Sono passati più di due anni da quel 18 agosto del 2015 e dall’orrore per un assassinio perpetrato a freddo contro un uomo inerme, munito soltanto della sua fede incrollabile nel dialogo tra uomini e culture che non aveva voluto abbandonare quel luogo antico, fatto di pietre e di reperti millenari che ricordavano e ricordano l’incontro e il dialogo costruttivo tra diversi, un incrocio tra i tanti che la storia antica ha creato e che ci mostrano ancora la loro grandezza. Un luogo dove la storia è passata con tutto il suo bagaglio fatto di eventi positivi e negativi, ma un luogo che emana quel respiro profondo che costituisce la forza di quell’umanità che crede nell’altro e nella possibilità, quasi la necessità, di incontrarsi, di comprendersi e di non combattersi in nome di credo insensati e funesti.
Palmira, oggi, dopo essere tornata per qualche tempo nelle mani degli aguzzini dell’Isis, è ora libera, se così si può dire, di mostrare quale abiezione e quale dolore e distruzione l’uomo possa provocare nella negazione del suo simile, nel perseguimento di ideologie politiche o religiose costruite soltanto per dare false e illusorie certezze ad un’umanità ridotta alla schiavitù psicologica e spirituale prima ancora che materiale.
In questi resti della città antica devastata dall’ottusità e in quelli della città moderna distrutta dalla guerra e dal fanatismo vive la memoria e lo spirito indomito di un uomo, un uomo solo, che ha voluto opporsi alla barbarie e non ha voluto abbandonare il luogo al quale aveva dedicato la sua vita personale e professionale. Quell’uomo Khaled al Asaad era stato per decenni il direttore delle antichità della città siriana, il curatore e testimone del monumentale ricordo della sua grandezza culminata all’epoca dell’impero romano. E di quel ruolo e del suo valore aveva permeato la vita dei propri figli ed amici più vicini. Una vita la sua che sarebbe normalmente rimasta conosciuta ad esperti ed archeologi e ai suoi concittadini, se il vento impetuoso della storia non lo avesse posto al centro del crocevia che ne ha fatto un eroe, una voce flebile ma immensa, quella di un uomo che ha continuato a credere nell’umanità, nella cultura, nell’amicizia e nella comprensione. E che per questo è stato ucciso senza pietà dagli empi che per un lungo tempo hanno comandato in quelle terre antiche e lontane.
È in nome di questa vita vissuta e spesa per il nobile fine della conoscenza, della cultura, del dialogo tra i popoli che a Khaled è stato intitolato l’International Archaeological Discovery Award, consegnato a Paestum, luogo dove l’archeologia ricorda un altro grande passato, e promosso dalla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, fondata e diretta da Ugo Picarelli, giunta alla sua ventesima edizione svoltasi a fine ottobre. Un’edizione centrata sui valori del dialogo interculturale, sulla conoscenza scientifica disancorata dall’ideologia e dalla strumentalizzazione e mirata soltanto al riconoscimento, all’analisi e alla comprensione di quanto l’antichità ci ha lasciato in eredità. Premio assegnato a Peter Pfälzner, coordinatore della missione archeologica e direttore del Dipartimento di Archeologia del Vicino Oriente dell’IANES Institute Ancient Near Eastern Studies dell’Università di Tubinga) per la scoperta archeologica dell’anno: la città dell’Età del Bronzo nel nord dell’Iraq situata presso il piccolo villaggio curdo di Bassetki nella regione autonoma del Kurdistan, fondata intorno al 3000 a.C.
La cultura, tramandata attraverso il patrimonio storico, artistico e monumentale lasciatoci in eredità da chi ci ha preceduto - questo il messaggio della Borsa - rappresenta l’antidoto più potente alle tensioni che attraversano il mondo civilizzato, perché è dialogo e confronto, costruisce ponti tra i popoli, azzerando le differenze nell’esaltazione delle specificità di ognuno.
