Qual è lo stato dell’arte della ricerca pubblica in Italia? Una sorta di fotografia è stata presentata in occasione di un incontro promosso dalla Consulta dei Presidenti degli Enti Pubblici di Ricerca e dalla CRUI, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, con il titolo La ricerca pubblica italiana: risultati, obiettivi e risorse. Oltre che una fotografia anche un momento di verità sui meccanismi che governano un settore delicatissimo, cruciale e altamente competitivo a livello internazionale nel quale il nostro paese non può permettersi di perdere terreno pena la marginalizzazione e il lento declino in campi determinanti per il futuro.
La ricerca è stata definita come un volano di sviluppo socio-economico, oltre che scientifico e culturale e che il ruolo di Enti di ricerca e Università deve ritagliarsi lo spazio di esempio di trasparenza nella pubblica amministrazione. È altrettanto evidente che la necessità di aumentare il capitale umano della ricerca ha un valore e un interesse anche finanziario del Paese. I più recenti dati sullo stato della ricerca pubblica confermano il quadro generale degli ultimi anni. L’Italia investe meno di altri Paesi in Ricerca e Sviluppo (1,33% del PIL nel 2015 contro una media europea pari a 2,03% - Fonte EUROSTAT) e ha un numero inferiore di ricercatori rapportato alla popolazione (nel 2015 la percentuale dei ricercatori ogni mille occupati in Italia era pari al 4,73% contro una media europea del 7,40% - Fonte OECD).
Le analisi del posizionamento internazionale del Paese in termini di performance della ricerca pubblica evidenziano però uno stato di salute buono e, per certi versi, ottimo. La quota sul totale della produzione scientifica italiana delle pubblicazioni su riviste eccellenti (presenti nel top 5% internazionale in base al fattore di impatto) è superiore alla media mondiale (Fonte Report ANVUR 2016). Analogamente, nel periodo 2011-2014, l’impatto della produzione italiana, risulta superiore alla media dell’Unione Europea. Il paese è posizionato poco sotto gli Stati Uniti per impatto medio, ma con valori molto superiori per quota di pubblicazioni su riviste di eccellenza. In sintesi – una delle tesi esposte - se si guarda alla qualità della produzione scientifica italiana, essa risulta elevata in rapporto alla spesa pubblica e privata in ricerca.
Da ribadire anche se intuitivo ed evidente che è fondamentale rilevare che gli investimenti in ricerca che lo stato veicola sugli Enti e le Università italiane hanno un immediato effetto moltiplicatore grazie alla capacità di acquisire risorse europee e da Agenzie internazionali, oltre che da privati. Tutti i finanziamenti dello Stato (per altro soggetti a controlli e verifiche puntuali) vengono spesi fino all’ultimo euro e spesso non consentono neppure di coprire interamente i costi di funzionamento degli Enti e degli Atenei. Gli Enti e le Università ricevono finanziamenti dallo Stato e rendono conto del modo in cui li spendono, dei risultati che ottengono, della loro capacità di contribuire all’avanzamento delle conoscenze ed all’innovazione del Paese: sono infatti sottoposti a valutazioni mirate e dettagliate sulla produttività scientifica, tale valutazione consente di misurarsi con obiettivi quantitativi, di indirizzare con più efficacia le risorse, di competere a livello internazionale.
“La Consulta dei Presidenti”, sottolinea il presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche Massimo Inguscio, “è impegnata a formulare proposte concrete per un miglior funzionamento della ricerca pubblica italiana, dalla valutazione al reclutamento. Chiediamo più risorse per poter essere sempre più competitivi, per poter affrontare le grandi sfide internazionali e per consentire l’inserimento di giovani ricercatori nel sistema”. “I successi della ricerca italiana, e di quella universitaria in particolare, sono da decenni basati sullo sforzo di giovani e meno giovani”, sostiene Gaetano Manfredi, presidente della Crui. “Ricercatori che formiamo al livello dei Paesi in cima alle classifiche, ma che ogni anno rischiamo di perdere per le difficoltà di reclutamento. Un dato su tutti rende chiara la situazione, al di là di ogni interpretazione: per H-Index siamo settimi al mondo dopo il Giappone e prima dell’Olanda, che destinano alla ricerca cifre ben più consistenti di quelle italiane”.
