Visitare l’Italia, acquisire i prodotti della sua manifattura di qualità, sperimentare l’Italian way of eating, sono elementi distintivi dei quali sono in tanti e in tanti diversi angoli del mondo a subire l’attrazione.
L’obiettivo strategico irrinunciabile è dunque quello di trasformare questo interesse in un’opportunità molto concreta per il sistema-Italia nel suo complesso. Questo significa, sul fronte dell’export, lavorare per una diversificazione dei mercati di sbocco, ancora oggi troppo concentrati sull’Europa innanzitutto, e su un numero circoscritto di Paesi extraeuropei (Stati Uniti e Russia, ad esempio). Significa, sul fronte turistico, adottare un atteggiamento proattivo che non si adagi sui benefici apportati dal semplice progresso del tasso di crescita del turismo internazionale nel mondo (+75% circa negli ultimi 15 anni), ma che consideri, ad esempio, che i turisti originati nei Paesi emergenti sono cresciuti molto più di quelli delle economie avanzate (110% contro 55%). Una discontinuità che va colta, dunque, e che, canalizzata verso l’Italia, può determinare trend di crescita ben superiori a quelli attuali.
Queste opportunità però, per trasformarsi in concrete occasioni di crescita, devono legarsi a un continuo miglioramento dell’hardware e del software sia della connettività che dell’accoglienza. Non si può infatti trascurare il fatto che nell’agone del mercato turistico mondiale emergono nuovi player agguerriti e molto competitivi. Le rotte del turismo non si attivano né si presidiano senza strategie di carattere previsionale sui Paesi e sui flussi, senza infrastrutture adeguate – sotto il profilo quantitativo e qualitativo – alla domanda che ci si prefigge di intercettare, senza politiche fiscali non punitive, senza una riduzione del carico burocratico e, in generale, senza un buon presidio della variabile tempo. A quest’ultimo riguardo occorre tener conto del fatto che, se è vero che gli arrivi di turisti stranieri sono molto cresciuti negli ultimi anni, le presenze sono invece cresciute molto di meno. E soggiorni sempre più brevi, spesso di soli 2 o 3 giorni di permanenza, richiedono evidentemente una gestione celere ed efficiente di ogni aspetto logistico.
La crescita ininterrotta del traffico aereo
L’insieme delle fenomenologie descritte a livello globale hanno co-determinato una crescita costante della domanda mondiale di trasporto aereo. Ormai è noto che ogni elemento di discontinuità, tanto sul piano politico (si pensi agli attentati dell’11 settembre 2001) quanto su quello economico (la recessione mondiale innescata dalla crisi dei mutui subprime negli USA), produce effetti di stagnazione della domanda di trasporto aereo limitati nel tempo. Non a caso, le organizzazioni che forniscono studi e analisi sul settore mostrano notevole sicurezza nel fornire previsioni a lungo termine sull’evoluzione della domanda complessiva, confidando evidentemente nel suo carattere resiliente.
Non è in discussione il fatto che il traffico crescerà anche negli anni a venire e che il sistema aeroportuale italiano è destinato a gestire flussi decisamente più consistenti degli attuali. Molti si esercitano a prevederne la consistenza anche a lungo termine. Il Piano nazionale aeroporti ad esempio (un lungo iter cominciato nel 2012 e conclusosi 4 anni dopo) stima circa 250 milioni di passeggeri al 2030. Questo genere di previsioni – che possono essere anche molto sofisticate sotto il profilo metodologico – normalmente si basano sull’analisi dei trend precedenti: la scelta dell’intervallo temporale considerato finisce dunque per condizionarle. Ad esempio, se si proiettasse la crescita tenendo conto dell’andamento dalla metà degli anni ‘90 (inclusivo dunque dell’effetto booster rappresentato dal processo di liberalizzazione e dell’entrata sul mercato dei vettori low cost) avremmo proiezioni che addirittura si avvicinano, per il 2035, ai 400 milioni di passeggeri. Al momento attuale i gestori degli aeroporti italiani sono impegnati nell’attuazione di circa 4,2 miliardi di euro di investimenti, per gran parte derivanti da risorse private.
Si tratta di una partita importante volta soprattutto ad adeguare gli scali sotto il profilo della capacità di movimentazione di aeromobili e passeggeri, recuperando il gap accumulato negli anni scorsi quando agli aeroporti, considerati un monopolio naturale (al riparo dunque da qualunque competizione), sono state imposte delle regole (Legge 248/2005) volte a mitigare il loro potere verso le compagnie aeree (in particolare la compagnia di bandiera, anch’essa pubblica) e verso i viaggiatori. Questo, insieme al fatto che le risorse potevano essere ricercate esclusivamente nei bilanci dello Stato e degli enti partecipanti (sempre più esangui con la progressiva crisi della finanza pubblica centrale e locale e con le note difficoltà a impegnare le risorse esistenti) ha tolto per anni il giusto fiato agli investimenti nelle infrastrutture aeroportuali.
