Parte dell’enorme patrimonio custodito nei musei fiorentini ritorna di attualità grazie a ben tre mostre, inaugurate quasi contemporaneamente per ricordare l’anniversario (400 anni) della nascita di Leopoldo de’ Medici, i 500 anni della riforma Luterana e i 100 anni della Rivoluzione di ottobre in Russa.
Cardinale per forza, artista per vocazione, Leopoldo de’ Medici, intelligente, di buon gusto, curioso di arte e di scienza, ci mette a parte, con la mostra dal titolo Leopoldo de’ Medici. Principe dei collezionisti, dell’eccellenza delle sue raccolte artistiche e scientifiche. Non era un collezionista erratico, ma acquistava a tema, con sapienza, negli anni, seguendo un disegno che si era prefigurato fin dall’inizio. La sua idea di collezione, perseguita con sensibilità e tenacia, rappresentò un prototipo che aprì la strada alle collezioni medicee successive. La poetica della meraviglia, così cara al '600, pervadeva le sue sale, stracolme di oggetti, fra i quali erano numerosi quelli tratti dagli scavi che in quegli anni venivano praticati dai proprietari delle ville romane. Non si lasciò sfuggire nemmeno lo smisurato fallo di pietra di età romana, incurante della disapprovazione che un tale acquisto poteva suscitare nelle gerarchie ecclesiastiche.
Interessato ai viaggi in terre lontane, vissuti attraverso le cronistorie letterarie, Leopoldo riunì nelle sue collezioni anche rarità naturali e oggetti preziosi dall’Oriente e dai paesi del Nuovo Mondo: dalle coppe cinesi con nautili lavorati agli oggetti in lacca giapponese, alle armi indonesiane fino alla rarissima maschera in travertinite del IV-V secolo d.C. proveniente da Teotihuacan (Messico). La determinazione con cui perseguì una imponente raccolta di disegni, con l’aiuto dell’esperto Filippo Baldinucci, costituì il nucleo primigenio del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. Diede al Baldinucci l’incarico di classificare i più di 1000 disegni, di cui sono visibili alcuni esemplari bellissimi nella prima sala della mostra.
Leopoldo de’ Medici raccolse autoritratti e ritratti degli artisti, molti dei quali eseguiti per sua richiesta, per costruire, attraverso di essi, una storia dell’arte europea: una stanza intera del suo appartamento era dedicata agli autoritratti dei pittori più famosi, una collezione unica al mondo ancor oggi vanto degli Uffizi. Come aiuto al suo grande progetto collezionistico scelse uomini colti che viaggiavano e avevano pratica di commercio e accesso alle autorità diplomatiche, ma anche mercanti, religiosi, nobili che fossero in grado di individuare le opere d’arte di suo gusto: un vero e proprio esercito di collaboratori dislocati strategicamente nei luoghi più ricchi di mercato artistico. Comunque, quando l’enorme quantità di oggetti arrivava a Firenze, era sottoposta alle sue scelte e alle sue trattative sul prezzo. Concluso l’affare, Leopoldo classificava e ordinava di disporre gli acquisti secondo precisi progetti.
Vicino alla scuola galileiana, il Principe fu, insieme al fratello Ferdinando II, promotore dell’Accademia del Cimento (1657 – 1667), diretta espressione dell’atteggiamento sperimentalista che fiorì nella corte medicea pochi anni dopo la morte di Galileo Galilei. Nella collezione del Cardinale diversi erano gli strumenti astronomici, vere opere d’arte oltre che di ingegno, appartenuti al grande scienziato. Il Principe è presente in mostra con dipinti, sculture e miniature che lo raffigurano nel trascorrere del tempo, per la maggior parte è ritratto nella sua veste cardinalizia, che assunse dal 1667. All’entrata delle prestigiose sale di rappresentanza del Tesoro dei Granduchi a Palazzo Pitti, che ospitano l’esposizione, troneggia un grande quadro di Giusto Suttermans che lo mostra bambino, vestito alla polacca a cavallo di un destriero parato a festa. Una composizione così intrigante da essere l’emblema della mostra stessa.
