Da tempo desidero riconoscere artiste e artisti che a questa città hanno consegnato le loro testimonianze. Mi faccio così testimone del lavoro di amiche e amici che a Ravenna sono arrivati o che da Ravenna si sono allontanati e ogni tanto ritornano, o che a Ravenna come me stanno. Così, quando ho saputo che alla Sala Muratori della Biblioteca Classense il 22 aprile ci sarebbe stata una rilettura della rivista Stilo, ho provato un colpo al cuore. Stilo, la mia preistoria.
All'inizio degli anni '80 venne a insegnare al Liceo Artistico Antonio Marchetti. Siamo diventati subito amici. Antonio era "artista, scrittore e raffinato intellettuale" tutto insieme. Aveva già nella mente il progetto della rivista Stilo. A me piace il gioco delle relazioni: creare luoghi d'incontro tra persone che hanno interessi comuni e far nascere così progetti condivisi. In questo caso Antonio aveva già le idee chiare e il mio compito in quanto redattrice è stato quello di presentargli artisti e intellettuali in grado di seguirlo in questo suo progetto. I nostri interventi, sia in scrittura, sia in immagini venivano poi da Antonio tradotti, ricreati e come tali raggiungevano una verità più profonda che si estendeva oltre i lavori stessi.
In Antonio vi era poi il desiderio di incontrarsi e confrontarsi con persone che per forza creativa fossero ai suoi stessi livelli. E la sua parola spesso raggiungeva l'intensità della stilettata. Il titolo di questa stupenda rivista quindi non è un caso. Ricordo quando, tramite Maurizio Bonora, fummo ospitati al centro Video Art del Palazzo Massari a Ferrara. Quella sera presentai un video nel quale appariva l'immagine di un insetto nell'impossibilità del volo. Ricordo l'incontro con Giulio Guberti allora direttore illuminato della Pinacoteca Comunale al quale feci vedere il primo numero di Stilo e gli chiesi di fare un intervento nel mio prossimo lavoro: così nacque una importante collaborazione. Ci sono stati poi tanti altri incontri dove l'interesse della conversazione veniva sempre accompagnato da buon vino e cibo. Ma quello che più m'incantava in Antonio era la sua eccezionale capacità di far conversare con il foglio bianco le opere visive o la scrittura. Ricordo tale perfezione solo in antichi codici miniati. In quel tempo in me maturava il desiderio di fare esperienze legate alla storia delle donne. Nella mia mente avvertivo profondi interrogativi a cui dare risposta. Dopo il quarto numero abbandonai Stilo. Me ne andai prima a Torino nel gruppo Sofonisba Anguissola, poi a Roma da Marta Lonzi che insieme alla sorella Carla, fondarono negli anni '60 Rivolta Femminile. Furono esperienze che modificarono la mia vita e quindi anche il mio lavoro nel campo dell'arte. Certo. Rimane potente il ricordo di Antonio e di Stilo perché credo che in quell'atemporale invulnerabile dimensione del Logos tutto sopravviva. Ora la testimonianza di Virginia Cardi che insegna Antropologia dell'arte all'Accademia di Brera di Milano.
Il 22 aprile, presso la Sala Muratori della Biblioteca Classense di Ravenna, ha avuto luogo una giornata di studio sulla rivista Stilo di Antonio Marchetti (1952-2013), pubblicata a Ravenna dal 1982 al 1988, in occasione della consegna dei numeri del periodico all’Istituzione Biblioteca Classense. Al saluto del Direttore Maurizio Tarantino, sono seguiti un’introduzione di Alberto Giorgio Cassani, docente di Storia dell’Architettura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, e gli interventi di Umberto Palestini, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, Rocco Ronchi, docente di Filosofia Teoretica presso l’Università degli Studi dell’Aquila. “Una piccola rivista fatta sotto il segno della passione, del de – pensamento e del dispendio, può anche guardare lontano, che vuol dire anche guardare indietro”. In definitiva guardare” il passare” ... Il passare è il ritornare, come dice bene Scalia”, scrive Antonio Marchetti in uno dei suoi primi editoriali.
