Questa mattina mi sono alzata all'alba e questa notte ho dormito pochissimo perché ho seguito lo scongelamento del cappone. È un dono che una famiglia di pazienti, fa, da diversi anni, a mia figlia Marcella e lei me lo porta congelato, avvolto in un sacchetto di plastica.
Lo scongelamento degli alimenti mi mette sempre in crisi. Mi chiedo regolarmente se saranno troppo o poco scongelati, se è meglio metterli in terrazzo così corro il rischio che rimangano congelati, oppure lasciarli sul tavolo della cucina, così corro il rischio che si scongelino troppo. So che in questo caso li getterei nell'umido della spazzatura. Ieri sera ho dato un'occhiata alla "cosa" e per essere un cappone mi è sembrato un po' troppo scuro. Da tempo devo andare dall'oculista. Alle cinque mi alzo e lo metto in terrazzo, continuo a vederlo molto scuro. Alle otto scopro che il cappone è, in realtà, una faraona; per fortuna nel frigorifero riposa anche una gallina. Ad essere sincera ho problemi a maneggiare pollame intero. Anche questa è una delle mie tante forme di vigliaccheria perché poi, raramente, ma a pezzetti non riconducibili all'animale intero, posso anche mangiarli.
Prendo grandi pentole e metto a bollire in sedi separate le due creature con sedano rapa, carote, cipolle e anche un poco di finocchio e dato che ci sono aggiungo anche un'alga wakame: la mia vocazione vegetariana prende il sopravvento e più di un brodo di carne vorrei un bel brodo di verdura con vena orientale. Eppure, con qualche variante, devo rispettare la tradizione e così tiro fuori dal frigorifero quattro vaschette di fegatini e inizio l'operazione di ricerca delle invisibili sacche di fiele. Se me ne sfugge una tutto il paté diventerebbe amaro come il fiele, appunto. Per me non ha nessun valore la rassicurazione del macellaio che mi garantisce fegatini puliti e pronti per essere cucinati. Io no, io non gli credo e con guanti e bisturi, per un'ora, pratico interventi alla ricerca del male oscuro. In un chilogrammo ci stanno un numero illimitato di fegatini.
Penso proprio che non riuscirò a fare il purè di patate ma neanche la salsa verde e la crema con le decorazioni natalizie. Niente. Non riuscirò a fare niente. Altra vocazione, questa che, per sua natura, non mi crea nessuna fatica. Ma è Natale e almeno oggi devo onorare la memoria di mia mamma e del suo pranzo anche se questo sarà solo un'ombra opaca della sua e della nostra età dell'oro. E se sempre esiste un inizio ci sarà pure anche la fine - dell'inizio. In questa circostanza - l'ultimo fegatino. Inesorabilmente, arriva anche l'ultimo e così dopo averli lavati e rilavati li rovescio in un tegame in compagnia di una generosa quantità di burro e di salvia. Abbandono il brodo e i fegatini alle metamorfosi delle alte temperature.
Finalmente arriva mia nipote Natalia che ama cucinare e quindi è mia intenzione consegnarle l'eredità di questa tradizione che a lei verrà molto meglio che a me perché possiede una mente razionale non devastata dal dubbio e dalla paura come la mia. Infatti con la sua presenza il ritmo dell'azione aumenta. Riusciamo a condurre a buon fine il purè, il paté, a passare il brodo e versarvi dentro due grandi cabaret di tortellini. Ci riesce anche l'apparecchiatura con la tovaglia rossa, il servizio di piatti e di posate buono, quello che si usa due o tre volte in un anno, i bicchieri di cristallo. Ma la crema fa i grumi. Dipende solo da me. Ho poco latte e ho messo troppa farina così ha preso l'aspetto di una polenta piuttosto solida. La consistenza e l'aspetto della crema a me viene solo quando cucino la vellutata di zucca.
Nel frattempo arrivano Valentina, Allegra, Marcella, Federico e Manlio. Dall'albero di Natale, in ordine sparso, pacchi, pacchetti, scatole, scatoline, scatoloni contenenti regali, invadono mezza stanza. Tutti gli anni diciamo: "Il prossimo Natale niente regali" e regolarmente invece si moltiplicano. La piccola Allegra ha ricevuto ieri sera i doni dei nonni paterni, questa mattina i doni veri e propri di Babbo natale e ora quelli della zia e i nostri. Nella confusione generale i regali vengono confusi e così Federico nel suo pacchetto trova creme e profumi che erano per Valentina, ad Allegra toccano i trucchi di sua sorella che però non molla per tutto il giorno, a Natalia i libri di Federico, il gran lettore. I miei invece non si trovano.
In cucina nel frattempo si sono moltiplicati piatti, tegami, fiamminghe e io mi perdo. Da questo momento, vada come vada, non sono più in grado d'intendere e di volere. Sono in completa balia degli eventi. Ma all'incirca è tutto pronto. Valentina, a parte i crostini, non mangia nulla, Federico è in dieta perenne, Marcella è un essere superiore, non stacca il filo rosso che la collega con i suoi piccoli pazienti neanche a Natale. Per lei il cibo è una questione del tutto superflua. A volte lo assaggia. Per fortuna che Manlio, Natalia e io abbiamo ancora sani appetiti. Ma siamo solo in tre e paté, tortellini, brodo, bolliti, panettoni, pandori, sono stati preparati per un esercito di dragoni che hanno cavalcato ininterrottamente per giorni e giorni senza mangiare. Infatti a fine pranzo, vado in cucina e mi pare, anzi sono sicura che la quantità di cibo sia aumentata. Mi fermo sulla soglia, tale è il caos che non si può entrare. Mi appoggio al muro o svanisco per sempre.
Sono immobile a un crocevia senza stelle che mi indichino la strada. In me c'è tutta la forza di una nostalgia che non riesco più a governare. Penso al pranzo di Natale di mia mamma: crostini, tortellini in brodo di cappone ripieno, faraone allo spiedo, contorni, crema con decorazioni in cioccolato e infine torrone, frutta secca, panettone e pandoro a seconda dei gusti. E nonostante la qualità e la varietà dei cibi in cucina regnava quell'ordine che nasce da una passione ben organizzata. Di tutto questo ben di dio mio babbo non toccava nulla, solo una minestrina condita con olio e alla sera una bistecca, o viceversa. Ecco da chi hanno "preso" le mie figlie.
Cara Natalia, se non ci pensi tu, anche una tradizione tutta rattoppata, finisce qui.