Cecilia Chailly, musicista, interprete, arpista, cantante, scrittrice: ha iniziato come arpista classica, suonando anche come prima arpa alla Scala di Milano, ampliando poi la sua poetica con esperienze nel jazz e nell’avanguardia, fino a reinventare il suo strumento con la sua musica, definita “crossover”. Si è esibita nei più importanti teatri italiani, europei, in Cina e in Giappone, collaborando con svariati artisti classici e pop e ha ottenuto numerosi Premi Opera Prima per il suo romanzo Era dell’amore.
Vi racconto che sono una donna in perenne ricerca, di un senso, di me stessa, di amicizie stimolanti, di amore e della passione che mi porta poi a fare le cose in modo totale, ma solo se lo sento davvero. Oscillo fra il suonare, il comporre, lo scrivere, o il prendermi lunghe pause da tutto, magari viaggiando, da sola. In me prevale l’esistenzialismo, domande in cerca di risposte che poi sfociano sulle corde, sul computer o sulla penna, dato che scrivo molto anche sui diari. La mia immagine come personaggio? Si è costruita da sola, crescendo insieme al mio mondo interiore e artistico, che è sempre stato un tutt’uno. È cambiata insieme alla musica che ho ascoltato e suonato, ai libri che ho letto e alle persone che ho incontrato.
Non c’è mai stato un progetto di marketing, né tantomeno una strategia, non tanto per un integralismo morale, anche se un po’ “purista” lo sono, ma perché ho sempre fatto fatica a far entrare altre persone dentro a un mondo così personale e intimo, forse anche per il timore di essere sviata dal mio intento. A volte me ne sono pentita, e in futuro vorrei invece collaborare maggiormente con altri professionisti, necessari per costruire il percorso artistico e professionale, ma per me è stato importante sino ad ora fare a modo mio. Quindi sono stata il mio produttore, manager, ufficio stampa, stilista, ho fatto anche i disegni e le foto per i booklet dei cd, e ho sempre scelto io il mondo da comunicare e nel quale farmi ritrarre dai fotografi; ai quali poi, se c’era feeling, ho lasciato lo spazio di trasportarmi nel loro territorio creativo, in modo che poi venisse fuori qualcosa di nuovo, un’ immagine imprevista e sconosciuta, anche a me stessa. Questo è stato il mio modo, anomalo ma sicuramente personale, di lavorare.
Il mio sentire va di pari passo con l’artista e la persona, non c’è separazione, ed essendo un’emotiva lo ritengo il motore della mia creatività, ciò che dà il senso al percorso che decido poi di intraprendere. Non sempre mi è chiaro, e dedico praticamente la vita a capirmi e sentirmi, in attesa che qualcosa si riveli e chieda di essere ascoltato e poi tradotto in un linguaggio, da donare agli altri.
Da una parte una donna fattiva e concreta, dall’altra una sognatrice …
Il mio sogno? Mi manda in crisi questa domanda. Sin da piccola ho vissuto nel senso del dovere, dettato da questa grande passione per la musica che è fatta anche di tanti sacrifici; ma è forse già questo un sogno, arrivare a fare la mia musica, interpretarla, pubblicare i miei album e un romanzo, in modo libero, stando spesso a lavorare in mezzo alla natura.
Occupa un posto importante nel mondo musicale, come vive la donna, oggi, questa sua posizione, che comporta anche un rapporto con il “potere”? Liberazione o integrazione?
Liberazione o integrazione? Entrambe! Ma nel mondo c’è ancora tanta strada da fare per arrivarci, specialmente per le donne. Il potere evidente stride con l’immagine femminile, perché in realtà quello della donna è piuttosto sotterraneo, nascosto, trasversale. Quando diventa ostentato o imita il modello maschile mi fa un certo effetto, lo trovo innaturale, ma mi piace vedere donne al potere e notare, in alcune, un nuovo modo personale di gestirlo, più affine alla nostra natura, in evoluzione.
Inevitabile inventare un nuovo rapporto con l’uomo …
Sento tante donne deluse dall’uomo contemporaneo e anche per me non è facile relazionarmi sentimentalmente, ma non smetto di fare autocritica perché la responsabilità nelle relazioni è al 50 per cento; credo che anche le donne debbano fare ancora strada prima di uscire dalla competitività e dall’incapacità di ascolto. Ritengo però che il percorso di crescita nei rapporti sia individuale, al di là del genere sessuale, anche se resta comunque il fatto che nel mondo prevale ancora troppo il maschile, e questo genera scontro, rabbia e frustrazione. Ho comunque molti amici uomini, che adoro. Ammiro le donne con la capacità di gestire sessualità, maternità e lavoro; per me la vita pratica è assai complicata, il mio lavoro è totalizzante e l’amore e l’eros, pur essendo elementi importanti anche per l’ispirazione creativa, spesso mi destabilizzano. Forse anche per questo non ho figli.
E come donna milanese?
Ho visto la donna milanese cambiare con il tempo e i costumi; è una donna aggiornata, generalmente riservata. Anche se salottiera sa evolversi e uscire gradatamente dagli stereotipi della mondanità, dato che Milano è una piccola metropoli in continua evoluzione e progresso. Speriamo che presto offra davvero anche delle pari opportunità.
Cosa ricorda della sua formazione?