Secondo il Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della Ricerca 2016 dell’Anvur, l'analisi delle risorse riguardanti i principali programmi di finanziamento del MIUR evidenzia un andamento a campana rovesciata per tutte le principali iniziative. Il Fondo Ordinario per il finanziamento degli enti e istituzioni di ricerca (FOE), distribuito in parte su base premiale, raggiunge un massimo nel 2011, per poi decrescere negli anni successivi. Per l’anno 2015 sono stati stanziati per gli enti di ricerca vigilati dal MIUR 1.701 milioni di euro. I fondi dedicati ai Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale delle università (PRIN) hanno raggiunto un massimo nel 2009, per poi mostrare una tendenza alla diminuzione. Negli ultimi anni i PRIN non sono stati banditi con cadenza annuale; dopo il 2012 c’è stato un bando solo alla fine del 2015, con uno stanziamento pari a 91 milioni di euro. Anche le risorse destinate al Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base (FIRB) si sono attestate nel 2014 ai livelli minimi degli ultimi anni: tra i programmi, quello denominato SIR (Scientific Independence of young Researchers), bandito nel 2014 e destinato a sostenere i giovani ricercatori nella fase di avvio della propria attività di ricerca indipendente, ha avuto una dotazione di 54 milioni di euro.
Il Fondo per le Agevolazioni alla Ricerca (FAR) non è stato finanziato negli ultimi tre anni (2013-2015). Sul fondo FAR sono gestiti i progetti che rientrano nel Programma Operativo Nazionale (PON). È stato approvato dalla Commissione Europea il PON “Ricerca e Innovazione” 2014-2020, che prevede un budget complessivo di 1.286 milioni di euro per programmi di ricerca e innovazione al Sud. L'analisi della capacità dell’Italia di accedere ai finanziamenti europei nell’ambito del programma quadro Horizon 2020 (H2020), che rappresenta l’ottavo ciclo pluriennale di programmazione coordinato a livello comunitario per il settennio 2014-2020, si focalizza sui primi due anni di programmazione (2014-2015). Sono considerati sia i progetti approvati e già avviati (circa 5.000) sia quelli approvati ma non ancora avviati (circa 1.700), su un totale di 180.000 progetti presentati.
Rispetto all’analoga analisi relativa al periodo 2007-2012 (coincidente con le prime sei annualità del 7° programma quadro), il sistema della ricerca nazionale mostra una maggiore capacità di partecipazione e un più alto tasso di successo nei progetti collaborativi caratterizzanti il secondo e terzo pilastro di Horizon 2020 (rispettivamente Industrial Leadership, con dotazione finanziaria di 17.015 milioni di di euro e Societal Challenges, con dotazione finanziaria di 29.678). Invece permangono, e in qualche caso aumentano, le criticità riguardanti il primo pilastro (Excellent Science, con una dotazione finanziaria per il settennio di 24.441, che include il finanziamento dei bandi ERC). Permane una significativa distanza tra la quota dell'Italia del contributo nazionale alla dotazione finanziaria del programma quadro (12,5% dopo la correzione effettuata ex post in favore di alcuni paesi) e i finanziamenti ottenuti (8,1% del totale erogato).
Tale risultato riflette il tasso di successo (10,6%), significativamente inferiore rispetto ad altri importanti paesi europei, mentre il tasso di partecipazione alle proposte, 12,7%, è in linea con la percentuale di contribuzione alla dotazione finanziaria. Questi dati determinano un ritorno sul territorio nazionale di 0,66 centesimi (0,71 teorico) per ogni euro investito dall’Italia nel programma quadro. A livello di programma di finanziamento, il divario maggiore si registra nel programma ERC del pilastro Excellent Science, dove la percentuale di progetti basati in Italia (in termini di finanziamenti) si ferma al 5% e il tasso di successo italiano è minore della metà di quello medio complessivo. Tuttavia emergono situazioni più favorevoli per alcuni settori disciplinari (matematica, fisica dei costituenti fondamentali della materia, economia) e alcune istituzioni. Il divario tra contributi nazionali e finanziamenti ottenuti è almeno in parte il riflesso della esigua consistenza del personale direttamente o indirettamente dedicato alla ricerca. Se si confrontano i risultati del personale addetto alla ricerca, il divario tra l’Italia e i principali paesi presi a confronto si azzera o cambia segno.