Un’eredità che è patrimonio dell’umanità, ricchezza e nutrimento delle menti e dei cuori in tutto il mondo. Un’eredità per la cui fruizione occorre creare un vero e proprio codice di comportamento per il quale ognuno e tutti insieme possiamo avvicinarci, conoscere, rispettare e tramandare senza interrompere il flusso che ci rende tutti protagonisti dell’avventura umana. Accanto all’Unesco che si batte da decenni per questo fine - presente a Paestum e rappresentata dal Consigliere Speciale del Direttore Generale Mounir Bouchenaki - l’Organizzazione mondiale del turismo, l’Untwo, nella persona del Segretario Generale Taleb Rifai, promotrice e garante di un modo nuovo di guardare alle vestigia del passato facendone oggetto rispettato di un modo adeguato di viaggiare e di conoscere. Un modo che è stato testimoniato dai tre figli di Khaled intervenuti nelle giornate della Borsa insieme con Mohamad Saleh, ultimo Direttore per il Turismo di Palmira e da Moncef Ben Moussa, Direttore del Museo del Bardo di Tunisi, teatro di un altro sanguinoso attacco dei jihadisti.
Con i tre figli di Khaled al Asaad, si è tenuto un incontro centrato sulla figura del padre e del direttore delle antichità di Palmira. Per Waleed, ultimo Direttore dell’area archeologica della città siriana, il sacrificio di Khaled lo ha fatto divenire un simbolo internazionale di convivenza tra le culture. “Il suo impegno, la sua idea sin dalla fine degli studi è stato quello di far conoscere e rispettare la grandezza dei resti archeologici di Palmira, la sua città, il simbolo antico e sempre presente di un grande luogo di incontro di scambio umano, culturale ed economico nel passato”, ha osservato.
Sulla sua uccisione da parte dell’Isis, Waleed ha voluto sottolineare come la prima cosa da fare sia quella di considerare Daesh per quello che è stata ed è, un corpo estraneo sia politico che religioso e al quale non dovrebbe essere più, neppure per comodità, riservato il titolo di “stato”. Per il figlio maggiore, a sua volta sequestrato e maltrattato dai jihadisti, l’Isis è stata una creazione ad arte per distruggere i valori della religione islamica e il suo rapporto di fratellanza con le altre religioni nel Medio Oriente. Non è stata una questione di religione, ha sottolineato. La scelta di colpire Khaled al Asaad non è stata casuale bensì mirata perché personalità di statura scientifica, con una storia personale e presenza nella società sia a Palmira, sia in Siria sia a livello internazionale e la sua uccisione, per come è avvenuta è stata guidata dalla volontà di creare uno shock nell’opinione pubblica internazionale, creare terrore e reclutare consensi. Difficile dire, l’amara conclusione, chi abbia tratto vantaggio dalla sua morte, “sicuramente sono stati in molti, le sue parole, ma non sono ancora pronto, non è ancora il momento di dire chi”!
Cosa fare adesso, dinanzi alla distruzione e alla devastazione, per ricostruire, e come ricordare degnamente il sacrificio di Khaled? Per la figlia Fayrouz, archeologa come i fratelli, ricostruire il sito è importante ma soprattutto ricostruire il tessuto umano della città. “Da archeologa sono convinta che è importante che il sito venga ricostruito, anche se alcuni importanti elementi sono andati totalmente distrutti e sarà difficile se non impossibile ricomporlo come era. Per me e per i miei concittadini è più importante però pensare a ricostruire la città moderna, di cui sento profonda nostalgia, piuttosto che quella antica, perché è più necessario ricostruire il presente che fare un prototipo del passato”. È solo ricreando quella comunità in nome e a difesa della quale Khaled ha dato la vita che si potrà pensare a ridar vita e valore a quel che la furia iconoclasta ha risparmiato o non ha fatto in tempo a distruggere. Sarà questa la sua vittoria e rimarrà nella storia del futuro.
Per il terzo figlio Omar, Khaled non era soltanto un padre, ma un amico ed era “il nostro maestro. Una persona che ha amato la sua città, che continuava ad amarla e ha rifiutato di lasciarla – poteva benissimo farlo – ed è stato ucciso per questo”. “Se io lascio questa città, la mia città, chi altri potrebbe rimanere, le sue ultime parole!” “È doloroso pensare a lui – ha aggiunto Omar - e a dove si trovino i suoi resti, ma sappiamo che sono lì, nella sua città da qualche parte e non vediamo l’ora del momento in cui potremo riunirci con la nostra famiglia rimasta là e ritrovare e rendere onore a nostro padre, ai suoi resti mortali e dargli la degna sepoltura, insieme a tutti i cittadini di Palmira che lui amava e dai quali era ammirato e stimato”.
