C’era una volta, un giovane eschimese di nome Oonak. Abitava le distese ghiacciate del Circolo Polare Artico, un luogo dove la sopravvivenza è difficile. Oonak e suo padre Goran avevano lasciato il villaggio per cercare solitudine e tranquillità nei territori dei ghiacci eterni dove sarebbero sopravvissuti con la caccia al caribù e la pesca alla foca. Molto presto Goran rimase mortalmente ferito in una lotta all’ultimo sangue con un lupo bianco e Oonak rimase solo.
Era un tempo lontanissimo, così remoto che se ne è persa la memoria nei secoli dei secoli. I giorni si susseguivano identici come lastre di ghiaccio e in quello spazio si incontravano solo lupi, orsi polari, caribù, renne, trichechi e foche. La terra era gelata tutto l’anno, niente vi germogliava spontaneamente. Solo pochi uomini, impellicciati per non morire assiderati, abitavano le distese di ghiaccio. Si scambiavano poche parole giusto quando sedevano intorno ai fuochi, altrimenti le conversazioni languivano spegnendosi a poco a poco. Essi erano convinti che la Terra fosse la vecchia e saggia Babajuk e che il manto di ghiaccio che la ricopriva fosse la sua folta e magica capigliatura.
Oonak viveva in una disperata solitudine in quel posto ai confini del mondo, il volto segnato da rughe profonde come quelle di un vecchio. Invece era giovane e con l’immenso desiderio di trovare una compagna, e poiché non c’erano donne nei dintorni - il villaggio più vicino distava quattro giorni di marcia -, spesso osservava le foche immaginando che fossero capaci di comprendere gli uomini. Le leggende che aveva udito da piccolo narravano di un passato in cui le foche erano esseri umani, come si poteva facilmente intuire dai loro sguardi teneri e comprensivi, e dalle voci che parevano corde tese per risuonare nell’anima.
Ma quando Oonak si accorgeva che le foche non erano donne piangeva disperatamente e le calde lacrime che gli rigavano il volto rugoso si gelavano sulla sua pelliccia. Uno di quei giorni sfortunati in cui non riusciva a procurarsi il cibo, rimase a pescare fino a notte fonda, sfidando le forze della natura. Era una splendida notte di luna piena e la luce argentea illuminava di riflessi misteriosi tutta la scogliera. Il suono del mare calmo lo rasserenava e nutriva la sua fame.
A un certo punto, in quella cornice straordinaria, vide un gruppo di foche uscire dall’acqua. Erano sette foche straordinarie con le pellicce candide come la pelle di una fanciulla. Oonak osservò di nascosto le foche mentre si toglievano dolcemente le pelli e le abbandonavano nella caverna. Gli apparvero così, come per magia, sette donne meravigliose, nude come madre natura le aveva generate. La loro pelle era morbida come il velluto e avevano lunghi capelli neri come la notte e lucenti come i riflessi del sole sorgente. Le donne intonarono un canto soave che riscaldò immediatamente l’anima di Oonak. E mentre cantavano diedero inizio alle danze.
Quei corpi slanciati si libravano sul manto ghiacciato con i movimenti sincronizzati di un’unica figura, come fanno i pesci dello stesso branco. Si elevavano verso l’alto e i loro cuori pulsavano ritmicamente nella notte. I capelli facevano da cornice alla danza: le chiome dondolavano dolcemente quando si univano in cerchio e le mani si intrecciavano muovendosi con armonia dal basso verso l’alto. Oppure si scompigliavano allorché la vecchia foca ordinava di scatenare il ritmo della danza lanciando urli profondi che sgorgavano come dall’abisso della terra.
Oonak rimase affascinato da tanta bellezza e il suo volto si riempì talmente di felicità che le rughe scomparvero facendogli riacquistare l’aspetto di un uomo giovane. Forse furono pochi istanti, forse lunghe ore: Oonak avrebbe voluto che quello spettacolo fosse durato ancora per guarire la sua antica solitudine. Allora strisciò verso la caverna senza far rumore come quando doveva stanare una preda e rubò la pelle di foca più bella. Poi, dopo aver nascosto il prezioso bottino in un crepaccio, tornò al suo punto di osservazione.
