Diciamo la verità: che il concertone del Primo Maggio mostrasse i segni del tempo, la ripetitività di una liturgia sempre uguale a se stessa, e una selezione musicale francamente discutibile, era evidente ormai da qualche anno. Da questo punto di vista Elio e le Storie Tese non hanno fatto una grande scoperta, anzi, sono arrivati un po’ lunghi, con il loro strepitoso Il complesso del Primo Maggio, il singolo che ha anticipato il disco uscito alcuni giorni fa, all'inizio di maggio, che in una storpiatura politicamente scorretta del capolavoro beatlesiano del 1968 si intitola L’album Biango.
Più che nella critica al polpettone musical-sindacale, il miracolo di questa operazione, a metà tra marketing e meta-teatrale, sta nel fatto che alla fine, al concertone, gli Elii ci hanno suonato davvero, sbeffeggiando in tempo reale il palco su cui si trovavano, l’organizzazione, i sindacati, i colleghi (avanotti o pesci grossi che fossero) e perfino se stessi. Insomma, l’ironia della band come al solito non ha limiti, non si fa piegare da regole di buona creanza, e non si ferma di fronte alle prove apparentemente più ardite e strampalate, come appunto fare satira su un evento a cui si accetta di partecipare. Semmai negli ultimi tempi quello che si nota di questa ironia è che si è fatta un po’ meno giocosa e scanzonata e un po’ più pungente e – come dire – desiderosa di sparare negli occhi altrui i sassolini tolti dalle scarpe proprie.
Settimane fa sono stato a uno dei primi concerti del tour che è in giro per l’Italia, alla Obihall di Firenze, e il filo conduttore dello spettacolo è stato la gag del gruppo emergente, che trasforma il teatro in una sala prove. Un’autorappresentazione di Elio e soci come perennemente alla ricerca del successo, sempre tagliati fuori dalle mode del momento, nonostante una bravura universalmente riconosciuta, che spesso trasforma le loro esecuzioni in pure dimostrazioni di virtù tecniche, oltre che in occasioni per farsi una quantità industriale di risate.
Si spiegano così, con questa malcelata voglia di ristabilire la verità sul mercato musicale nostrano, le frecciate dirette qua e là. Per esempio ai Modà, quando lo stesso Elio dice “Faranno quattro date al Forum a Milano, noi stiamo facendo le prove nel caso ci chiamassero ad aprire uno dei loro concerti, sarebbe bellissimo”, o quando fa del ritornello di un loro pezzo la “pena aggiuntiva” prevista nel Vitello dai piedi di balsa ai danni dell’animale colpevole di spergiuro. E anche l’immancabile e travolgente Mangoni (architetto-mascotte-performer della band) parla chiaro nell’introduzione a La canzone mono-nota quando dice (lo ha ripetuto anche in Piazza San Giovanni) che “In un paese di analfabeti musicali” per avere successo meglio usare meno note possibile.
Ce n’è anche per quelli solitamente considerati bravi, come Goran Bregovic, preso in giro, sempre nel pezzo sul concertone, insieme a tutta la musica balcanica, che con un diplomatico giro di parole viene definita “di merda”. Insomma, partono bordate di scherno nonostante il sorriso sulle labbra di chi le distribuisce e (fatto ancor più curioso) di chi se le becca. E qualche commentatore ha fatto notare, non senza ragione, il rischio-antipatia di questa crociata, seppur sempre ironica e senza autocommiserazione.
Alla fine EELST si salvano dalla figura dei secchioni tout-court quando ripetono più volte di aver cambiato le canzoni che alla lunga avevano rotto le balle. Un po’ meno quando avvertono “Avevamo dimenticato di dire che il concerto è in playback, del resto sarebbe impossibile per una band italiana, specialmente di vecchietti come noi, suonare in modo così perfetto dal vivo”.
Insomma, sanno di essere bravi e gigioneggiano un tantino. Del resto è la verità, e se n’è avuta la conferma sia allo show sindacale che nella serata fiorentina, in cui naturalmente la setlist è stata più corposa, con sei pezzi dell’album in uscita (La canzone mononota e Dannati Forever già presentati a Sanremo e poi Come gli area, Il ritmo della sala prove, Enlarge your penis e Il complesso del Primo Maggio) più una sfilza di cavalli di battaglia incastonati tra l’apertura con Supergiovane e l’ultimo bis, come sempre affidato a Tapparella. C’erano gli episodi che non possono mai mancare, da una Terra dei cachi condensata in pochi secondi a Cara ti amo, Shpalman, Rock and roll, Born to be Abramo, fino a Parco Sempione, introdotta dalla voce di Roberto Formigoni che risponde a un’intervista sul caso Daccò con un Può essere mandato in loop, a ripetizione.
Alla fine, comunque, c’è poco da fare: da queste parti sono gli unici a padroneggiare, all’interno dello stesso concerto (e spesso di una canzone), generi musicali così diversi, livelli di complessità così varie, argomenti così improbabili e disparati, senza rinunciare a un’identità a prova di ruggine, non soltanto grazie alla vena cabarettistica e all’amore incondizionato di un intero popolo di “fave” (il nome del fanclub) che conoscono a memoria testi, gesti, scenette, perfino le storpiature di ogni singolo pezzo. Gli Elii sono indistruttibili perché in fondo se lo sono meritato, e perché sono forti anche quando fanno un po’ i fenomeni.