Nel periodo 2011-2014 la quota italiana sul totale delle pubblicazioni mondiali si attesta complessivamente al 3,5%; la produzione scientifica nazionale cresce ad un tasso medio annuo del 4%, in lieve rallentamento rispetto ai periodi precedenti. Essa inoltre mostra una specializzazione nelle Scienze biologiche, nelle Scienze della Terra, nelle Scienze fisiche, nelle Scienze mediche e nelle Scienze matematiche e informatiche. Nelle aree bibliometriche, la ricerca scientifica è svolta prevalentemente in collaborazione con coautori (appartenenti soprattutto alla stessa istituzione o a istituzioni basate all'estero); nelle aree non bibliometriche, prevale invece in genere la produzione svolta da un singolo autore, ma la quota di collaborazioni internazionali risulta comunque sempre superiore a quella dei paesi dell’Unione Europea a 15 e del Mondo.
La quota sul totale della produzione scientifica italiana delle pubblicazioni su riviste eccellenti (presenti nel top 5% internazionale in base al fattore di impatto della sede di pubblicazione) è superiore alla media mondiale. L’Italia mostra anche una performance in linea con quella dei paesi dell’Unione Europea, anche se di poco inferiore a quella di Francia, Germania e Regno Unito, e migliore rispetto ai paesi emergenti dei BRIC e a quelli asiatici.
Nel periodo 2011-2014 l’impatto della produzione italiana è superiore alla media dell’Unione Europea e maggiore di Francia e Germania, collocandosi invece, in Europa, al di sotto di Svizzera, Olanda, Svezia e Regno Unito. Gli Stati Uniti si collocano poco al di sotto dell’Italia per impatto medio, ma con valori molto superiori per quota di pubblicazioni su riviste di eccellenza. L’Italia risulta caratterizzata da elevati valori di produttività se si rapporta la produzione scientifica sia alla spesa in ricerca destinata al settore pubblico e all’Istruzione Terziaria sia al numero di ricercatori attivi. Rispetto a questi ultimi, la produttività italiana risulta costante nel quadriennio 2011-2014, attestandosi sui livelli della Francia e superiore a quelli della Germania. Il Regno Unito rimane il leader europeo.
Sempre secondo i dati Anvur, un confronto più approfondito – e volto a suggerire meccanismi di correlazione – dei dati relativi ai vari paesi richiede di tener conto della dimensione del sistema della ricerca nazionale e dei fattori di input sottostanti. In questa sezione vengono presentati vari approcci alla normalizzazione dei dati, rapportando i fondi ottenuti in Horizon 2020 ai fattori di input. Pur contemplando possibili difformità nei dati (i dottorandi con borsa sono circa 22.000-25.000 negli anni di riferimento, in Italia), una volta che si rapportino le risorse ottenute agli input impegnati in ricerca, i risultati dell’Italia divengono comparabili o migliori – a seconda della variabile usata per la normalizzazione – a quelli ottenuti da Germania, Francia, Regno Unito e Spagna.
La Commissione Europea - quest’anno si festeggiano i 60 anni dei Trattati di Roma e i 10 anni dell’European Research Council (Erc) - nel Jrc Science For Policy Report - Rio Country Report 2016: Italy evidenzia come, in Italia, il ruolo chiave per la R&S e i sistemi di innovazione sia dato dal governo centrale, ossia dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Nel 2015 sono stati fatti investimenti nel settore ricerca e sviluppo per un totale dell’1.33% del PIL. Le imprese hanno finanziato attività di R&S per lo 0.74% del PIL, le Università per lo 0.38%, il governo - soprattutto enti pubblici di ricerca – ha contribuito con lo 0.18%, le istituzioni no-profit con lo 0.04%. In termini di finanziamento, nel 2014 il finanziamento estero per R&S rappresentava lo 0.13%, di cui lo 0.04% proveniva da risorse della Commissione Europea.
I Programmi Quadro (FP6 e FP7) stanno diventando un canale rilevante per il fondo Europeo di ricerca in Italia. Con un tasso di successo delle proposte italiane del 18.3%, l’Italia è il quarto stato più finanziato nel FP7 dopo UK, Francia e Germania; la partecipazione delle imprese è forte, con sei aziende italiane tra le 50 principali beneficiarie delle sovvenzioni per le imprese nel 2007 e 2013, due università nella top 50 dell’HEI e sei centri di ricerca nella top502.
