Gravity, che sarà in tutte le sale dal 3 ottobre, è stato scelto come film di apertura per la mostra di Venezia 70. Una scelta un po' anomala (un “colossal” 3D che impone a tutti di indossare gli occhialini) ma che trova il consenso dei gestori delle sale perché la mostra valorizza la nuova frontiera tridimensionale in cui si muoverà la settima arte nel prossimo futuro.
Entusiasta anche il pubblico che adora il red carpet, perché i due divi, Sandra Bullock e George Clooney, si concedono, sorridenti e gentili, firmando tanti autografi, stringendo mani e scambiandosi anche qualche bacio sulle guance con i fan, al suono dei gridolini isterici di adolescenti ammmaliate da George, che appare molto rilassato. Dichiara infatti che quest'anno il suo ruolo è di attore (non protagonista - lo dice lui - ) e quindi si sente senza responsabilità. Gli piace un mondo il gruppo con cui ha lavorato in questo film, dal regista Alfonso Cuaron, al figlio Jonas cosceneggiatore del padre, all'amica Sandra Bullock, di cui dice “Ha fatto tutto il lavoro lei” e può quindi godersi Venezia, divertirsi e basta.
Lei, Sandy, elegante e fascinosa in un decolté rosso fiamma, si comporta così bene col pubblico che non diresti abbia una naturale ritrosia per gli eventi mondani. Estrema professionalità che dobbiamo riconoscerle anche nell'interpretazione del personaggio, la dottoressa Ryan Stone, intorno a cui si svolge Gravity. Mandata in missione ordinaria nello spazio su uno shuttle, sopravvive col solo tenente Matt Kowalsky al terribile bombardamento, imprevisto, di frammenti cosmici che distruggono lo shuttle e tutto il resto dell'equipaggio.
La tensione del vagare nello spazio dei due, legati l'uno all'altro, protetti solo dai loro scafandri e a rischio di perdersi, è stemperata dal fraseggio calmo e ironico di lui, cui fa eco quello monosillabico di lei, in crisi esistenziale, prima che di sopravvivenza: sono sotto minaccia di altri bombardamenti e non possono evitarlo perché, per rientrare sulla terra, devono trovare una postazione russa e poi una cinese. Ma lui, astronauta senza macchia e senza paura, quando si rende conto che rimanere legati porterebbe tutti e due alla morte, si distacca dalla donna perché lei, da sola, potrebbe salvarsi. E scompare, alla deriva nello spazio, accompagnando con l'ironia delle parole un addio drammatico, in una scena che evoca il fascino seducente degli spazi infiniti, dove il sole sorge dal buio assoluto. Matt fino all'ultimo la rassicura, per un ultimo regalo a lei che deve ora prendere in mano il suo destino, pur senza avere la vitalità necessaria a sopravvivere.
Da questi cenni alla trama si capisce che Gravity è tre film in uno, e cioè film d'azione, di introspezione, e fantastica nuova tecnologia 3D che filma l'assenza di gravità. Riesce a portarci in un mondo che molti di noi non visiteranno mai (mutatis mutandis, è simile alla full immersion nelle profondità degli abissi marini che si prova all'acquario di Genova in una sala a schermo circolare, dove negli abissi il respiro del subacqueo diventa il tuo, e pesci di ogni genere e dimensione ti circondano da ogni parte). Qui c'è un 3D realizzato con equilibrio, che ti trasporta nello spazio, e che non risulta eccessivamente accerchiante, seppure la scena delle meteoriti che bombardano lo shuttle e riducono in mille pezzi le sue antenne fanno sbattere gli occhi.
Il regista Cuaron e i suoi interpreti lasciano ammirati per questo duro lavoro, ma è totale il dissenso per una sua dichiarazione in conferenza stampa “Ho voluto snellire la narrativa il più possibile... ” Invece gli ha nociuto una certa ridondanza. Avesse fatto ancora qualche taglio agli incidenti spaziali e alle vicende dolorose della Ryan, avrebbe ottenuto un vero gioiellino...