Un momento, aggiungiamo, al quale dovrà essere presente e testimone attiva l’intera umanità, attraverso i mezzi che la tecnologia permette ormai senza confini. Quando Khaled troverà sepoltura accanto ai monumenti per i quali ha dato la vita, il mondo dovrà guardare con rispetto e speranza a Palmira e a quell’uomo solo che sapeva di non essere solo ma di avere con se l’intera antichità, la cultura e l’umanità che non si sottometterà mai alla barbarie. Testimoni di questo che dovrà essere un impegno di tutti coloro che hanno vissuto l’attacco e la violenza settaria, artefici della resilienza necessaria a far fronte comune, Moncef Ben Moussa, Direttore del Museo del Bardo di Tunisi, obiettivo di un attacco terroristico il 18 marzo del 2015 in cui morirono 24 persone, tra cui 21 turisti, e Mohamad Saleh, ultimo Direttore per il Turismo di Palmira, sopravvissuto e costretto ad espatriare come milioni di persone travolte dall’onda nera del jihadismo dell’Isis.
Far sentire ai ragazzi di fare parte della loro storia, dà coscienza a una condivisione di valori che risalgono anche a millenni e che testimoniano come la propria identità sia unica, le parole di Ben Moussa. Anche ancor prima di dirigerlo, ho sempre considerato il Museo del Bardo un luogo sacro da rispettare come un monumento religioso – ha proseguito – e l’atto ignobile di due anni fa, per giunta per mano di giovani, dimostra che c’è un problema anche di coscienza del valore identitario del patrimonio culturale, una palese contraddizione con la religiosità a cui dicono di ispirarsi. L’arte non ha colori politici, né religione né confini geografici e ci fa scoprire quanto le nostre identità siano non solo diverse, ma anche molto simili”.
“Da quando l’Isis ha attaccato la mia Palmira – ha ricordato Mohamad Saleh torno ogni anno a Paestum perché so che qui lavoriamo tutti insieme non solo per progettare di restaurare i siti archeologici della Siria andati distrutti, ma soprattutto ricostruire la mentalità dei nostri giovani devastata da tanto scempio”. Una sensazione, ha soggiunto, che mi fa sentire meno solo in questo immane compito.
La parola d’ordine, dinanzi al passato, alle antichità che ci ricordano chi siamo e da dove veniamo è prima di tutto “rispetto”. Rispetto per le testimonianze, per la storia dei popoli che quelle testimonianze raccontano. Per la grande bellezza che esse esprimono e veicolano, il pensiero di Taleb Rifai, segretario generale dell’Organizzazione mondiale del turismo e neo cittadino onorario di Paestum che “per l’opera di raccordo svolta in questi venti anni con professionalità, passione e competenza”, ha consegnato al Fondatore e Direttore della Borsa, un riconoscimento speciale da parte della World Tourism Organization “in riconoscimento del contributo significativo allo sviluppo sostenibile del turismo archeologico e culturale, per la sua visione straordinaria e il suo impegno a favore del turismo e della partnership culturale nell’area Mediterranea e oltre”.
Da parte sua il direttore della Borsa Ugo Picarelli ha sottolineato come “il sostegno e il patrocinio morale delle Nazioni Unite del turismo e della cultura, Unesco e Untwo, testimoniano l’impegno della Borsa in questi lunghi venti anni. La promozione delle destinazioni turistiche archeologiche e il confronto sul dialogo interculturale fanno sì che la Borsa sia sempre più riconosciuta best practice internazionale di relazioni e opportunità”. Un valore, questo, di estrema importanza nella società contemporanea dove oggi più che mai la diplomazia culturale è non solo la politica estera dei Paesi che con responsabilità cercano di assolvere a questo compito, ma soprattutto il mezzo per trovare le soluzioni perché nel nostro pianeta ci siano soprattutto pace e serenità e affinché il turismo possa essere sempre strumento di conoscenza e di sviluppo e tramite di relazioni a favore della cooperazione culturale. “E con l’augurio che l’Italia, che ha un patrimonio ineguagliabile soprattutto per la diversità della sua offerta, possa intercettare sempre più una domanda internazionale legata al turismo culturale, l’appuntamento è al prossimo anno, alla 21esima edizione, dal 25 al 28 ottobre 2018”, ha concluso.