Esiste, nella storia dell'arte contemporanea, una serie di casi in cui la velatura inconscia come mediazione simbolica viene a cadere del tutto finendo per determinare quella collisione dell'arte col reale che è alla base di traumi e nevrosi. Uno dei casi più esemplificativi in questo orizzonte interpretativo è rappresentato da una vasta gamma di ricerche artistiche aventi il corpo come soggetto prediletto.
In questa prospettiva, tutto ciò che ricade sotto l'inflazionata etichetta di “body art” è interpretabile come una degenerazione ulteriore del realismo psicotico e perverso dell'arte contemporanea riscontrato nelle teorie dell'informe. In questo caso il trauma patologico è dato da un reale che irrompe direttamente sulla scena artistica surclassando il simbolico. Seguendo i motivi dell'interpretazione strutturalista dell'inconscio come linguaggio postulata da Jacques Lacan, è possibile comprendere come in certe tendenze della contemporaneità il significante venga totalmente soppresso e la realtà del corpo si manifesti come puro contenuto senza alcuna mediazione simbolica della forma.
Nella contingenza del soggetto-corpo della contemporaneità si realizza la conversione dei conflitti psichici dell'isteria. Si tratta di ritorni del rimosso, ritorni del desiderio inconscio che si ripropone nella forma simbolica della sua conversione. L'isteria, assunta come forma simbolica da un certo filone dell'arte performativa del decennio 1970, manifesta questo rifiuto del corpo nelle sue forme estreme di degradazione mortificante e distruttiva. Tagliare, dipingere, bucare, trasfigurare in ogni modo il corpo costituiscono azioni che manifestano un narcisismo mortifero, l'acting out dell'orrore in cui il corpo si afferma come rifiuto, scarto e rigetto facendosi esso stesso oggetto della teoria dell'informe. La coscienza degradata e frammentaria del presente spinge il corpo tipo della body art a rifiutare la mediazione del simbolo.
I casi enumerabili in cui il comportamentismo anni '60 e '70 manifesta quest'idea mortificata del corpo sono molti. Gina Pane è una performer che declina in forme orrorifiche la reductio del corpo a pura carne. La Pane interpreta in maniera quasi liturgica le ferite auto-inflitte al fine di santificare la carne, di esporre un corpo fatto di stimmate che, in questo modo, è possibile risemantizzare e di cui è possibile riprendere coscienza conseguentemente all'atrofia a cui è stato condannato dalla società del consumo. Il caso, però, in cui si realizza l'apogeo della confusione psicotica di reale e simbolico è quello dell'Azionismo viennese e, in particolare, della celebre performance di evirazione di Rudolf Schwarzkogler. In questo caso, il concetto di castrazione, che per la psicanalisi rappresenta il principio che determina la regolazione del godimento, passa dalla sua declinazione di significante simbolico ad un'azione di autocastrazione effettiva.
Esiste, però, anche un filone diverso della body art, che invece di degradare e ferire il corpo, se ne serve per aprire delle finestre su altre realtà ed altre identità possibili. Spesso quest'azione ha conciliato la riflessione sul rapporto che gli esseri umani intrattengono con la propria immagine che è sempre un'immagine sintetica, il risultato di sovrapposizioni molteplici che determinano una sintesi ideale dell'immagine propriocettiva di ognuno di noi. È anche l'identificazione con modelli sociali o culturali di riferimento che determina la formazione della nostra immagine mentale. Casi nell'arte contemporanea che hanno indagato su questa prospettiva, oggettivandola nel tema pop dell'identificazione con gli idoli della società di massa, sono, per l'appunto, quelli di alcuni body artist come Cindy Sherman, Luigi Ontani, Yasumasa Morimura. Questo discorso conferma l'idea secondo cui la nostra immagine interna è condizionata dall'interazione coi volti altrui, a causa del fatto che la nostra identità è un'identità sociale che col mondo esterno interagisce.
Un'ulteriore modalità utilizzata dagli artisti per indagare i meandri della psiche è quella dell'autoritratto, inteso come strumento di autoanalisi, introspezione, ricerca della propria identità, ricostruzione della frammentarietà dell'io. Spesso si associano autoritratto e narcisismo, binomio che suggerisce l'idea di un autoritratto dettato dall'esibizionismo insito nell'autocompiacimento del sé, del vedere la propria immagine diffondersi e riprodursi, ma ciò spesso non accade per gli artisti. Freud ha, però, parlato del narcisismo come del bisogno di osservare e contemplare il proprio corpo, bisogno che nell'autoritratto trova un veicolo efficace: attraverso la riproduzione dell'immagine si dà consistenza a questa sensazione. Un esempio a tal proposito giunge dall'opera di Frida Khalo. Frida iniziò a dipingere dopo un grave incidente ritrovando nell'autoritratto, simbolico o meno, una via di riparazione e di elaborazione del trauma. Per tutta la vita Frida ha riprodotto proiezioni figurative dei propri tormenti e spesso ha rappresentato la caducità della propria condizione fisico-esistenziale tramite nature morte in fase di decomposizione, per poi finire con l'apporre sul suo ultimo quadro, otto giorni prima di morire di polmonite, il suo epigrafico anelito di gioia: ¡Viva la vida!