Il contesto museale odierno sta vivendo, da un lato, quell'instabilità propria delle istituzioni culturali complesse che vivono il dilemma di luoghi simbolici e metaforici in precario equilibrio per domande apparentemente contraddittorie tra loro (Maria Vittoria Clarelli 2010) e, dall'altro, sta assistendo a una trasformazione dell'attività curatoriale sia in termini di coinvolgimento del pubblico sia in termini di strumenti e prospettive per la narrazione artistica.
Curare, allestire, organizzare una mostra sono attività che, da sempre, hanno identificato il lavoro curatoriale ma, ad oggi, non sono più caratterizzanti ed esclusive di una professione che, invece, si liquefà se esposta a "discussioni visive interdisciplinari" che stanno sempre più prendendo piede e “che diventeranno il punto di partenza per la presentazione di progetti d’arte" (Kari Conte, 2013).
È da qui che dobbiamo partire per capire i molteplici progetti che sono nati negli ultimi tempi finalizzati alla musealizzazione della Street Art: Banksy & Co. L’arte allo stato urbano, esposizione curata da Christian Omodeo con Luca Ciancabilla e Sean Corcoran presso Palazzo Pepoli del Genus Bononiae nel corso del 2016, Cross the Streets la piattaforma culturale che getta le basi per una storicizzazione del fenomeno del Writing e della Street Art in mostra nel corso del 2017 al Macro di Roma, Urban Nation il primo museo dedicato alla Street Art inaugurato a settembre 2017 a Berlino, Maua il museo a cielo aperto dislocato su cinque quartieri milanesi inaugurato a dicembre del 2017 le cui opere sono fruibili scaricando l'app Bepart (dal nome di una delle cooperative sociali che hanno dato vita al progetto) e il Seminario interdisciplinare sullo stato della Street art europea fondato da Nice Street Art Project nella persona di Edwige Comoy Fusaro (prossima edizione aprile 2018). Questo breve elenco solo per citare alcune tra le iniziative più recenti ad impatto nazionale ed europeo.
Due quesiti posti da Nice Street Art Project che meritano una riflessione per capire lo stato della musealizzazione della street art e cosa dovremo aspettarci per il futuro: se è vero che la street art si inserisce in contesti geografici specifici e da questi contesti viene alimentata subendone influenze di carattere sociale e non solo artistico, in che modo le specificità geografiche locali si intrecciano con quelle globali? Inoltre qual è la specificità della street art europea se consideriamo il fatto che ha risentito della matrice d'oltreoceano?
Per rispondere alla prima domanda facciamo un passo indietro, precisamente al periodo storico che va dal 1820 e il 1830. Da un’analisi di Francesco Giugiaro, sembrerebbe che un certo Kyselak cominciò a taggare il proprio nome sui muri dell’Impero Austro-Ungarico, forse per una scommessa. Queste testimonianze sono ancor oggi conservate dalla soprintendenza. Giugiaro continua nella sua analisi citando, un secolo dopo, Arthur Malcom Stace, meglio conosciuto come Mr. Eternity, che ha ricoperto le mura di Sidney con la parola Eternity.
Sono gli anni della New York incubatrice inconsapevole del graffitismo prima e della street art dopo, sono gli anni delle avanguardie europee, del Chicano Mural Movement, dei monikers. Sono gli anni delle sperimentazioni artistiche, visive e museali che sfociano in una prima e preziosa testimonianza: The Faith of Graffiti il libro pubblicato nel 1974, che raccoglie una serie di saggi scritti da Norman Mailer e fotografie di Jon Naar. Motivazioni politiche, ecologico-ambientali, bisogno di affermare la propria idea come uomo o come donna, come individuo a sé rispetto alla massa: sono molteplici le cause che hanno spinto un artista o un gruppo di artisti a dedicarsi a una qualsiasi forma di arte urbana. Eppure tutte queste motivazioni possono riflettersi in concetti comuni che vanno al di là di qualsiasi barriera geografica: appartenenza, riconoscimento, libertà, bisogno, spazio urbano. Quindi, per tentare di rispondere alla prima domanda posta da Nice Street Art Project, non ci sono peculiarità geografiche locali che hanno forzatamente circoscritto una forma di arte urbana, come appunto la street art, distaccandola da altre forme di arte, al contrario si è assistito a forme di arte urbana locale che si sono evolute e propagate da uno stato all’altro degli Stati Uniti e dell’Europa mosse da una spinta evolutiva interna e da bisogni artistici ed emotivi comuni.
