Era ancora aprile. Laura dopo solo una decina di giorni dal funerale aveva sentito il bisogno devastante di essere abbracciata stretta, di essere baciata sul collo e dappertutto. Lei e Sergio chiusi al buio in camera da letto nell’appartamento di lui, avevano fatto l’amore invece di pranzare. I ragazzi erano dai nonni. Lei per tutti era dal medico.
Forse c’era chi, nella palazzina alto borghese dove abitava il professore, si era accorto di quella giovane donna con un foulard in testa e gli occhiali da sole che era entrata dalla porta dei garage, e non era la prima volta, ma a Laura non importava, non abbastanza. Era sempre stata una donna bisognosa di seduzione, governata dall’idea della passione. Una donna segreta. Povera e senza una vera istruzione, Laura si era sollevata dalla miseria grazie alla sua bellezza.
Bellezza, eleganza e erotismo erano state le leve con le quali aveva affascinato Guido, avvocato in una grande azienda quando aveva vent’anni e lui dieci di più, e Valerio ingegnere civile di Torino e suo amante poco prima del matrimonio e ora Sergio, un professore di matematica, liceo scientifico. Dell’amore passionale, infantile, temporaneo, morituro, aveva bisogno come l’aria. Mai e poi mai avrebbe vissuto senza, diceva a Silvia, l’amica esperta di oroscopi. Quando il sentimento per Guido era diventato solido affetto, positivo crescere adulto, lei si era sdoppiata accettando una volta per tutte e serenamente che la schizofrenia entrasse nella sua vita. “Mi amerai per sempre?” chiese a Sergio in quell’ora di pranzo senza cibo, avvolta in un lenzuolo intriso di odore di sesso e profumo. “Per sempre” aveva risposto l’amante cingendola ancora. Ma le braccia dell’uomo, dopo quell’orgasmo feroce, non sembravano avere più lo stesso fascino.
Era ancora aprile. Mamma normale non era in casa quando Nicola tornò da scuola ma trovò un suo biglietto con scritto: “Amore il pranzo è sopra il tavolo. Ho fatto un salto dal dottore. Torno subito”. Nicola aveva acceso lo stereo e messo su il disco dei Joy Division. Come era bella la casa quando non c’era nessuno; tutto quello spazio arredato con mobili moderni era una meraviglia. “Ce la possiamo cavare, se stiamo attenti” aveva spiegato loro Laura “papà ha pensato a tutti noi. Cerchiamo di essere all’altezza di quello che ci ha lasciato. Promettetemi che studierete e sarete sempre bravi”.
Avevano promesso. Sia lui che Gabrielino avevano promesso. Bravi a scuola, bravi in casa, bravi nel capire la mamma, quando piangeva. Una sera Nicola entrò nella sua camera e, senza dire una parola si sedette sul bordo del letto. Lei si girò verso di lui e disse: “Mi manca tanto sai? In fondo eravamo simili io e lui. Molto simili. Ci capivamo al volo”. Nicola aveva fatto la faccia infastidita come per dire: “Ma che mi dici? Queste cose non si dicono ai figli”. Laura aveva subito capito l’inadeguatezza di quella confidenza istintiva e, in fretta, era rientrata nel suo ruolo. Con un tono severo aveva prontamente aggiunto: ”Tuo padre ci guarda da lassù. Fai il bravo e va a letto. Non deluderlo mai, ormai sei tu l’uomo di casa”.
Ecco, questa frase era giusta, questa era una frase-mamma, aveva pensato Nicola e sbuffando aveva risposto: “Però non mi stare addosso, occhei?”. Aveva quindi accettato un suo bacio sulla guancia ed era andato nella sua stanza chiudendovisi dentro. Da due anni lui e il suo amico Gianni si scambiavano riviste porno. Da quando quel mondo fatto di curve e immagini impietose e facce bellissime era entrato nella sua vita, lui aveva capito che grande energia si potesse liberare dal suo corpo. E anche dalla sua mente.
Il mondo aveva una chiave di lettura segreta e parallela.
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