Risponde all'intervista Michele Zacaglioni dei Fred Duna.
15 anni di esperienza, 5 musicisti, al centro gli anni ‘50/’60, questo e altro è Fred Duna & The Full Optional, raccontateci l’altro…
Oramai direi anche più di 20 anni, considerato il glorioso passato della Fred G. Sanford Blues Band. Una lunga avventura di passione per il blues, nata dal primo incontro tra me e il chitarrista Riccardo Diomedi, con una non casuale assonanza alle modalità afroamericane: note scambiate in Chiesa. Fu grazie a un prete di frontiera, Don “Ciccio” Fiocco, che mise a disposizione, in un oratorio scalcinato, tra tavoli da ping-pong, un piccolo spazio attrezzato con strumenti per fare musica. In cambio ci chiedeva solo di accompagnare i più giovani in arditi accompagnamenti del suo “Zecchino d’Oro” parrocchiale. Ricordo con precisione la nostra prima esibizione, il primo pomodoro arrivato sul palco, e soprattutto una Johnny Be Goode suonata a palla in Chiesa tra simpatiche vecchine a cui si addrizzarono i capelli. Ci incontrammo lì e cominciò un sodalizio che dura ormai da allora. Non vorrei fare arditi paragoni, ma quasi come quello tra Jagger e Richards o tra Howlin’ Wolf e Hubert Sumlin. La band si arricchì di tanti compagni di avventura, che solo per motivi di sintesi non posso elencare e che ringrazio. Ma la formazione più stabile composta dai 4/5 dell’attuale band, è la stessa dal 1993, quando entrarono il bassista Daniele Ponteggia e il pianista Alessandro Deflorio. L’idea di suonare il blues nasce dall’amore per questo straordinario genere, è probabilmente la cosa che ci appassiona di più, quasi uno stile di vita, e che forse, per questo, ci viene meglio. E’ diventata la nostra seconda pelle. Abbiamo esplorato i vari stili di blues, in questi anni, ma con un’idea fissa: quella di riproporre un sound autentico, senza facili contaminazioni.
Tratti caratteriali e artistici di ciascuno di voi e come questi si mescolano insieme.
È difficile autovalutarmi: i miei estimatori dicono che ho una voce profonda, black, mi ritengo un buon armonicista, non un virtuoso, cerco un suono essenziale non eccessivo, ma espressivo. Mi ispiro nel canto a Bobby Bland, come agli shouter alla Big Joe Turner, nell’armonica acustica al sound della Louisiana come Slim Harpo o Lazy Lester e in quella elettrica a quella di Little Walter o Walter Horton, sulla scena mi piace lasciarmi andare e dare tutto, senza sconti. Riccardo Diomedi è probabilmente il chitarrista che ogni band dovrebbe avere: è una enciclopedia vivente di blues, sempre in continua ricerca e sperimentazione di suoni vintage, dal groove incredibilmente efficace e dal gusto maturo, lo reputo in grado di suonare qualsiasi stile chitarristico blues, sul palco è letteralmente un treno in corsa, non è facile reggere riff di accompagnamento e parti di solo con una concentrazione continua e una intensità tale. Di fatto non abbiamo bisogno di una seconda chitarra con lui. Daniele Ponteggia è la colonna portante della band, passa agevolmente dal contrabbasso al basso elettrico tirando fuori il meglio da un west-coast swing come da un Chicago style, ha un beat preciso e una sterminata conoscenza del linguaggio blues, insieme a Riccardo e a me siamo i tre custodi dell’ortodossia-blues, fatta anche di studio sui grandi. Daniele unisce al tutto anche le sue competenze professionali per rendere il nostro sound più avvolgente, è anche uno stimato professionista nel campo dell’ingegneria acustica.
Alessandro Deflorio è un pianista, compositore e arrangiatore dalle straordinarie qualità, è forse il più versatile di noi, anche se come noi ama la profonda essenza del blues, che è fatta di tradizione ma soprattutto di “tiro” come ama chiamarlo, quella sorta di groove immediato che esce fuori appena si mettono in mano gli strumenti. Ama alternare il pianoforte, al piano elettrico Rhodes, all’organo hammond e alla fisarmonica, è sicuramente il nostro approdo e punto di contatto quando si tratta di “stare insieme”, ha la straordinaria capacità di rendere tutto più divertente e facile, accompagnandolo a una grande professionalità ed esperienza. Tiziano Tetro è il più giovane della band e spesso è quello che ci spinge con ardore verso nuove avventure, diplomato in percussioni, è un batterista dalla profonda conoscenza e amore per la musica, ha un grande talento che mette a servizio della band, ma anche alla passione verso lo strumento, si è specializzato difatti anche nel restauro di strumenti percussivi. Vive la musica come una esperienza totalizzante, insieme a Daniele sono la sezione ritmica più esperta e competente che abbia mai avuto la fortuna di ascoltare in campo blues. Anche la sua versatilità, insieme a quella di Alessandro, spesso mitiga la nostra tendenza a essere anche troppo ortodossi, e ci consente non solo in termini di linguaggio musicale, di essere fondamentalmente pronti a elaborare un nostro sound caratteristico, fatto anche di cose non dette e immediate. Mi rimprovero di averlo quasi sempre alle spalle e potergli rivolgere solo pochi sguardi durante le esibizioni, ma è fantastico sentirlo sempre pronto. Musicalmente sappiamo che ciascuno può dare liberamente il suo apporto, senza eccessivi vincoli di fraseggio, e la profonda amicizia che ci lega, forse più del fatto che suoniamo da tanto insieme, ci consente di arrivare come una “cosa unica”,con un unico sound, senza protagonismi e nel rispetto totale del messaggio che vogliamo veicolare. Prima di tutto continuiamo a divertirci e ascoltiamo cosa fa il nostro ispirato “vicino” di band. That’s blues.