La seconda domanda, invece, pone l’accento sulla street art europea e la sua relazione con la corrente sviluppatasi oltreoceano. Se è vero che il graffitismo prima e la street art dopo sono il riflesso della realtà urbana americana in particolare quella newyorkese, è altresì vero che le stesse correnti riflettono una “memoria culturale legata all’Europa e ai linguaggi delle avanguardie storiche” e sono una “sintesi delle arti, parola, musica, danza, architettura, scenografia, movimento, già teorizzate da Kandinskij e Marinetti” (Bonito Oliva A.). Gli albori della street art di New York sono il fermento di una società multirazziale che, tuttavia, assorbe e viene fortemente influenzata dalla cultura europea dei primi decenni del Novecento, dallo stile impuro e informale europeo.
A metà del Novecento e soprattutto nel corso degli anni sessanta la cultura dei graffiti arriva dagli Stati Uniti in Europa sviluppandosi soprattutto in relazione a movimenti punk new wave (Spagna e Olanda) mentre si lega, nel corso degli anni Ottanta, al mondo dell’hip-hop in Inghilterra (con particolare concentrazione a Londra), Germania (Berlino) e Francia (Parigi). Negli anni novanta giunge anche in Italia. Dai primi decenni del Novecento in poi, la commistione di varie correnti artistiche dà origine a qualcosa di totalmente nuovo nel panorama delle arti visive a livello mondiale: “We started something without the slightest notion that it would get to this point. We didn’t realize the baby that we bore”. (Lee 163). Rispondo, quindi, alla seconda domanda con un’altra domanda: come sarebbe stata la street art d’oltreoceano se non ci fossero state le avanguardie europee del primo Novecento?
Nonostante la storia ci abbia mostrato, nel corso dei decenni, una certa diffidenza nei confronti della street art e, più in generale, dell’arte urbana (si veda Hegert, Radiant Children: The Construction of Graffiti Art in New York City - Rhizomes) “le porte delle gallerie si aprirono presto a quei writer che tra gli anni Settanta e Ottanta scesero a lucrativi compromessi con il mercato dell’arte scegliendo di realizzare i loro graffiti su tela per venderli a ricchi collezionisti, senza tuttavia ripudiare la pratica illegale del Writing, per lo più notturna, che rimaneva per molti l’espressione creativa più autentica” (Francesca Iannelli - Street Art e museo: museofobia o museofilia?).
Il fenomeno della musealizzazione della street art può togliere vigore, creatività, espressione e ragione d’intenti alla sua stessa natura e alla sua stessa forma d’arte? Dobbiamo continuare a pensare alla street art come a una forma d’arte incompatibile con il museo? “Il pericolo di normalizzazione di un movimento ribelle esiste” tuttavia “deve pur esser(ci) una modalità virtuosa di ripensare la musealizzazione della Street Art (…). Il museo nelle sue vesti più tradizionali ci sembra del tutto incapace di accogliere murales, spesso mastodontici, non solo per evidenti motivi di spazio ma soprattutto per motivi di senso, che spesso si dimenticano (…). Quando la Street Art viene musealizzata accade che si trasforma, volente o nolente, in un caricaturale “monumento” di se stessa, perdendo gran parte del suo potere eversivo, a meno che nel museo non vi entri per contestare dal di dentro l’autoreferenzialità che spesso attanaglia il mondo dell’arte” (Francesca Iannelli).
Sulle commissioni di muri, sulle mostre a cielo aperto e sui festival dedicati alla street art ne ha parlato recentemente C125 in un lungo articolo pubblicato su Legrandj.eu dicendo che le stesse commissioni “implicano una censura collettiva (progetto preliminare, toni politically correct che non turbino la cittadinanza, censure politiche locali) e hanno generato un nuovo tipo di street art: il muralismo (…). Bisogna quindi sperare che il muralismo non trasformi un po’ alla volta la street art in un’arte decorativa e priva di contenuti polemici”.
Alla luce di questa analisi, quello che viene qui sostenuto è un’opinione favorevole, seppur con qualche riserva, all’introduzione della street art nei musei in quanto la musealizzazione della stessa potrebbe essere occasione per combattere proprio quella precarietà e quell’instabilità nella quale versa il contesto museale odierno attirando una nuova generazione di utenti, un nuovo target di artisti e dando vita a nuove professioni che potrebbero affiancarsi agli attori tradizionali che, da sempre, detengono le redini della filiera artistico-museale. Saranno proprio questi nuovi attori a convalidare il passaggio della street art dagli spazi urbani al museo, riscrivendo una nuova narrativa della street art, un nuovo fenomeno sociologico e antropologico.