Cosa sarebbe la cucina senza aromi e spezie? Immaginiamo una pasta alla carbonara senza pepe, uno spaghetto alle vongole senza prezzemolo, una zucchina in capece senza menta senza contare poi quelle ricette imperniate sull’erba aromatica come il pesto alla genovese o il risotto allo zafferano.
La fantasia gastronomica sarebbe sicuramente penalizzata se non avessimo a disposizione spezie ed erbe aromatiche e sarebbe a dir poco avvilente non poter sperimentare con loro. Quasi tutto ciò che mangiamo è in qualche modo “condito” da questi doni della natura, dalle miscele più complesse, come il curry, alla semplice caprese. I puristi dell’ingrediente potranno obiettare che per assaporare l’essenza di un cibo bisogna lasciarlo il più naturale possibile, e se questo può essere valido in alcuni casi, in altri (e sono la maggioranza) le erbe aromatiche e le spezie hanno il compito di esaltare il sapore dell’ingrediente stesso. Non si tratta quindi di contraffazione del sapore, ma, attraverso una giusta scelta dell’aroma e con il giusto equilibrio, della sua esaltazione, dove per giusto, a parte le combinazioni classiche già sperimentate, s’intende tutto ciò che nasce dall’ispirazione e che appaga il palato.
Dedichiamoci a questo tema andando alla scoperta delle erbe dimenticate, quelle d’uso meno comune e che non si riescono a reperire nei negozi, erbe di cui forse non immaginiamo neanche l’esistenza ma che è ancora possibile scovare andando a zonzo per i prati e per le campagne. E prima di iniziare una doverosa precisazione: qual è la differenza tra erbe aromatiche e spezie? In linea di massima per erba aromatica s’intende la foglia o lo stelo freschi di una pianta, mentre la spezia è una pianta (o sue parti come rizomi, bacche, cortecce, pistilli e semi) spesso essiccata e/o macinata. Un esempio: per cilanto, conosciuto anche con il nome di prezzemolo cinese, s’intende la sommità della pianta fresca, per coriandolo invece i semi secchi o polverizzati della stessa pianta. Rimaniamo però sui sentieri verdi delle campagne nostrane e andiamo alla scoperta della nepitella, dell’aneto e della santoreggia.
Chiamata anche calaminta o mentuccia, quest’erba, anche se appartiene alla specie della menta, in cucina ha un uso completamente diverso. Il nome scientifico della nepitella è calamintha nepeta, si trova in tutta Italia e si può incontrare facilmente passeggiando in campagna. I fiori presentano un colore lavanda più o meno intenso e appaiono dalla primavera avanzata fino all'autunno e sono particolarmente graditi alle api. Non solo. Difatti, oltre alle foglie piccole e pelose, in cucina si utilizzano anche le sommità fiorite, in particolare modo i germogli più teneri che vivacizzano le insalate miste. Le foglie si adattano bene alle carni, soprattutto a quelle di maiale. Per accompagnare il bollito si può preparare una salsa, da cuocere per qualche minuto, con nepitella, aglio, olio e pomodoro. Molto sfiziose sono le preparazioni con zucchine, melanzane e soprattutto con funghi porcini che esaltano quest’erbetta dal sapore fresco.
L'aneto è un'erba aromatica annuale che ricorda ad alcuni il gusto del finocchio, ad altri quelli dell'anice, del cumino o della menta, in realtà il sapore dell'aneto, piccante e deciso, è molto tipico e particolare. Le foglie sono formate da più foglioline filiformi disposte regolarmente, dal colore verde azzurro. I fiori, che appaiono verso la metà dell'estate, sono piccoli e gialli e si raccolgono in piatte infiorescenze ad ombrella. Hanno un aroma più forte di quello delle foglie ma più lieve e fresco di quello dei semi. Le foglie fresche sono tritate per insaporire minestre, patate lessate, piatti di pesce (soprattutto salmone), uova e formaggi freschi. Quelle essiccate hanno un aroma più tenue e si usano sempre a fine cottura. Il nome anethum deriva dal greco e sta probabilmente a significare che questa pianta arriva da Noto, in Sicilia. L'aneto era conosciuto già dagli antichi Egizi, che ne apprezzavano le virtù calmanti; è citato nella Bibbia come pianta pregiata tale da essere usata come moneta, per il pagamento delle tasse. I Romani ritenevano che accrescesse la forza fisica, per i gladiatori era quindi un ingrediente indispensabile da aggiungere senza parsimonia a ogni vivanda. È utilizzato anche per aromatizzare l’aceto al quale si aggiungono i semi e le foglie spezzettate. Dopo averlo portato all’ebollizione, il composto va lasciato macerare per due settimane durante le quali va agitato tutti i giorni. Filtrato e imbottigliato darà un tocco molto particolare alle insalate e alle verdure preferite.
La santoreggia appartiene alla famiglia delle labiatae, come la nepitella, la maggiorana, la melissa, le diverse varietà di menta, il basilico, l’origano, il rosmarino, la salvia e il timo. Ne esistono di due tipi, quella alpina, che ha un profumo così forte e deciso da costituire in alcune cucine un sostituto del pepe nero e la satureja hortensis. La pianta è tipica del Mediterraneo e cresce nelle zone secche e assolate, si presenta sotto forma di cespuglio la cui altezza non supera i 30 cm. con foglioline piccole e appuntite che si riempiono di fiorellini bianchi o rosei. Per un rendimento ottimale dell’aroma si raccolgono le foglie poco prima della fioritura e le infiorescenze in piena fioritura. Si essicca in luoghi ventilati e ombrosi. Nonostante la somiglianza con il timo, in cucina si adopera raramente per la carne mentre si sposa bene con le verdure e trionfa con i legumi, soprattutto con i fagioli come indica il nome tedesco bohnenkraut, letteralmente erba per fagioli. La santoreggia era ingrediente importante del garum romano, una salsa milleusi piccante, dal forte aroma, ottenuta con interiora di pesce e pesce salato che i Romani aggiungevano in particolare alle minestre, verdure e piatti a base di carne. Molto diffuso il suo utilizzo anche per la preparazione dei brusti o baldonazzi, una sorta di salsicciotto tipico del Trentino. A parte l’uso privilegiato con uova, verdure e legumi, la santoreggia accompagna bene anche i formaggi freschi come illustra questa ricetta a base di ricotta. Si mettono 250 grammi di ricotta freschissima nel frullatore con un trito d'aglio, qualche foglia di santoreggia, un cucchiaino di maggiorana tritata, un pizzico di sale e uno di paprika: si frulla il tutto fino a ottenere una crema soffice con la quale condire pasta o riso.
A voi andare in cerca di queste preziose risorse dei nostri campi e dei nostri prati, provare le ricette suggerite o, dato che la cucina è anche fantasia e creatività, sperimentarne di nuove e provando altri accostamenti.