Come mai questo nome?
Nasciamo dalle “ceneri” della Fred G. Sanford Blues Band, il cui nome era ispirato da un fortunata serie televisiva americana, Sanford and Son, un rigattiere “blues”. Tra i gruppi a cui ci ispiriamo ci sono i texani Faboulous Thunderbirds, che prendono a loro volta il nome da un modello di un’auto Ford dei ‘50, la T-Birds appunto. Nel periodo in cui decidemmo di cambiare il nome io giravo con una Fiat Duna sw, e così in omaggio a Fred Sanford e con ironia alla risposta italiana alla T-Bird, decidemmo per un Fred Duna. I Full Optional vengono da sé…
Cos'è il blues per voi?
Sarebbe bello chiederlo a ciascuno di noi, forse avresti 5 differenti risposte. Per me è amore, per la vita, che con la sua forma espressiva immediata ti colpisce dritto in faccia. Ti fa ballare, muovere il piede, piangere, ridere, liberare da qualcosa che ti opprime essere coraggioso fino al limite della sfrontatezza. Come quando si è innamorati e si vuole tutto. Ma c’è un ma: o ce l’hai o non ce l’hai. Non esistono vie di mezzo. Spesso molti lo usano come un’etichetta da appiccicarsi addosso per esprimere questi concetti. Ma il blues è sopravvissuto come forma autentica proprio per la sua relativa semplicità e contestualizzazione culturale. E’ diventato un patrimonio mondiale, diremmo che forse si è globalizzato e non appartiene più allo stereotipo delle piantagioni di cotone e del moonshine whiskey. Ma se sei blues, se vivi blues, ti accorgi subito dell’inganno se qualcuno si proclama “blues”, senza aver compreso fino in fondo lo spirito autentico di questo linguaggio.
A quali eventi e con quali musicisti avete suonato?
Tra i più importanti abbiamo avuto un bellissimo riconoscimento al Festival internazionale Campli nel Blues 2005, salendo sul palco con Bob Stroger, Junior Watson, poi al Narni Black Festival, una bella e rovente performance al Trasimeno Blues Festival nel 2009 e due meravigliose collaborazioni con Lazy Lester nel 2007 e il grande chitarrista che fu di Howlin’ Wolf e Muddy Waters: Hubert Sumlin nel 2008. Direi che molto probabilmente siamo stati l’unica band italiana ad avere l’onore di condividere il palco con Hubert recentemente scomparso e ricordato in un benefit concert all’Apollo Theatre a NY da Keith Richards ed Eric Clapton. La cosa meravigliosa che ricordo è stata la perfetta intesa con lui e con Rocky Lawrence. Hubert e Lester sono stati per noi maestri.
Il vostro secondo album Got some more è stato premiato al Trasimeno Blues Festival, cosa vuol dire per voi “ottenere qualcosa in più” a livello musicale?
Crescere sempre, superarsi, andare oltre quei limiti che pensi di avere, personalmente o come band. Non fermarsi a un unico linguaggio espressivo. Tentare di essere padrone di quello che vuoi dire, consapevolmente maturare ancora l’intesa tra di noi e con il pubblico. Ora stiamo sperimentando sonorità acustiche, che ci consentono di esplorare degli spazi mai percorsi, mandolino, fisarmonica, percussioni, abbiamo forse innanzitutto l’esigenza di comunicare prima a noi stessi dove vogliamo andare. Chiudi gli occhi e vai. Il Blues è questo.
Avete inciso la colonna sonora del film Alice, che esperienza è stata?
La colonna sonora è un progetto di Alessandro Deflorio. E’ lui che ha composto l’intera colonna sonora e che ci ha in parte coinvolto per i momenti che secondo la sua interpretazione artistica la pellicola richiedeva. E’ stata un’esperienza bellissima, lavorare a una sound-track non è facile e aver guadagnato la fiducia della Warner Bros, con una proposta blues (e non solo blues) in una commedia ambientata in Italia direi che è stata una prova di coraggio, vinta. Direi che è un momento di altissima creatività, in cui si fondono tante idee insieme e dare una seconda pelle a un film, riempire quell’equilibrio necessario tra il momento narrativo visivo e parlato e la musica è difficilissimo. A onore della critica ci siamo riusciti e ci rende orgogliosi, ma soprattutto ci rende fieri di avere Alessandro nella band. E’ un musicista straordinario.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Il Blues Festival di Chicago. Un nuovo disco. Stiamo lavorando per chiuderci un paio di settimane in “ritiro spirituale” in un’abbazia in Valnerina. L’obiettivo è vivere insieme quel periodo 24 ore su 24 e dare profondità e vita alle tante idee che abbiamo.
A quali artisti vi ispirate?
In parte l'ho già detto, ma tra i vari: Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Slim Harpo, i Fabulous T-Birds, I Funky Meters, Freddie King, Magic Sam…
Che tipo di pubblico vi apprezza?
Direi che riusciamo a soddisfare bene un paio di generazioni, ci fa enormemente piacere quando vediamo qualche ragazza ballare o qualche intenditore si avvicina con curiosità a cercare di avere notizie sui blues suonati, o sulla strumentazione che usiamo. Ma soprattutto abbiamo un grande appeal per chi vuol vivere una serata “pericolosamente”. Satisfaction guaranteed.
Come è suonare in Umbria?
Non so che dirti: chiudo gli occhi e mi sento come ad Austin, Texas o come a Beale Street a Memphis.