Il senso della proposizione che enuncio è determinato da chi la recepisce.
(Heinz Von Foerster)
Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato.
(Albert Einstein)
Ogniqualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere.
(Karl Popper)
Umberto Eco ha scritto un solo romanzo perché ha scritto solo di una cosa cioè del Piano, del Complotto quale suo preferito tema filosofico, speculativo, ermeneutico, amato forse anche perché gli permette di giocare con i paradossi/dialettiche fra vero/falso, verificabile/falsificabile. Nel Nome della Rosa il Piano è occultare il trattato di Aristotele sulla commedia, in Baudolino il tema è la verificabilità delle reliquie e dei racconti fantastici e di come la finzione possa contribuire a generare il reale. Pendolo di Foucault, Cimitero di Praga e Numero Zero sono lo stesso romanzo, tutto fondato sul tema dell’invenzione di un racconto che poi viene usato e creduto. Nell’Isola del Giorno Prima il tema è simile approfondendo gli aspetti paradossali della conoscenza, e, quindi ancora una volta il tema filosofico vero/falso.
Concentriamoci sul Cimitero di Praga. Qui la genialità intellettuale di Eco lo porta a spezzare il raccordo fra narratore e protagonisti riducendo il narratore a mera ombra che insegue due protagonisti semismemorati, con grossi problemi di identità, che a loro volta si inseguono… Racconto, quindi esisto. La sostanza di una persona è il saper convincere? Il protagonista, Simonini, inizia come collaboratore di un Notaio che falsifica documenti a pagamento e collabora con i servizi segreti del Regno di Sardegna, e si trova via via sempre più coinvolto nella produzione non solo di documenti ma di vere e proprie narrazioni che servono per usi politici più o meno ignobili. A sua volta Simonini inventando ricicla passate invenzioni, operando sempre sulla soglia fra finzione e operazione cultural-politica dietro le quinte della società, e così facendo il lettore vede coagularsi la sua personalità e il suo stile di vita. La bugia quale matrice formativa dell’infanzia, le illusioni per l’adolescenza e il commercio di esse per la maturità?
Eco utilizza tre schemi per spiegare il successo creativo fraudolento di Simonini: 1) una menzogna ripetuta si trasforma gradualmente in un efficace strumento di delegittimazione dell’avversario e, infine, in una verità accettata socialmente e acriticamente 2) una previsione può essere creduta e in quanto tale inverarsi anche se non era definibile come autentica o veritiera ai suoi inizi 3) anche un Piano falso può essere falsificabile, con piccole variazioni, e quindi esiste pure un “falso autentico” e un “falso fraudolento”. Ottime riflessioni ma sembrano corrispondere agli stessi contenuti dei Protocolli dei Savi di Sion che Eco giustamente delegittima e discredita! Il tema è molto interessante ed è stato trattato più volte da Eco anche nei suoi saggi. Eco ne parla anche quando tratta la questione filosofica molto interessante dell’attribuzione di un’opera d’arte a un artista.
Qui i paradossi della conoscenza si possono così sintetizzare: come possiamo dire che la Gioconda sia di Leonardo se abbiamo una sola Gioconda? Solo una Gioconda falsa può dimostrare che la Gioconda vera sia vera ma non esiste mai il “terzo di comparazione” cioè un fattore che permetta di giudicare quale sia la Gioconda vera iniziale. I confronti fra opere che fondano la verità della Gioconda quale opera di Leonardo infatti rimandano ad altri quadri, unici anch’essi, per i quali si ripropone loo stesso paradosso. Qui Eco gioca con Popper e cammina sulla sottile soglia della distinzione metodologica fra scienza e metafisica. Soglia spesso fluida e incerta. Vari sono i temi coinvolti: la scarsa eloquenza della maggior parte dei dati e delle informazioni se non vengono interpretate, il problema del metodo interpretativo, la distinzione (molto conosciuta in campo giuridico) fra verità storica e verità del processo, il contrasto dialettico fra vero/falso ideologico e vero/falso pratico. Chi giurerebbe che il Musico di Leonardo sia dello stesso autore dell’Ultima Cena se si possedessero solo queste due opere?
