Una danzatrice non può prescindere dall’equilibrio, una donna può. Vivere da squilibrati? Chi lo vieta. Gli artisti poi, sono in vantaggio: un po’ di squilibrio se lo aspetta da loro anche il pubblico quotidiano, pronto ad ammirare, o almeno a tollerare, lunaticità, asprezze e dolcezze intermittenti.
La forza creatrice intessuta di fragilità è un possibile scherzo del talento. Certo, perché no. Il punto è che Sabrina Vitangeli, ballerina, prima ballerina, in equilibrio si trova meglio e quindi lo ha cercato anche nei salti della vita, fuori dal teatro, e nel pas de deux con il marito musicista Riccardo Cecchetti. Un tocco di “follia” ci dev’essere, confessa. Sennò come avrebbe fatto, in una carriera ultratrentennale e stellare, a essere buona e cattiva, virginale e provocante, antica e moderna, tragica e spiritosa? A morire in scena e risorgere in spaccata? A dilaniarsi le viscere, ad andare in estasi? Il suo tocco di “follia” potrebbe essere nell’anelare alla perfezione per poi fuggirne gli allori. Al momento degli applausi, per esempio, su Sabrina calava una specie di sipario interiore: “Non mi rendevo conto di quanti fossero e, comunque, mi sembrava vanaglorioso riceverli da sola e cercavo gli altri”.
È sincera, si vede lontano un miglio, educata a un senso del dovere confinante con lo spirito di sacrificio. Sincera, anche quando spiega che la bellezza se la gode solo adesso (costretta dall’evidenza, infine! n.d.r.) perché in passato non ne era molto consapevole e, in ogni modo, nelle recensioni preferiva la parola brava alla parola bella.
Romana, allieva di Franca Bartolomei, ha studiato danza senza lasciare la scuola e dopo il liceo scientifico, è entrata all’Opera di Roma. A quindici anni, al Petruzzelli di Bari, incontrò Rudolf Nureyev e nel descriverlo i suoi toni sono esclamativi: “Bellissimo, bellissimo! Ero piccola. Mi corresse le pirouettes d’attitude. Le facevo bene, ma… Non me lo scordo mai. Più tardi ho imparato da lui anche il rigore dell’allenamento, a entrare calda davvero in scena. Carismatico. A Lisbona, molto provato, pochi mesi prima di morire, danzò davanti a quattromila spettatori. All’uscita la gente si lanciava sulle nostre macchine: lui è dio e voi siete gli angeli che lo accompagnano”.
In ricordo di Nureyev, Sabrina ha ballato con Carla Fracci alla Pergola di Firenze, sua città di appagamento artistico: “Sono arrivata a Firenze, a vent’anni. Il paradiso terrestre. Al Comunale c’era la dignità: le signore delle pulizie che pulivano con cura i vetri del teatro, l’ispettrice del ballo, il mio armadietto. Il repertorio più importante di quello della Scala, per il Maggio Musicale Fiorentino i grandi coreografi venivano da tutto il mondo. Ero felice, vivevo in una sorta di ubriacatura. Mi svegliavo alle 7 con la voglia di andare a teatro. Insomma, era la dimostrazione che si poteva rimanere in Italia, dove volevo stare”.
Per una romana battezzata a San Pietro trovare la perfezione oltre le mura capitoline dà la misura di che cosa fosse all’epoca MaggioDanza, un corpo di ballo che ora non esiste più, chiuso, dopo una crudele fase di sfilacciamento, da una sovrintendenza in crisi economica e insensibile al fascino di Tersicore. Il nome MaggioDanza si deve a Eugenij Polyakov, detto Genia, sempre al fianco di Nureyev a Parigi, che negli anni Ottanta rilanciò il corpo di ballo fiorentino.
Com’era Polyakov?
Grande. La sua qualità maggiore è stata quella di creare un repertorio e un progetto a lungo termine: ha forgiato un corpo di ballo con la disciplina, il rigore, la creatività. I più importanti coreografi americani facevano coreografie per MaggioDanza. Inoltre, in seguito a un infortunio, sapeva esattamente quanto tempo dopo saresti stato di nuovo bene.
