Tu, dea, che emergi dalla freschezza boschiva e siedi sul confine alchemico, concedimi di partecipare ai tuoi misteri, perché felice è l’iniziato che avrà contemplato la tua figura e conosciuto i tuoi oggetti sacri. Un tempo sei stata natura arborea pura, prima che dalle cortecce si plasmasse la tua pelle diafana, la linfa si sciogliesse in ambrosia e le chiome battute dai venti disperdessero foglie e fiori per allacciare nuovi nodi.

Dea, solo tu puoi combattere i vapori funesti di Crono, che offuscano l’anima dell’uomo di nera malinconia. Porta la tua magia verde, il misterioso anello smeraldino che congiunge la negra radice al fiore bianco. Che il colore scacci il colore!

Viriditas è il nome del tuo farmaco: qualità generativa, festante impulso di vita.

Anche tu un giorno hai fatto esperienza della lacerazione, quando, nell’era senza tempo del mito, una buia voragine ha inghiottito la tua unica speranza di gioia: una figlia nel fiore degli anni, ingannata da un fiore stupefacente e rapita nei profondi abissi del Tartaro per fare da regina a un signore potente, prigioniera del regno in cui vita e morte intrecciano danze e le radici attingono il loro nutrimento. È stato allora che, vestita di un nero mantello, ti sei lanciata come un rapace alla sua ricerca, in ogni terra; ma poi ti sei spenta piano, come la fiaccola che si consuma, trascinando con te nella cupa vertigine il vigore della natura, prosciugando gemme e germogli, seccando i semi nel grembo della terra.

È stato il talismano verde a guarirti, o dea. Essenza di smeraldo e malachite. L’antico flusso di linfa vegetale della tua esistenza più genuina; viriditas germinata da nigredo, potere trascinante di guarigione.

Sul limitare di quel bosco virente, concedimi il privilegio di cogliere il sussurro, donami la nuova vita dell’iniziato. Tutto farò: custodirò le cose dette, le cose fatte, le cose toccate. Manderò a memoria i giuramenti, mi farò straziare il cuore dal ricordo del tuo lutto e lo celebrerò con fiaccole e danze. Osserverò il digiuno che mi imporrai, berrò la tua bevanda per fare della mia mente specchio lucente. Imparerò tutti i riti, indosserò le vesti e le corone che ti piacciono, e il mirto e il tasso mi faranno da ghirlanda. Passerò i tuoi oggetti segreti da cesta a cesta, senza rivelarne il nome nascosto, per poi cadere in contemplazione ai piedi del tuo trono.

Di quelle stesse vesti poi mi spoglierò e le consacrerò nel tempio secondo l’uso, quando a te piacerà fare un cenno di assenso; e allora porrò sulla mia lingua un chiuso sigillo, per onorare la legge del silenzio, ma esibirò con orgoglio il marchio della avvenuta trasformazione, premio del mio impegno.

Un giorno, tra mille e mille anni, dicono che verrà una donna che si offrirà al tuo sacerdozio, ma in un modo nuovo. Con altri gesti e altre parole. Avrà il dono della visione celeste ma comprensione sensibile e terrena, e un ingegno prestato alle meraviglie del creato. Lei scoprirà il tuo medicamento, verdeggiante viriditas, e ne farà la spada che vince il vuoto della tristezza, quell’atra bile che intorbida lo spirito. Viriditas sarà allora elisir di vita, fluido, innervatura, fibra e radice; sarà tutto ciò che ha respiro, palpito, pulsazione, germoglio. Che il colore vinca il colore!
Che l’inno risuoni nel cerchio indistruttibile del tempo!

O nobilissima viriditas
que radicas in sole et que in candida serenitate
luces in rota quam nulla terrena excellentia
comprehendit: Tu circumdata es
amplexibus divinorum ministeriorum.
Tu rubes ut aurora
et ardes ut solis flamma
.

Ave, o dea, incoronata di spighe!

Opere di Octavia Monaco