che ora riposa il sonno del giusto.
La “recita della morte” è qui duplice e unitaria. Duplice nella teatralità emozionale dei parenti e amici piangenti, da scena popolare, siciliana, greca, da prefiche, assai poco mistica. Volti caricaturali, che sembrano sfigurati già prima del pianto, estremizzati dalla congiunzione della caricaturalità fiamminga potenziata dalle fisiognomiche italiche. Duplice insieme alla differente serenità e compostezza del volto e del corpo di Cristo. Un abisso, due abissi, vicini nel dolore e nell’assenza di distanza animico-spaziale.
Le mani irrigidite dal rigor mortis sembrano gentili, aggraziate. Il volto non tradisce dramma o sofferenza ma concentrazione e serietà. Le chiome si mostrano vive, ancora agitate, come ventificate. Il petto è un arco ancora possente, come appena sospeso nell’apnea temporanea tra due respiri. Le ferite asciutte, secche, segno della donazione totale del sangue. Tutto è compiuto! Tutto rosseggia. Non solo la pietra. Anche il fondo, la sindone metallica, argentina, anch’essa tradisce toni rosseggianti, anche il corpo, e il vaso dei balsami che appena emerge dal sangue che è l’atmosfera in cui si muove la scena. Il lino è rappreso, pietrificato, non il corpo. Il Corpo è fermo nella sua morte, ma sembra irradiare ancora calore, energia, seppur immota.
Di che materia è fatto il cuscino? Un cuscino piegato dal capo del Cristo, segno di vita. Una bocca grida, già michelangiolesca. La barba si allunga in due corni, all’“israelitica”, alla Mosè, come i sommi sacerdoti. Una luce più intensa viene da destra, ma tutta la scena è illuminata di più dal calore bianco dei tessuti sepolcrali, dal candore potente dell’innocenza del corpo di Cristo. Gesù è morto ma pure vivo nella sua santità, nella sua infinita dignità. Lo dimostra anche la sua aureola, sottilissima, ventilante, metallica, radiante, calorica, così originale ed eloquente. Mai notata. Perché? Un turbine immoto, come i due corni di barba. Gesù sembra che sogni. La sua sindone è il lenzuolo di un vivo, un tessuto agitato, mosso, la coperta di uno spirito che vive, appena per un momento sospeso. Il petto sembra gonfio di aria, il ventre compresso, svuotato perché è segno della Misericordia che si è svuotata tutta… per noi, per tutti i tempi.