Racconta del dopo-apartheid questa bellissima e terribile storia, ambientata dal regista sudafricano Ian Gabriel nel fatiscente villaggio di pescatori di Paternoster, dieci anni dopo la conclusione dei lavori della Commissione per la Verità e la Riconciliazione. Tratta della convivenza ancora difficile tra bianchi e neri, della consolazione che solo il perdono può accordare e della potenza della collera che, al contrario, anela alla vendetta... dell'animo umano in tutta la sua complessità e del dilemma che lo abita, quando è chiamato a misurarsi con la propria e l'altrui violenza. Un dramma moderno che rivendica il proprio posto accanto ai due antichi; che (come quelli) prende avvio da un fatto di sangue, antefatto lontano e perno su cui ruota tutta la vicenda; che si struttura intorno a tre scene chiave girate nel piccolo cimitero del villaggio, perché (come in quelli) confrontarsi con un passato traumatico significa innanzitutto fare i conti con i morti che esso si è portato via.
È lì che le strade bianche di sale che costeggiano l'oceano portano Coetzee, al begrafplaas (il "camposanto", l'"acro di Dio"), una distesa di tumuli identici ornati di conchiglie (i "fiori del mare", come le chiamano gli anziani) e ricoperti da reti da pesca, adagiate come sudari su croci e sepolture. È lì che l'ex-agente di polizia va a cercare la tomba di Daniel, figlio maggiore dei signori Grootboom, da lui torturato e ucciso anni prima. Una scelta non casuale quella del nome "Coetzee", lo stesso di uno dei perpetrators più spietati che il Sudafrica rammenti, un nome dalla tragica potenza allusiva, indicativo di una precisa volontà di connotare il personaggio come un "assassino", come un "cattivo"; eppure, prima che la pellicola ne riveli l'identità, è la pena dell'uomo ad essere messa in rilievo, il tormento dei suoi occhi tristi ad imporsi all'attenzione dello spettatore, cui non resta che rimettersi alle mani coraggiose del regista e lasciarsi condurre oltre i preconcetti e i giudizi sommari, in un percorso in cui niente è come si presume che sia e il dolore di chi ha consumato la violenza è un assunto tanto incontestabile da essere trasformato nella molla che mette in moto l'intera vicenda.
È stato Coetzee a insistere affinché i Grootboom acconsentissero a incontrarlo, nella speranza di ottenere da loro quella pace che da solo non ha mai trovato e di riuscire a far tacere i fantasmi di cui si era illuso di potersi liberare confessando i propri crimini alla Commissione di Verità e ricevendone l'amnistia. Così, eccolo lì al cospetto di Daniel, il carnefice di fronte alla vittima, schiacciato dal bisogno di sentirsi punito e confortato dall'essere giunto al termine della sua ricerca, sconvolto dal materializzarsi dinnanzi a lui delle conseguenze irreparabili del suo gesto e rasserenato dal ritrovarsi avvolto dal silenzio di quel luogo senza tempo, capace di individuare il sepolcro di Daniel malgrado la difficoltà di leggerne il nome sulla croce incrostata di sabbia e sale, come in risposta ad un richiamo, come a dire che, pur nell'assurdo del suo compiersi, la violenza incrocia i destini di chi la dispensa e di chi ne è l'oggetto, serrandone le vite in una trama che può annientare entrambi o far sì che nessuno si salvi pienamente senza l'altro.
Dai Grootboom l'atmosfera è carica di tensione; asserragliati da una sofferenza che l'avvicendarsi delle stagioni non ha guarito, essi attendono l'arrivo di Coetzee, sospesi nel limbo di un lutto irrisolto, sepolti come Daniel tra muri scrostati che trasudano miseria e abbandono, ami arrugginiti, conchiglie e reti da pesca. È un colloquio faticoso che a nulla porta se non ad acuire l'angoscia dei coniugi Hendrik e Magda, che in un silenzio assordante di parole non dette sopportano con dignità la presenza dell'uomo, e ad esacerbare l'ostilità del figlio minore Ernest e della figlia Sannie, che gli rovesciano addosso il loro odio. Tuttavia, quando Sannie (ancora una volta una donna, ancora una volta una sorella!) contatta un amico di Daniel, informandolo della venuta di Coetzee e ricevendone precise indicazioni sulla necessità di trattenere l'ex-poliziotto a Paternoster fino al sopraggiungere suo e di altri due compagni del fratello, affiora una realtà ben più problematica.
Il profilarsi di un ulteriore raffronto, segretamente pianificato dalla ragazza come un pretesto che soddisfacesse la sua brama di vendetta e favorisse l'attuarsi del suo progetto, finisce col dare voce alla sua stessa fame di verità. Emerge, così, tutto il rimosso di una famiglia divisa, in cui lo strazio dei genitori per la perdita del figlio (che la gente crede sia stato ucciso in un banale furto d'auto) nasconde l'incapacità di accettare il suo passato di terrorista dell'ANC e la vergogna che ha sempre impedito loro di presenziare alle sedute della Commissione, nel terrore che si diffondesse la notizia della reale matrice politica della sua esecuzione; in cui la ferocia del risentimento degli altri figli maschera la frustrazione di un'esistenza soffocata dal ricordo idealizzato del fratello.