Dall'inizio della crisi nel 2008, gli stanziamenti totali (civili) governativi per la R&S mostrano però una tendenza al ribasso e nel 2014 sono significativamente più bassi rispetto ai loro livelli pre-crisi. Questa riduzione è alla base di diverse tendenze, tra cui il forte calo del numero di ricercatori e professori che nel periodo 2008-2014 è diminuito del 20% (coinvolgendo 10.000 persone), un calo superiore a quello di altre istituzioni pubbliche. La riduzione dei fondi ha avuto effetti nella spesa pubblica in entrambi i settori del pubblico e del privato. Ad esempio PRIN E FIRB hanno dovuto fronteggiare riduzione e slittamenti nei bandi di gara; il nuovo programma volto a favorire i giovani ricercatori SIR non è finanziato dal 2014. Nel 2013 FAR, il più grande fondo per le industrie in R&S è stato sospeso per mancanza di fondi. Nel 2015 l’Italia ha poi introdotto la “Patent Box”, permettendo la detrazione del 50% sulle tasse originate dal diretto o indiretto uso della proprietà intellettuale (Patenti, marchi, design industriali e modelli).
Nel 2015 l’attività di ricerca e sviluppo (R & S) italiana svolta dal governo è pari al 0,18% del PIL, ben al di sotto della media UE del 0,24%. Anche la R & S finanziata dal governo è al di sotto della media UE: nel 2014 pari a solo lo 0,56% del Pil rispetto a una media UE pari al 0,66% del PIL. Le risorse destinate al sistema universitario hanno registrato una notevole riduzione. I fondi per bandi di gara sono inoltre stati drasticamente ridotti: le risorse per i Progetti di interesse nazionale (PRIN) sono passati da 100 milioni di euro nel 2009 a 38.2 milioni nel 2012. Le risorse per il Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB) sono state pari a 29,5 milioni nella call lanciata alla fine del 2012. Nel 2013 e 2014, il MIUR non ha pubblicato alcun nuovo bando FIRB o PRIN. Nel gennaio 2014, il MIUR ha pubblicato il bando Scientific Independence of young Researchers (SIR) con un budget di soli 47 milioni. Solo nel novembre 2015 è stato lanciato un nuovo bando PRIN, con un budget di 91.9 milioni. Sono state presentate più di 4.300 proposte di cui ne sono state finanziate solo 300 nell’ottobre 2015. Nonostante queste riduzioni di finanziamento, i risultati della ricerca in Italia in termini di pubblicazioni scientifiche sono rilevanti e in continuo miglioramento. La performance dell'Italia in termini di produttività scientifica sono generalmente migliori di quelle di Germania e Francia.
I dati dell’Unesco Science Report - Towards 2030 indicano che l’Italia dedica una quota minore del PIL alla R&S rispetto a molti dei suoi vicini più grandi (1,3% del PIL nel 2013). Questo rende difficile per l'Italia muoversi verso un sistema di ricerca più efficiente e ridurre la sua specializzazione in settori a basso contenuto tecnologico. Nel 2013, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha lanciato un documento strategico, Horizon2020 Italia, per rafforzare il sistema di innovazione italiano, allineando i programmi di ricerca nazionali con quelli europei e riformando la governance del sistema della ricerca, ad esempio attraverso nuove procedure competitive e meccanismi di valutazione finanziamenti pubblici. Un anno dopo, il governo ha introdotto il Programma Nazionale della Ricerca 2014-2020, che propone di rafforzare il sistema di ricerca italiano stimolando le partnership pubblico-privato, il trasferimento delle conoscenze e incentivando migliori condizioni di lavoro per i ricercatori.
L’innovazione delle imprese è sostenuta dalla delineazione di nuovi quadri giuridici dedicati alle start-up innovative e dalla semplificazione dell'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese. Le start-up innovative sono esenti dai costi per l'istituzione delle loro attività e hanno:
• il diritto a 12 mesi in più rispetto ad altre imprese per recuperare le perdite;
• la possibilità di raccogliere capitali tramite crowdfunding;
• il diritto a un più facile accesso ai finanziamenti del governo (Fondo Centrale di Garanzia per le piccole e medie imprese);
• il diritto di beneficiare delle disposizioni di diritto del lavoro speciali che non richiedono loro di giustificare la stipula di un accordo a tempo determinato;
• il diritto a vari incentivi fiscali, come ad esempio la possibilità per i contribuenti di reddito personali che investono in start-up innovative a ottenere un credito d'imposta pari al 10% dell'importo investito, fino ad un massimo di 500.000 di euro.