Ballare? Per quello che si può descrivere…
Al Verdi, rientrata dopo un infortunio, pensai: io sono nata per stare qui. La gioia di essere sdraiata per terra, con l’odore del legno. È “casa”, il piacere di esprimersi e sentire ogni fibra del corpo, è la scoperta di qualcosa di diverso nelle migliaia di sbarre. Le endorfine, l’adrenalina. Tutto il corpo è il tuo strumento: la danza è l’arte più massacrante. Non è uno sport perché attiene all’anima, ma non è solo sentimento: è tanta, tanta disciplina. Sai che è a termine. Godetevi il ballare, dico ai ragazzi. La libertà in palcoscenico arriva alla fine della carriera, negli ultimi anni ero meno forte, ma ho provato una gioia maggiore. Le ultime volte mi dicevo: devo affidarmi a quest’arte e nell’affidarmi ho provato una gioia molto grande. Bisogna spegnere un po’ la parte cerebrale, che è fondamentale ovviamente, e lasciar fluire l’arte nelle fibre muscolari.
Elisabetta Terabust diceva: lei ha luce. Massimo Bogiankino attraversava i dedali dei camerini per complimentarsi. Vittoria Ottolenghi scrisse di una Vitangeli giovanissima: la ragazza morbida e dolce che ha imparato ad aver grinta. Dopo un Lago dei Cigni fu detto: “Le più belle braccia dello spettacolo”. Così, per dare l’idea. Come ci si sente?
Il ballerino è tutti i giorni alla ricerca del difetto in uno specchio. Bisogna stare attenti a lasciare quando si è in forma, io ci ho tenuto moltissimo. Sì, la luce mi batteva bene sul viso, ma se la schiena non ti accompagna più nell’arabesque, il passo base di una ballerina... Ho smesso in tempo per rispetto di me stessa e del pubblico. E fino all’ultimo non ho mai mollato una lezione.
“Costretti” alla leggiadria, i ballerini giudicano anche gli altri dall’aspetto esteriore?
Ci vuole enorme volontà per non selezionare le persone in base ai canoni di perfezione fisica. D’istinto verrebbe così, ma io cerco di guardare l’anima di tutti. Negli altri cerco sempre il lato migliore. Il mio ideale è un mondo dove l’armonia regna sovrana. Ognuno deve avere i suoi spazi e combattere i suoi dèmoni, fare il suo percorso. La danza è un ottimo sistema per riuscirci.
Ballerina e madre?
Dopo la nascita di Federico ho ballato meglio. In Bella addormentata, nel ruolo più difficile che ci sia il collega Bruno Milo mi chiese: “Ma come fai a essere così calma?”. “Ho partorito - risposi -. È stare fra la vita e la morte”.
Balletti e ruoli memorabili?
La Sagra della Primavera di Neumeier, France dance, creato da William Forsythe per Sylvie Guillem. Myrtha in Giselle, Jardin aux lilas, Il lago dei cigni. Aurora in Bella Addormentata; non l’avevo mai sognata, pensavo di non avere le caratteristiche fisiche, per me una felicità inaspettata. Virgilio Sieni e tanti altri autori contemporanei. Nella danza contemporanea potevo essere più me stessa, senza rincorrere l’ideale di perfezione stilistica che richiede il balletto classico di repertorio.
Oggi Sabrina Vitangeli, sempre sorretta dalla certezza degli affetti, è maître de ballet del Balletto junior di Toscana, appena festeggiato in Bella Addormentata (coreografia di Diego Tortelli) da spettatori numerosi ed entusiasti all’Opera di Firenze, Maggio Musicale Fiorentino, il cui attuale sovrintendente Cristiano Chiarot ha “riaperto le danze”. Maître de ballet significa impegno, fatica, tournée in tutta Italia con i giovanissimi ballerini, soddisfazioni e mille altre cose ma, soprattutto una rivoluzione: “Finalmente ho dato le spalle allo specchio. Finché balli sei concentrata su di te. Poi ti giri dall’altra parte, guardi e vedi che una persona è nuda quando danza. E per correggere un aspetto tecnico bisogna andare a colpire l’anima”.