Quando, da teenager e ancora studente al Conservatorio di Milano, mi trovai a prendere lezioni private con la prima arpa della Scala di quel tempo, la grande Mimma Oliva De Poli, nel teatro vuoto e con le luci abbassate, provai delle emozioni incredibili, dettate anche da quella acustica magica. Un giorno mi chiamò per dirmi di sostituirla nello Schiaccianoci di Tchaikovsky, interpretato da Nureyev, mentre ero in campagna immersa in un gruppo di ricerca musicale d’avanguardia. Lo stacco fu grande, e avevo un mese di tempo per prepararmi. Fui accolta con molto calore e stima dai professori d’orchestra, che m’incoraggiarono dal primo istante. E scoprì una grande umanità, la capacità di ridere e scherzare insieme a una grande professionalità. Posso solo dire che i musicisti, a quei livelli, sono spesso anche della grandi persone.
Solista classica e improvvisatrice jazz …
Il jazz è stato la mia via di liberazione dal rigore accademico. Ringrazio la tecnica che mi ha dato la scuola classica e la sensibilità che ho sviluppato attraverso di essa, ma anche il jazz per avermi rivelato la strada della creatività musicale sullo strumento e l’improvvisazione. Ho dovuto bere un whisky per affrontare il mio debutto al Tangram, il locale dove mi esibì la prima volta con bravissimi jazzisti; quel tipo di libertà musicale terrorizza all’inizio il musicista classico, e successe anche a me. Poi però non ne ho più potuto fare a meno di quella libertà creativa sullo strumento.
Come definirebbe la sua musica?
Nelle corde della mia creatività il lato più intimo e vero è quando suono, quando improvviso, quando mi escono i brani dalle dita, quando piango o rido sulle corde; quella sono io. Prevale l’arpista, nonostante abbia sempre rifiutato lo stereotipo dell’arpa dorata in stile barocco da angioletto che infatti ho trasformato, con la mia musica e l’uso dell’arpa elettrica, in uno strumento attuale, anche drammatico e contemporaneo. Che a volte abbandono, per poi innamorarmene di nuovo. In generale faccio fatica a definire la mia musica, ma effettivamente il genere Crossover è quello che più mi assomiglia, perché comprende tutti gli stili ed è trasversale fra i generi.
L’arpa è donna?
L’aspetto femminile dell’arpa appartiene all’immaginario collettivo, è nei sogni delle persone, nei dipinti dell’antichità. È talmente bella e aggraziata nella forma, con tutte quelle curve, che si associa facilmente alle fattezze femminili; il suo suono è dolce e armonioso, a parte quando lo stravolgo con un distorsore!
Scrittura e musica …
Ho scritto il romanzo come fosse una partitura, con la stessa orizzontalità e verticalità, seguendo il racconto dall’inizio sino alla fine, facendo attenzione a ogni dettaglio e a tutti i personaggi, contemporaneamente; come a uno strumento dell’orchestra al quale assegnare una parte, a ciascuno davo una frase o un ruolo nella storia che si stava svolgendo, insieme agli altri elementi. Così per me si è intrecciata la musica con la scrittura.
Nel suo romanzo affronta profonde tematiche femminili …
M’identificai nel movimento femminista, che coincise con la mia adolescenza; sono cresciuta lottando contro i condizionamenti, e anche pagando le conseguenze di quella ribellione ai canoni. Ho vissuto l’emancipazione femminili sulla mia pelle, e forse anche il mio modo di ribellarmi allo stereotipo dell’arpista “femminile” ne è l’espressione. Ora penso che ci sia molto da rivedere, ma anche che le donne d’oggi debbano tanto a quel movimento.
Esiste una musica al femminile?
Credo esista un modo diverso di comporre al femminile, un diverso approccio alla creatività dettato da quel diverso “sentire”. Forse la musica è il femminile del mondo, quello che abbiamo tutti, uomini compresi; non lo dice già l’articolo, in italiano, “La musica”?
Dove ambienterebbe un suo concerto milanese all’aperto?
Ho già avuto l’esperienza di suonare nel parco Sempione, adiacente al Castello Sforzesco, anni fa, nel concerto di presentazione del cd Stanze, frutto della mia collaborazione con Ludovico Einaudi, e credo non ci sia posto migliore a Milano per suonare all’aperto. Ma in generale preferisco suonare in teatri o in luoghi creati per l’ascolto.
La Milano che ama …
Di Milano amo l’espansione, la pluralità, la commistione di persone e nazionalità che la frequentano; mi piacciono le notti musicali, gli spazi verdi, l’attenzione ai fiori e la vivacità che sento crescere ogni giorno intorno a me. Mi piace scoprire angoli nuovi, palazzi, negozi, ristoranti; è una città molto vivibile, internazionale anche se a misura d’uomo. Per anni volevo andarmene, e molti della mia generazione l’hanno fatto, inseguendo anche il mito della campagna, ma adesso mi piace molto e non credo cambierei. Ne sono orgogliosa, perché è davvero bella e il merito di questo cambiamento è anche di noi fedeli milanesi che, nonostante gli alti e bassi, siamo sempre restati. Cosa farei, idealmente, per migliorarla? Ancora più spazio alla creatività dei milanesi, alla socialità, all’integrazione e alla voce della gente che la abita.