Nel giugno 1917, i resoconti dal fronte di guerra, nelle trincee del Sisemol, parlano di aneddoti interessanti. Ad esempio, i prigionieri austriaci che venivano presi in consegna dai nostri soldati raccontavano a un capitano che li interrogava nelle trincee avanzate, come fosse stato loro assicurato che gli italiani stessero morendo di fame, che i soldati nelle trincee mangiavano una volta al giorno pane fatto con granone e paglia, con rancio confezionato con carne di cavallo, fatto assolutamente disdicevole per i tempi. L’interprete dell’interrogatorio era un volontario irredento che riferiva tutto con estrema precisione. Sentito il racconto, il capitano fece notare ai prigionieri affamati come al parapetto del profondo trincerone, legate a bastoncini, facessero bella mostra di sé delle tonde pagnotte, gavette fumanti e scatolette di carne accompagnate da grida ironiche della truppa: “Venite a prenderle!”.
Il racconto degli austriaci, tuttavia, aveva infastidito un po’ tutti, tanto che in serata, un sergente e quattro zappatori mancavano all’appello. Il tenente non si spiegava la loro assenza, ma la vedetta, sul fronte di guardia interno, gli comunicò ben presto che il sergente era stato munito di permesso del capitano per recarsi alla Casera di Bertigo. L’indomani mattina, al centro della trincea italiana, oltre la striscia dei reticolati, svettava un abete sfrondato, diventato un albero della cuccagna, al quale arano stati legati una gallina, un salame, un fiasco di vino, molte pagnotte e una bottiglia di Asti spumante. I soldati avevano innalzato nottetempo l’albero per dimostrare ai nemici, in una guerra psicologica che doveva anche difendere l’orgoglio, la falsità delle affermazioni messe in giro dal comando austriaco per convincere i soldati a combattere i nemici italiani. Inchiodato all’albero un cartello recitava: “Campione viveri della compagnia”.
La lotta, comunque, non si fermava e la retorica neanche. Ecco un resoconto: “Contro i nostri profondi trinceramenti protetti, blindati, specie di fortilizi sotterranei, muniti di antiche e nuove difese accessorie, che l’attività, il genio italico hanno rapidamente fatto sorgere sulla Carsia Giulia, le artiglierie austriache con rabbiosa bile lanciano giornalmente una grande quantità di granate di ogni calibro”. Anche in questo caso, pur sotto il fuoco continuo del nemico, tra i soldati trincerati non mancava il pratico senso dell’umorismo. Infatti, un 305 austriaco passò vicinissimo a una dolina andando a cadere in una buca dove, il giorno prima, erano stati seppelliti due muli, vittime della ferocia nemica. Lo scoppio fece volare in alto per parecchi metri le carogne e una di queste cadde in un ricovero di approccio, vicinissima ad un soldato veneto che esclamò: “Ostregheta! Xe proprio vero che i tedeschi xe senza bale! I carja i canoni coi muli!”.
In Trentino, un ottantenne si rifiutò di lasciare la sua casa quando i carabinieri andarono a prelevarlo per sfollarlo in zona più sicura. Assicurò i militi che non solo non se ne sarebbe andato via da lì, ma che avrebbe fatto pagare caro agli austriaci ogni tentativo di portargli via la sua terra. La controffensiva italiana non si era fatta attendere, così, nelle trincee del Monte Magnaboschi, accanto ai baldi giovani fanti, combatteva anche il veterano che il 25 luglio del 1866 aveva visto battere in ritirata verso Gradisca, gli austriaci.