Marchetti fonda la rivista a Ravenna appena trentenne, e appena giunto da Fermo, sono anni di studio e di produzione artistica e di scrittura. “Scrittura come illuminazione e vertigine”, “Scrittura come possibilità di sottrarsi al tempo lineare e demoniaco della ripetizione” (A. M.). La sua biblioteca interdisciplinare attraversa un campo di interessi vastissimo, dalla letteratura alle arti, all’architettura, all’antropologia, al pensiero filosofico, nel corso degli anni settanta rivolto ai francesi, a quel pensiero della differenza che risuona in tante pagine della rivista, come balena nelle precedenti riflessioni; il pensiero nel suo contagio e sconfinamento nell’immagine, nell’immaginario sonoro: “soglia che rappresenta l’attesa, l’avvento, la memoria, il tempo e tutto quello che si sottrae al tuo sguardo avido” (A. M.).
Sono anche gli anni dei grandi incontri con Barthes, Blanchot, Bataille, Carmelo Bene da un lato; con i grandi architetti e pensatori della sua formazione di architetto, dall’altro. Con Aldo Rossi, a cui si lega in particolare per quell’idea dei luoghi (il libro, la casa, la città, dunque Stilo) come teatro del fluire del tempo, tra passato e futuro, nella Biblioteca di Marchetti trovano anche dimora le riviste di critica letteraria, politica e sociale del tempo.
Stilo fu titolo necessario (stilo, penna e coltello a un tempo) che Antonio riprese dal memorabile testo di Vegetti, Il coltello e lo stilo. Marchetti intese che si dovessero ricercare autori e temi per una riflessione orientata fuori dalle ideologie e dalle comode appartenenze, al contrario, avviò percorsi desueti, fin dall’inizio, come nel n. 1, con quella ricerca iconografica sulle cere anatomiche bolognesi del Settecento, e sulla cappella dei Martiri nel Duomo di Otranto, realizzata da Michele Cosentino, numero dedicato ad Artaud; ricamato da un bel testo visionario e profetico su Marcinkus e i frati neri di Guberti e in chiusura da un scritto di tenore scientifico su Il teatro della morte in epoca barocca di Alessandra Scagliarini, in quella sapiente alternanza, che fu cifra saliente della rivista, tra testi creativi e di ricerca.
I primi numeri escono in fascicolo, in formato A3, dove l’immaginario visivo si riconduceva alle estetiche, che negli anni Settanta ricercarono il rapporto perduto tra parole e immagini. Immagine e parola dovevano riconvergere “per incidere, stilare”. Parole e immagini dovevano tornare a dire le cose. Successivamente a partire dal numero cinque, Stilo diventa volume, acquisendo un’ulteriore solidità di impianto e di collaborazioni. Marchetti condivise con Gianni Scalia, sicuramente uno dei padri dell’opera, la necessità che gli intenti rivoluzionari degli anni Settanta si trasferissero nel linguaggio, nella ricerca di autori e testi; che le idee nuove maturassero attraverso la complessità e la varietà di parole memorabili.
Stilo rappresentò un laboratorio culturale tra i più particolari e interessanti nel panorama italiano degli anni Ottanta, articolandosi in un andamento monografico, dedicato ad autori in quegli anni controcorrente o di rottura, veri padri fondatori, da Truffaut a Barthes, da Dino Campana a Pasolini, da Artaud a Malreaux. Precisava Marchetti, in apertura del n. 6, Secretaire, dedicato a Truffaut: questa rivista continua la sua dedica ai morti; e il numero si apriva con un magnifico testo del 1939 di Renè Daumal sui fantasmi, La patafisica dei fantasmi.