La Riforma Luterana, avvenuta del 1517, un secolo più tardi, è trattata, ricorrendo a un’altra collezione medicea, nella mostra dal titolo I volti della Riforma: Lutero e Cranach nelle collezioni medicee, che testimonia la grande apertura mentale dei Medici anche verso le nuove tendenze teologiche e il loro interesse per la varietà culturale dell'Europa.
A Lucas Cranach il Vecchio, amico personale di Lutero e pittore di corte dell’Elettore Palatino Federico III il Saggio, si deve la maggior parte dei dipinti mostrati in questa interessante ricostruzione storica della Riforma. Cranach, pittore ufficiale della nuova corrente religiosa, creò le opere come manifesti della nuova ideologia; scelse di improntare alla massima semplicità l’iconografia ufficiale della ritrattistica dei capi del movimento, dipinse un dittico di Caterina von Bora, in coppia con il marito Lutero, ad attestare l’abolizione del celibato dei sacerdoti. Anche gli Elettori Palatini Federico III il Saggio e suo fratello Giovanni I il Costante, protagonisti della nuova Chiesa riformata, furono oggetto del programma iconografico dell’artista. L’abilità di Cranach e della sua bottega nella rappresentazione pubblica delle vicende della Riforma si può desumere anche dal dittico di Lutero e Melantone, realizzato con le due figure avvolte in talari neri identici e con identico copricapo, accostate spalla a spalla. Inizialmente grandi amici, ma in seguito in forte contrasto su singole questioni teologiche, i due massimi esponenti della teologia della Riforma avevano infatti dato adito a voci di una scissione irreparabile. L’immagine scelta aveva la funzione di comunicare, al contrario, la loro perdurante unità d’intenti.
In mostra sono esposte anche, e per la prima volta, tre serie di incisioni di immagini, a corredo dei testi sacri riformati, ad opera dello stesso Cranach: di altissima qualità, illustrano argomenti sacri come la Passione di Cristo, gli Apostoli e i Martirii degli Apostoli. Nel campo dell’incisione Cranach dovette anche misurarsi con la grandezza di Dürer, cui si ispirò creando soluzioni comunque originali: in mostra sono esposti alcuni significativi esempi di questo fruttuoso confronto fra i due maestri sul tema della penitenza di San Giovanni Crisostomo e del peccato originale.
Ejzenštejn. La rivoluzione delle immagini è il titolo della terza mostra-anniversario in corso agli Uffizi. La mostra ricorda i cento anni dalla rivoluzione socialista in Russia attraverso le opere di uno dei più grandi rivoluzionari della cultura del Novecento, di cui vengono mostrate molte opere grafiche insieme con scene di un film famosissimo, restaurato per l’anniversario - La corazzata Potemkin* - e altre tratte dalla copiosa cinematografia di Ejzenstejn, fra cui Ottobre. È emozionante vedere agli Uffizi immagini in movimento: la settima arte è messa a confronto con composizioni grafiche dello stesso autore che, di sala in sala, crescono di complessità dando l’idea dei tre stadi della cinematografia, ovvero l’inquadratura, la sequenza e il montaggio. In molti dei 72 disegni scelti dai curatori colpisce la capacità di movimento che sprigionano, attraverso l’uso della “linea matematica astratta e pura”, capace di creare figure oltremodo flessuose con un disegno di puro contorno.
In mostra viene anche messa in luce l’indubbia assonanza fra le sequenze cinematografiche del regista e quadri di grandi autori. Sullo schermo vediamo, a confronto con le scene filmiche, particolari tratti da L’Adorazione dei Magi e L’Ultima Cena di Leonardo e da La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. È rivoluzionario il cinema di Sergej, nella misura in cui racchiude l’antico e il moderno, in continua dialettica. Ritrovare il Rinascimento nella sua opera ci spinge a considerare la sua una rivoluzione capace di produrre un mutamento profondo, la rottura col passato e il sorgere del nuovo, aprendosi ad altre culture, a comprenderle e a interpretarle; sono per sempre sovvertite tutte le regole del montaggio, dell’immagine cinematografica e del suo rapporto con le arti visive. Ecco dunque una rivoluzione permanente delle immagini, più duratura di quella dell’ottobre 1917, il cui grande impulso iniziale alla cultura e alle arti si arrestò troppo presto.