Nel campo del diritto (non così lontano dal campo dell’arte) non è difficile nel tempo prendere coscienza nell’aula dei Tribunali di questa piccola fenomenologia: 1) testimone falso che dice il vero non sapendolo 2) testimone in buona fede che mente dicendo cose che contrastano con dati reali ma credendo di dire il vero 3) testimone che dice il vero per danneggiare l’imputato 4) testimone che dice il falso per difendere se stesso, per paura, per non essere coinvolto, ma così facendo genera conseguenze nei confronti dell’imputato 5) imputato che ha rimosso il suo racconto originario per stress 6) testimone che dice cose non pertinenti o rilevanti o non comprensibili. Anche a livello di documenti non è sempre facile teorizzare ciò che distingue un documento vero da un documento falso: 1) documenti veri nella confezioni ma falsi nelle informazioni che veicolano 2) copie non autentiche di documenti autentici 3) documenti che contengono errori.
La questione è la medesima: il documento (ogni documento, anche un quadro, poiché “tutto è documento”, tutto è simbolo e racconto) è un relitto del passato, è un unicum, ma i contesti cambiano e non abbiamo nella vita alcuna “macchina per verificare la coerenza diacronica”. Per essere certi che un documento abbia valore occorrerebbe confrontarlo con tutta la storia del suo contesto di formazione. Ho trovato due frasi del Cimitero di Praga che sintetizzano i suoi giochi paradossali del tipo “vero/falso”: “Ci inserivano in un filone 'ufficiale', la spontanea diffidenza antigiudaica diventata una dottrina, come il cristianesimo o l’idealismo”. E ancora: “Non c’è che parlare di qualcosa per farlo esistere”. Nel primo caso Eco teorizza che credenze non razionali, non vere, non verificate, possano generare sistemi religioni o filosofici. In questo modo relativizza e nel tempo confonde la distinzione fra scienza (verificabilità) e metafisica (non verificabile e non falsificabile). Con la seconda enunciazione Eco valorizza l’aspetto performativo del porre in essere delle proposizioni, e pone tale valore al di sopra della verità o meno degli enunciati espressi. Il “dire” sarebbe più importante del vero/falso del “detto”. In questa sfumatura Eco sembra marxisticamente esaltare una sorta di “filosofia della prassi”, dove l’importante è la verificazione pratica, l’adesione, il successo, non cosa sia vero o falso.
Ma così ragionando si svuota il concetto stesso di “Piano” e di “Complotto”. Se “tutto è Piano” e ogni Piano è falsificabile ma pure realizzabile se ci si crede allora non esiste alcuna differenza se non di successo pratico fra finzione e raccontabilità del vero. Due obiezioni insorgono. La prima: senza una Gioconda ritenuta vera non ci può essere una Gioconda ritenuta falsa. In altre parole: un Piano che continua a riciclare racconti falsi del passato deve avere comunque un’origine e deve comunque esserci un altro racconto opposto che sia invece vero. Se nel reale c’è solo “racconto” non possiamo dire che qualcosa sia vero o falso, ma solo efficace o non efficace. La falsificabilità di un Piano, di un racconto, e il suo possibile postumo successo (la profezia “che si autoavvera” e quindi non è profezia) non ci dice nulla sulla verità o falsità del Piano stesso.
Un facile esempio: i terribili Protocolli dei Savi di Sion. Terribili perché il testo fu utilizzato da vari regimi per giustificare politiche violentemente antisemite. Il testo, per quanto abbia uno stile romanzesco, suggestivo, in quanto documento unico, anche se derivasse da altri simili documenti, o dall’opera di autori di dubbia moralità, essendo un “unicum”, non può essere considerato né falso e né vero, anche perché non si dispone di alcun contesto di confronto. La storia, anche quella del raccontare, è una sola, ed è irreparabilmente irripetibile. La freccia del tempo ha sola direzione. Non sappiamo quale atleta avrebbe vinto se uno dei concorrenti non si fosse doppato! Né è certo che l’atleta doppato vinca davvero! I Protocolli dei Savi di Sion potrebbe essere un testo del tutto inventato ma qualcuno potrebbe averci creduto e avere iniziato ad attuarlo, rendendolo così vero a posteriori! Oppure potrebbe essere una descrizione realistica di trend politico-economici in atto ma falsi nella loro “incolpazione antisemita”. Non aveva Marx intelligentemente previsto quella accumulazione non democratica di potere e finanza che i Protocolli denunciano e che vediamo oggi pienamente realizzarsi?