Quando l'indomani Coetzee ritorna al cimitero, molte cose sono accadute e molte cambiate. L'annunciato faccia a faccia ha avuto luogo, rappresentando per tutti una svolta. Non è stato un alternarsi di testimonianze, però, perché al centro di questa sequenza (forse la più drammatica) il regista ha voluto Coetzee, arrendevole nell'accogliere gli interrogativi dei Grootboom, pieno di disagio nel ripercorrere dettagliatamente la progressione delle sevizie inflitte a Daniel; timoroso e insieme impaziente di esternare anche il suo travaglio di uomo annebbiato dalla stanchezza e dall'alcool, non meno che di subalterno costretto ad eseguire degli ordini, fermo nel riconoscersi responsabile, pronto ad affidarsi ai familiari di Daniel, cui lascia la facoltà di decidere della sua esistenza (come già egli aveva deciso di quella del giovane). Dal canto loro, è da Coetzee e dall'ascolto sofferto delle sue rivelazioni che i Grootboom si sono visti colmare i vuoti di una memoria nebulosa e frammentata, e restituire una verità che, seppur cruda (o, forse, proprio perché tale!), riesce finalmente a sciogliere il cordoglio da cui avevano cercato difesa nella menzogna, scuotendoli dal sonno delle loro coscienze anestetizzate, sgretolando il precario equilibrio dei loro rapporti paralizzati.
Ed ora eccolo di nuovo lì, sulla tomba di Daniel, di nuovo il carnefice con la propria vittima. Mostra evidenti le tracce delle ferite che Ernest gli ha procurato al culmine del suo resoconto, perché non è poi così facile astenersi dal male quando la tensione incalza e le emozioni si accavallano caotiche. Ignaro del pericolo che incombe su di lui, è inconsapevolmente braccato da Sannie, che la notte prima nel tentativo di medicarlo gli si era trovata tanto vicina da macchiarsi del suo sangue, perché tremenda è l'intimità tra persecutore e perseguitato; che di quel sangue, versato di fatto a causa sua, si è poi "lavata le mani"; che adesso si ritrova appostata fuori dal cimitero a spiare i movimenti dell'uomo, come il cacciatore con la preda, perché la violenza è un contagio in grado di espandersi e sfuggire ad ogni controllo, perché nessuno è del tutto innocente nel suo dispiegarsi feroce e maledetto che confonde e sovrappone i ruoli. Eppure, ha negli occhi la serenità ritrovata di chi è pronto a seppellire senza dimenticare, Coetzee, e nella mano la sua valigia, svuotata dei colliri con cui aveva tentato di ottenere quella guarigione che solo la forza purificatrice del racconto e delle lacrime gli ha assicurato, e riempita delle conchiglie con cui è venuto a rendere onore a Daniel. Dopo le parole, è alla pregnanza dei gesti che Gabriel si affida, riservando a Coetzee l'iniziativa di compiere quel rito che l'incuria del sepolcro del ragazzo rivela essere stato trascurato dalla famiglia per molto tempo, e facendo in modo che Sannie così lo sorprenda.
Mentre la pellicola restituisce al cielo e alla terra la vivacità dei loro colori facendoli gradatamente emergere dalla monocromia delle inquadrature iniziali, e il mare riconsegna ai pescatori la fonte del loro sostentamento, gli animi si distendono e si ricuciono le relazioni: tra Hendrik e Magda, che smettono di colpevolizzarsi per la morte di Daniel, trovando il coraggio di riconciliarsi con le proprie scelte passate e di riconoscere al figlio la consapevolezza delle sue; tra i genitori e quei due figli dimenticati, finalmente ripagati delle loro attese; tra i Grootboom e lo stesso Coetzee cui Sannie confessa la verità, spingendolo ad andarsene quanto prima dal villaggio.
Ma l'uomo non fugge e l'indomani, in quello stesso begrafplaas questo dramma moderno trova il proprio epilogo, sapientemente costruito (come quelli antichi) intorno alla presenza di tutti i personaggi sulla scena, necessariamente tragico per un progetto che ha voluto raccontare la vita. A Coetzee non rimane che affrontare il proprio destino e al sopraggiungere dei tre compagni di militanza di Daniel (le sue Erinni vendicatrici!) trovare la morte per mano di uno di loro, che un'ennesima sconvolgente verità rivela essere colui che dieci anni addietro ha tradito il giovane Grootboom consegnandolo agli agenti del governo in cambio del rilascio del proprio fratello. A Sannie non resta che starsene lì, in silenzio, affranta dall'intuirsi di altri insospettati risvolti, custode incredula di Daniel e del suo assassino, e poi partire nella speranza di una vita migliore lontano da lì o alla ricerca dei figli di Coetzee, cui chiedere perdono per la morte del padre; a provare che non esistono soluzioni facili alle situazioni umane, a suggerire che, si tratti dell'Atene del IV secolo a.C. o del Sudafrica di Mandela, di singoli individui o di comunità intere, la colpa più grave continua ad essere la fuga da una coraggiosa conoscenza di sé, e il costante lavorio delle coscienze l'unica via percorribile per porre fine all'odio.