Poiché anche le notti più magiche finiscono, a un certo punto un tenue chiarore fece capolino sulla baia. Il canto si interruppe e le sette donne andarono a riprendersi le pelli. Le foche si rivestirono per tornare precipitosamente in acqua, ma una di loro rimase nuda e non poté più immergersi nel mare profondo. Si mise alla disperata ricerca della sua pelle lamentandosi come un delfino all’alba, mentre le altre si immergevano salutandola con urla di dolore. Vedendo la donna correre qua e là in cerca della sua pelle, Oonak si fece ardito, le si avvicinò, e disse: “Non la troverai, l’ho nascosta in un luogo sicuro, te la restituirò fra sette inverni, se sarai la mia compagna”. E la donna rispose: “Ma io sono una creatura dell’abisso, non posso sopravvivere fuori dall’acqua”. E Oonak: “Senza di te morirò. Resta con me, donna dalla pelle di foca, ti chiamerò Erlak. Fra sette inverni sceglierai se andare o rimanere”. La donna si fece convincere e restò.
Oonak la amò immensamente. Le sue giornate acquistarono un colore caldo, i suoi occhi scintillavano come neve al sole e la sua voce divenne tenera e gentile. Dalla loro unione nacque una bimba con la pelle chiara come la balena bianca e gli occhi scuri come l’oceano in tempesta. La chiamarono Iriook. La madre le stette sempre accanto insegnandole a leggere i segni delle creature marine che lei conosceva con una nostalgia lancinante che invadeva tutto il suo essere. Furono anni di amore e consacrazione alla famiglia, di dedizione assoluta.
In quel prodigarsi senza risparmio, la bellezza di Erlak svanì. La pelle divenne sfatta e cadente. I capelli si fecero sempre più radi e canuti. Le sue forme si appiattirono e i suoi seni si afflosciarono. Gli occhi si offuscarono e la voce divenne roca come quella di una vecchia. Sembrava un petalo senz’acqua e il desiderio di tornare nel mondo di sotto si fece ogni giorno più intenso. Allora si accorse della leggerezza con cui aveva lasciato incustodita la sua pelle favorendo il furto.
Poiché i sette inverni erano trascorsi e si andava verso l’ottavo, Erlak pregò Oonak di restituirle la pelle. Ma lui le disse: “Se te la restituisco, tu mi lasci. Rimango senza compagna e tua figlia senza madre. Sei un’ingrata, ho vissuto per te, donandoti la mia vita”. Travolto da un impeto di rabbia, urlò come un orso selvaggio e la percosse, facendole molto male. La voce di Erlak era stridula e spaventosa come quella di un cetaceo arpionato. Non aveva più niente della limpida armonia primitiva del passato e che aveva conquistato il cuore di Oonak. Tutti i suoi sensi, si stavano spegnendo e presto sarebbe morta se non l’avesse aiutata sua figlia. La bambina provò pietà per i suoi lividi e chiese a sua madre perché fosse così afflitta. Erlak attese che Oonak uscisse le spiegò: “Figlia, tuo padre mi rubato la pelle. Senza di essa presto morirò. Ho donato tutta me stessa e ora ho bisogno di scendere negli abissi per ritrovare la mia gente. Anche se non ci sarò, ti starò sempre vicino, veglierò su di te durante il sonno, ti osserverò durante il giorno, sentirai il mio profumo nei tuoi vestiti, ti assisterò quando ne avrai bisogno. Non sentirti mai sola e se proprio mi vuoi vedere chiamami, io accorrerò. Ti prego, aiutami a trovare la pelle. Tuo padre ha promesso di restituirmela dopo sette inverni. Ma il tempo è passato e lui non ha mantenuto la promessa. Ti prego, aiutami”.