Marx non era un profeta ma solo un intelligente analizzatore di tendenze già in atto ai suoi tempi. Chi ha scritto i Protocolli? È una domanda che implica lo studio delle relazioni fra culture diverse in una determinata epoca. Può un certo tipo di cultura produrre un prodotto culturale di opposta visione? La cultura zarista avrebbe potuto scrivere un testo rivoluzionario come i Protocolli? Come una cultura può e sa falsificare un racconto che sembra provenire da un’opposta matrice culturale? I Protocolli sono un testo reazionario e retrivo (ai nostri occhi di oggi) solo nel loro aspetto antisemita, ma come racconto si tratta di un racconto moderno, dialettico, innovativo, efficacemente ideologico. Potrebbero quindi essere stati scritti da circoli rivoluzionari di sinistra per legittimarsi con la demonizzazione del “Nemico assoluto”, oppure da circoli massonici venati di antisemitismo. I Protocolli potrebbero essere un ordigno ideologico progettato da lobby massoniche per indebolire le lobby ebraiche, o viceversa.
La questione non è mai così semplice e la spiegazione ufficiale che sia il prodotto del militarismo zarista è una spiegazione riduttiva, semplicistica, non provata, improbabile. L’assenza di ironia e di spirito critico tipico del regime zarista quale sistema totalizzante e tradizionalista rende improbabile che possa produrre un documento così spregiudicato, romanzesco, disinibito, così agli antipodi della mentalità russa di potere. Lo zarismo, come poi il nazismo, ha usato i Piani per favorire una politica antisemita, ma questo non prova che li abbia confezionati, così come certe tesi di Nietzsche furono usate dal nazismo, ma questo non significa che il pensiero di Nietzsche fosse pre-nazista o analogo/omologo del pensiero nazismo, che presenta allora analogie anche con Maltus e con Darwin, traslati di senso, ovviamente.
In Russia d’altro canto c’era di tutto dal punto di vista della cultura politica agli inizi del Novecento, in parte anche all’interno della classe dirigente: reazionari ma pure liberali, panslavisti ma pure filo-occidentali, nazionalisti e nichilisti, decabristi e tradizionalisti, e i rigurgiti dell’antisemitismo purtroppo sono drammaticamente comparsi a macchia di leopardo per mille anni di storia europea, non solo in Russia, e sono accaduti talvolta organizzati (sempre però difficile da provare) e talvolta (spesso) frutto dell’ignoranza e del fanatismo di masse afflitte da carestie o epidemie il cui isterismo portò purtroppo a linciaggi popolari spontanei.
Oggi non ricordiamo che nell’Ottocento c’erano filoni del pensiero socialista fortemente venato da antisemitismo (Mussolini veniva dal socialismo rivoluzionario) e anche i rapporti fra massoneria ed ebraismo sono ancora molto da studiare ma potrebbero avere avuto momenti di tensione e incomprensione. Il problema dei Protocolli è lo stesso delle grandi opere d’arte: sono documenti “chiusi” nella coerenza apparente della loro performatività teorematica. Quindi di fronte a loro sembriamo costretti in un angolo: o li accetti e li usi interpretativamente o li rifiuti. E se anche li rifiuti i Protocolli tendono ad assorbirti nella loro perversa logica, perché il Piano è come una funzione omnicomprensiva, reattiva a ogni postura mentale, strumentalizzante ogni approccio ermeneutico. Se infatti li rifiuti i Protocolli nella loro totalizzante assertività e ideologica nettezza “leggono” il tuo rifiuto quale scelta di campo elitaria e pro “Sistema”, inverandone la propria tesi, anche perché il Piano per definizione procede comunque e quindi i Protocolli sono sempre efficaci a livello di lettura sociale per loro definizione, per natura intrinseca. L’unica strada razionale è proprio la loro demitizzazione tramite l’analisi e la ricerca della loro matrice culturale di origine.
La potenza ideologica dei Protocolli è insita nel loro porsi quale forma semplice e archetipo vuoto di ogni Piano e a sua volta il Piano è la versione laica di Dio e della sua creazione. Il “Piano” = Nesso Causale = spiegazione volontaristica del senso. Eco parla solo di Dio nei suoi romanzi! Ma lo fa invertendo Popper: ogni Piano è falsificabile quindi ogni Piano può essere falso! Così si distruggono i fondamenti di ogni scienza e di ogni filosofia (più che della religione) e si giunge al paradosso dello Zero Theorem. Ma la forza suggestiva del falso non ci rimanda alla maggiore forza del vero di cui il falso è parodia? Nel Pendolo Eco struttura i capitoli del romanzo seguendo la successione dell’Albero delle Sephirot della Kabala. Finzione o adesione? Russel, Heinz Von Forester, Godel, Kelsen ci hanno dimostrato in vari modo come ogni sistema non può autolegittimarsi, autofondarsi, e quindi rinvia ad altri sistemi! Eco come Escher? La “matrioska” Eco resta un enigma narrativo (o meglio di stratificata meta-narrazione) ancora in parte insoluto ma di sicuro fascino anche in futuro!