A tutto ciò si aggiunga, più in generale, il vulnus arrecato dai lunghissimi tempi di realizzazione di un qualsivoglia intervento infrastrutturale da parte dei soggetti pubblici. Se la media complessiva è di 4,5 anni, per quelli di una certa dimensione, ad esempio tra i 5 e i 10 milioni di euro, i tempi raddoppiano (7,7 anni). Se poi si considerano i grandi progetti, quelli che valgono più di 100 milioni di euro, allora i tempi si triplicano (14 anni e mezzo in media, dei quali solo la metà riguardano la realizzazione concreta delle opere). Le ragioni sono tante e affondano nella storia politico-amministrativa del Paese. Sicuramente gioca un ruolo la complessità delle progettazioni, spesso aggravata da esigenze di ri-progettazione determinate dalla debolezza della governance complessiva degli interventi. A ciò si deve aggiungere la farraginosità degli iter autorizzativi con il coinvolgimento e l’intervento attivo di troppi soggetti. Infine, un ulteriore elemento di freno ai tempi di realizzazione viene dai contenziosi e dai ricorsi amministrativi intentati dai più diversi soggetti, dai comitati locali di cittadini fino alle imprese escluse.
Oggi, dopo una complessa transizione, le cose sono totalmente cambiate. Il contesto è liberalizzato e vi è ampia consapevolezza che i gestori operano in un quadro altamente concorrenziale in cui la competizione è alimentata anche da altre tipologie di trasporto (dall’alta velocità ai bus low cost) e dove le compagnie aeree hanno recuperato potere decisionale e programmano le loro strategie con gradi di libertà diversi dal passato. Gli aeroporti, e non solo quelli che insistono sullo stesso bacino di utenza, sono chiamati dunque a individuare rotte interessanti, costruire partnership, condividere rischi, migliorare le infrastrutture per attrarre il traffico turistico e per accompagnarne lo sviluppo. Il fatto che soggetti privati (sia pur operanti in concessione) possano gestire gli interventi previsti dai piani infrastrutturali approvati dai regolatori offre indubbiamente molte garanzie in più sul rispetto della tempistica.
Il settore aeroportuale italiano sembra dunque aver imboccato una fase di recupero dopo il forte affanno dello scorso decennio, sotto la spinta innovatrice dell’associazione aeroportuale. La transizione che ha condotto all’assetto attuale poggia sull’azione contemporanea di alcuni soggetti gestori che stanno conferendo al sistema risorse, visione e capacità progettuale e su un’evoluzione positiva e centrale del quadro regolativo che sembra aver trovato il modo di accompagnare il settore verso una crescita equilibrata. Parliamo dei contratti di programma approvati e oggi in essere, così come gli interventi infrastrutturali in corso, lo dimostrano ampiamente. Non è un caso che, in questi ultimi anni, il decisore centrale ha tentato di delineare le direttrici fondamentali su cui fondare lo sviluppo integrato del settore aeroportuale e il suo risanamento economico-finanziario.
Il Piano nazionale aeroporti, oggetto di un DPR del 17 settembre 2015, è entrato in vigore dal 2 gennaio 2016. Si è trattato di un iter complesso, partito nel 2010 con la realizzazione, voluta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di uno studio preliminare al Piano nazionale aeroporti che è nato nel 2012. L’impostazione di base del Piano è stata progressivamente rivista, corretta, emendata dai Governi che si sono succeduti e dalle consultazioni regionali fino alla versione attuale. Le invarianti concettuali sono rimaste le stesse nel tempo, peraltro ribadite nell’ultimo allegato infrastrutture al Documento di Economia e Finanza. In sintesi, il Piano mira a creare le condizioni di uno sviluppo organico del settore nel quadro delineato dalla normativa nazionale ed europea di riferimento e in un’ottica di efficientamento e razionalizzazione della spesa.