La rivista ebbe un’impronta letteraria e filosofica, unendo fortemente la ricerca artistica a un pensiero critico. Pensare e fare arte, dunque. Per Stilo l’esercizio della scrittura e l’esperienza estetica si saldarono, rivendicando un’autonomia dell’artista. Queste istanze si trovarono in sintonia con quella volontà espressiva e dialogante tra i linguaggi delle arti visive, musicali, performative; in una militanza culturale dell’arte, in un impegno che percorsero gli anni Settanta, in cui Marchetti fu giovane protagonista. La partecipazione al periodico di artisti, Concetto Pozzati, Mario Giacomelli, Fabio Mauri, Giordano Bonora, Vittorio Mascalchi, dello stesso Marchetti, insieme ai giovani Giovanni Lombardini, Mariella De Logu Busi, Giordano Fanelli, Roberto Paci Dalò, si univa alla presenza di compositori contemporanei, come Gian Franco Pernaiachi e Luciano Bellini, personalità che oggi hanno maturato vasti riconoscimenti e che condivisero con Antonio il “coraggio della vocazione”, “la coerenza esistenziale”; e ancora, musicologi, quali Paolo Fabbri, critici e intellettuali, quali Alberto Boatto, Gianni Scalia, Achille Bonito Oliva e Umberto Palestini, cineasti come Attilio Bertolucci, il filosofo Giorgio Agamben, autori, quali Anne Marie Sauzeau Boetti furono presenti a partecipare ai palinsesti tematici di Marchetti; trai più noti,* La distanza e il tempo / Diario / Secretaire / Immagine / Immagine della Terra*.
Gli inediti che Stilo offriva al lettore furono scelti tra autori dalla forte identità poetica e di pensiero, furono André Malraux, Marcel Schwob, René Char, René Daumal, Jean Cocteau, Ernst Jünger. Tra alcuni testi pubblicati ricordiamo di Andrè Malraux , Il Museo immaginario, da La voix du silence del 1965, di Jean Jenét, Il segreto di Rembrandt, uscito sull’Exspress nel 1958, di Jean Cocteau, Descrizione dei tableaux vivants, dal Journal d’un inconnu del 1953, di Joe Bousquet, Pupilla, che insieme composero il ricco numero Immagine, a cui si aggiungevano i magnifici testi di Alberto Boatto su Nero Punk e di Agamben, Il viso e il silenzio. E ancora inediti per Diario di Roland Barth, Risoluzione, uscito nel 1979 per Tel Quel, di Jünger, Pagine di Diario, tradotto da un’edizione tedesca del 1980. Autori che furono ricercati con la collaborazione del francesista e amico Charles Debierre. Come anche si deve dare memoria alla folta schiera di giovani cultori, che curarono la scientificità delle traduzioni, che diverranno in seguito studiosi nelle Università italiane e straniere, allora giovanissimi.
Il periodico che usciva semestralmente per abbonamento si impose negli annuari delle riviste letterarie accanto a titoli prestigiosi di quei tempi, Alfabeta, Nuovi argomenti, In Forma di Parole. Ebbe importanti vetrine, quali programmi radiofonici sul terzo canale, fu presentata nel programma curato da Franco Maria Ricci, fu presente agli incontri d’arte di Villa Medici con Alberto Boatto e Jacqueline Risset, presso la Soffitta e l’Associazione Italo Francese di Bologna con Scalia e Debierre. La rivista attraversa gli ambienti della cultura ravennate con l’assidua presenza di Giulio Guberti, Mariella De Logu Busi, Giordano Fanelli, per poi, aldilà di ogni localismo, aprirsi alle personalità più significative della scena italiana e internazionale, ricevette talvolta la collaborazione delle Istituzioni ravennati.
Nell’archivio di Marchetti si ritrovano i carteggi per la preparazione dei numeri, tra le tante missive delle personalità già citate, ritroviamo le lettere di Jünger, di Argan, che rispondono con quella semplice e naturale cordialità agli inviti di Antonio, che ci fanno riflettere come il desiderio, l’intelligenza di un progetto e la passione fossero valori a cui vi fosse il piacere e il dovere di aderire.