Era ancora aprile. Suo padre era morto, loro tre avevano dormito per qualche giorno a casa dei nonni, la mamma piangeva spesso e Nicola stava molto zitto. Gabriele, il fratellino di dieci anni, il bambino dolce di casa, tornò da scuola abbattuto. “Tesoro, sei ancora così triste! Ci vuole tempo, non devi tornare a scuola se non te la senti” gli aveva detto Laura tra mille baci. “No mamma voglio andare”. Aveva telefonato anche la maestra : “Gabriele ti vogliamo tutti un gran bene. Anche i tuoi compagni ti mandano i saluti e dicono le preghierine per te. Sei così bravo a scuola, non ti preoccupare resta pure con la mamma in questi giorni”. Ma Gabriele non voleva mancare e poi c’erano gli esami di quinta, che veniva pure il direttore della scuola, mica scherzi.
E così era l’ultimo giorno d’aprile, circa venti giorni dopo che quel fatto strano della morte di suo padre era successo e Gabriele andava puntualmente a scuola e puntualmente tornava da scuola. Nel tragitto pensava agli incidenti, soprattutto a quelli che portano in cielo le persone. Tutto avviene alla massima velocità e a sorpresa: la sera prima giochi con il trenino insieme a tuo padre tutto accovacciato a terra e lui dice che fare il capotreno è un bel mestiere, che comandare quel bestione di ferro è una gran soddisfazione, che in Giappone hanno costruito un treno che va a trecento all’ora, e il giorno dopo arriva l'incidente e lui ecco che scompare e va in cielo.
Quel giorno, l’ultimo di aprile Gabriele era tornato a casa con la cartella tutta abbandonata sulla spalla e la vocina fioca. Laura gli era corsa incontro abbracciandolo forte. “Che hai tesoro? “Niente” aveva risposto Gabriele. “Gabriele, ce l’abbiamo i segreti noi?” Questa era la frase preferita tra mamma normale e figlio sensibile. “No” aveva alla fine risposto Gabriele. “Allora?” “Ho fatto parecchi errori nel temino. La maestra ha detto che sono stato bravo lo stesso ma io ho visto tanti rossi, tanti tanti”. Perché Gabriele era così; serio, esigente,ordinato. A volte Laura lo guardava con ammirazione e stupore. Quando la confusione l’assaliva, quando si diceva che in fondo era solo una pazza, una puttana nell’anima, poi però guardava Gabriele e si sentiva meglio.
Era ancora aprile ma l’ultimo giorno di quel mese surreale. Da venti Guido era partito ma senza valigie, senza uno straccio di borsa, niente. Una morte urgente. Laura aveva dato i suoi vestiti ai poveri della parrocchia e il prete l’aveva ringraziata: “Ce ne fossero di donne come lei signora Salvi” le aveva detto all’uscita della messa domenicale. La bici, l’auto, i libri e le riviste sarebbero rimasti al loro posto, così come le foto che teneva nello studio. Ma che fare delle sue strane collezioni? Che farne di tappi, sassi e occhiali da sole? La casa era ancora segnata, qua e là, di questi suoi oggetti mania e nessuno sapeva come maneggiarli e che cosa farne. Nicola non osava sfiorarli, Laura li guardava e piangeva, Gabriele stava zitto e si chiedeva se suo padre avesse scambiato i doppioni con gli amici. Tutta la casa, in quei primi venti giorni dalla sua improvvisa partenza si stava come contorcendo per adattarsi alla strana privazione, come un corpo dopo un’operazione chirurgica di asportazione.
Quell’ultimo giorno d’aprile era riscaldato da un sole tutto nuovo, epurato dalle scorie di un anno intero, emerso dal freddo di quella strana primavera e la casa era illuminata in ogni suo angolo. Erano le due del pomeriggio. Laura, seduta sul divano aveva chiuso gli occhi e si lasciava intorpidire da quel calore. Un po’ piangeva al pensiero di Guido chiuso dentro la cassa da morto e un po’ pensava alla sensazione del primo bacio. L’ingresso in bocca di una lingua sconosciuta.
Nicola steso sul letto in camera sua osservava un raggio di sole colpire in pieno un libro di matematica, poi, compiendo una deviazione di centoottanta gradi, salire sulla libreria e accarezzare il bordo della chitarra elettrica e scavalcando le belle forme dello strumento, colpire il cesto dove nascondeva, sotto i pezzi di un vecchio trenino elettrico, una nuova rivista porno di seconda mano. Lo stesso sole accompagnava Gabriele e il suo amichetto Alessandro verso l’oratorio.
Non avrebbero giocato al pallone loro due ma guardato gli altri e cercato ranocchie.
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