La bambina comprese e decise di aiutarla a fuggire. Quella notte, mentre Oonak dormiva profondamente, Iriook sentì il richiamo di una voce misteriosa portata da un vento strano, spettrale: “Irioook!”. Dapprima ebbe paura, poi, però, si vestì in fretta e uscì nella notte. Scese di corsa verso la scogliera e sentì come un richiamo, una sorta di risata, provenire dal mare agitato. Sentì una voce limpida come l’uggiolare di una balena all’alba. Allora s’avvicinò alla rupe, vide che vi era nascosta una pelle di foca e la prese in mano. Calde lacrime bagnarono la pelle che sprigionò tutto il profumo di sua madre.
Quindi corse da Erlak e gliela restituì, combattuta tra la paura che morisse e il timore che se ne andasse. Erlak indossò la pelle e una nuova energia la pervase, poi accarezzò Iriook con tutto l’amore di cui è capace una madre. La bimba le chiedeva di non abbandonarla e lei non voleva lasciarla, ma udiva il richiamo del mare mugghiante, e non sapeva, anzi non poteva più sottrarsi. Era un richiamo più antico della sua stessa vita e dovette ascoltarlo. Prese la bambina, le soffiò vento nei polmoni, la portò sopra la scogliera e con lei si tuffò in acqua. Si inabissarono e raggiunsero la famiglia delle foche che vollero sapere come stesse. “Ho avuto un compagno che mi ha resa felice, ma ho rinunciato alla mia natura. Il mio tempo fuori dall’acqua era giunto al limite. Se non volevo morire, dovevo tornare a casa”. “E la tua piccola?” domandò la foca grigia. “Lei non può restare, deve tornare da suo padre: lui deve avere almeno lei al suo fianco”.
Ma Erlak non si decideva a lasciarla ritornare sulla Terra e per molti giorni la tenne con sé. Le fece conoscere la vita delle foche. Canti, feste, allegria, condivisione, amore. In poco tempo, la pelle di Erlak tornò liscia e luminosa come una volta, e i capelli le ricrebbero folti e vellutati. I suoi occhi riacquistarono la vista e divennero limpidi. Si sentì pervasa da tutta la sua essenza e fu pronta a lasciare andare Iriook al suo destino terrestre. Erlak e la foca grigia accompagnarono Iriook in superficie. La lasciarono addormentata sulla spiaggia ghiacciata, avvolta in una pelle di balena.
Lentamente, le due foche argentee, con un groppo in gola per il dolore del distacco, si inabissarono nel mare profondo. Era una bellissima notte stellata, l’acqua era calma e il suono delle onde che si infrangevano sulla scogliera veniva interrotto di tanto in tanto dall’ululato di un lupo proveniente da una lontana radura. Iriook si svegliò quasi all’alba. Quando s’accorse di essere sola s’alzò e corse disperata verso casa di suo padre piangendo per tutta la durata del percorso.
Passò tanto tempo e Iriook divenne una danzatrice di grazia straordinaria. Il suo canto fu conosciuto in tutta la Terra ghiacciata e le sue storie furono famose come quelle della saggia maga Babajuk. Si diceva che avesse ereditato quelle doti dallo spirito delle foche che l’avevano nutrita negli anni dell’infanzia e che l’avevano riportata in superficie dalla profondità del mare. Molti uomini l’hanno desiderata, ma Iriook è appartenuta solo a se stessa.
Ancora oggi, che forse ha raggiunto i mille anni e i suoi capelli bianchi sono più lunghi delle sue vesti, spesso la si vede inginocchiata in riva al mare a parlare con una certa foca che si avvicina solo a lei. Molti hanno visto lo spirito di quella foca, nelle notti di luna piena o durante i temporali, o quando la nebbia calava fitta fitta. Tanti hanno ammirato la sua linea aggraziata, e tutti quelli che l’hanno guardata negli occhi sono rimasti stregati dalla loro dolcezza selvaggia. Parecchi l’avrebbero voluta catturare per averla sempre vicino, ma nessuno c’è più riuscito, perché Erlak ha imparato a non lasciare mai più incustodita la sua pelle.
Fra le genti dei ghiacci eterni è considerata divina perché, sebbene sia solo una foca, sembra che i suoi sguardi provengano dal profondo dell’anima più bella che sia mai esistita.
Illustrazioni di Alessandra Murgia