Le direttrici su cui fondare lo sviluppo integrato del settore aeroportuale e il suo risanamento economico-finanziario sono state individuate:
nella creazione di una visione di sistema e di sviluppo della rete nazionale di trasporto nel suo complesso per renderla sostenibile e competitiva, nell’ambito dei nuovi orientamenti delle reti trans-europee di trasporto, tenendo conto della vocazione dei territori, delle potenzialità di crescita e della capacità degli aeroporti stessi ad intercettare la domanda di traffico;
nel superamento della conflittualità fra aeroporti situati a distanze minimali nell’ambito dello stesso territorio, che determina situazioni di scarso sviluppo per tutti gli scali;
nell’incentivazione alla costituzione di reti o sistemi aeroportuali per superare situazioni di inefficienza, ridurre i costi e consentire una crescita integrata degli aeroporti, con possibili specializzazioni degli stessi;
nella promozione dell’accessibilità dei territori caratterizzati da carenze di altre modalità di trasporto;
nella focalizzazione efficace degli investimenti sia in termini di capacità aeroportuale che di accessibilità agli aeroporti;
nella razionalizzazione della spesa e dei servizi in un’ottica di efficientamento degli stessi;
nella realizzazione di un disegno industriale in itinere suscettibile di un aggiornamento periodico delle politiche di Piano tese al governo del sistema aeroportuale nazionale.
Nell’ambito di tali direttrici il Piano ha individuato, in relazione a determinati bacini territoriali di riferimento, gli aeroporti di interesse nazionale (38) e tra questi quelli che rivestono particolare rilevanza strategica (12). Infine, ha attribuito il ruolo di gate internazionali agli scali di Roma Fiumicino (primario hub nazionale), Milano Malpensa e Venezia, a fronte della loro capacità di rispondere alla domanda di ampi bacini di traffico e del loro elevato grado di connettività con le destinazioni europee e internazionali. Nel complesso il Piano sembra tener conto dello storico - e in buona parte imprescindibile – carattere policentrico del sistema aeroportuale nazionale. Un sistema dunque, meno gerarchizzato di quello di altri paesi europei, che richiede inevitabilmente scelte equilibrate tra l’esigenza di “dar fiato” ai gestori che vogliono e possono crescere, mantenendo però uno sguardo alle esigenze di connettività complessive del Paese.
Certamente, è opinione diffusa sia tecnica che politica, il Piano di per sé non risolve alcune questioni cruciali a livello nazionale come la difficoltà del Paese nel far crescere i collegamenti intercontinentali o nel trovare una soluzione per i piccoli aeroporti divenuti estremamente vulnerabili alle scelte delle compagnie low cost. Quello che forse si può ribadire è che il senso della pianificazione nel campo aeroportuale non può essere lo stesso dei settori di trasporto che necessitano di infrastrutture lineari (strade o ferrovie). Questo per il semplicissimo motivo che gli scali in grado di muoversi bene sul mercato gestiranno flussi di incremento attivabili in intervalli di tempo minimi, cambiando così la geografia e la gerarchia degli scali. Si può quindi affermare che il decisore centrale deve certamente inseguire l’interesse nazionale, ma nel farlo dovrebbe incorporare una flessibilità di analisi e di programmazione che tenga conto dell’evoluzione del contesto determinato dal mercato, dalla capacità di competere e da altre caratteristiche proprie del settore industriale. Dovrebbe, inoltre, agire nella pianificazione dei collegamenti intermodali (soprattutto ferroviari) con gli aeroporti, che rimangono un elemento di debolezza nazionale sia pure con alcune situazioni in rapido miglioramento.
Tutti i dati attestano che non vi saranno negli anni futuri contrazioni della domanda di trasporto aereo né sul fronte passeggeri né relativamente al cargo. Al contrario, salvo crisi riconducibili a eventi specifici ma rapidamente riassorbibili, risulterà in costante espansione. Va considerato - questa una delle conclusioni strategiche del Rapporto Censis - che i livelli di efficienza e sviluppo del trasporto aereo (e dei servizi strettamente connessi) sono sempre stati lo specchio della situazione economica del Paese. Ciò risulta ancor più vero in una prospettiva futura. Oggi, in un mondo globalizzato, non è pensabile svincolare lo sviluppo di qualsiasi Paese da un coordinato e valido sistema aeroportuale in grado di moltiplicare di tre/quattro volte il valore aggiunto creato. A fronte di tutto ciò, si ritiene di fondamentale importanza che le istituzioni dedichino la necessaria attenzione al settore aeroportuale interpretandone lo sviluppo e incoraggiandone l’evoluzione, non solo nei termini di un necessario e inevitabile aumento della capacità di portata degli aeroporti, ma di una rinnovata e complessiva capacità di attrazione. Sugli aeroporti si gioca una partita importantissima nel mondo per intercettare il valore connesso alla crescente domanda di volo. Una domanda che per l’Italia è ai massimi livelli, ma che produrrà incrementi di reddito e occupazione solo attrezzandoci, per così dire, per “portarla a terra”.
Leggi anche la Prima parte.