Quando si possiede un talento ferocemente innegabile come quello di Sergei Polunin, è difficile non fare passi falsi e non vederlo, conseguentemente, ritorcersi contro. Come è noto, la troppa pressione cui si sentiva sottoposto da parte del Royal Ballet di Londra (di cui è stato il principal più giovane della storia), lo portò – nel 2012 – ad abbandonare le scene e tentare una carriera cinematografica e nella moda; salvo poi tornare alla danza classica grazie allo Stanislavsky Theatre di Mosca, sotto la guida di Igor Zelensky.
Tuttavia, il passo non si rivelò degno delle sue aspettative; da qui la decisione – grazie anche a un improbabile sodalizio con David La Chapelle – di dar vita al Project Polunin, che dovrebbe vederlo protagonista di lavori studiati ad hoc e al centro di un complesso organo atto a tutelare i danzatori a farsi strada in modo indipendente, tramite agenti, manager e avvocati, come già accade in ambito lirico. Il progetto – nato qualche anno fa – però stenta a decollare e a trovare delle coordinate eterogenee da seguire e proporre al pubblico. Ne sono dimostrazione, anche se con esiti diversi, due lavori usciti in contemporanea in Gran Bretagna (ma presto sugli schermi e sui palchi di tutto il mondo): una biopic sulla sua vita d’artista dall’infanzia ai giorni nostri e un terzetto di lavori portati in scena al Sadler’s Wells: teatro noto in tutto il mondo per la visuale d’avanguardia sull’arte tersicorea contemporanea.
È dello scorso anno, infatti, lo spettacolo della ballerina Natalia Osipova che avrebbe dovuto trovare nel Project Polunin la sua controparte maschile. La Osipova stessa non suscitò grandi entusiasmi, ma il suo percorso e i lavori portati in scena risultano – oggi – avere tutt’altro respiro al cospetto di quelli danzati da Polunin. Gli ultimi cinque anni sono stati molto complessi ed è visibile sulla scena, da lui ancora dominata ma con minor slancio e accuratezza rispetto al passato. Il programma si apre con un estratto di Icarus, the Night Before the Flight di Vasiliev che debuttò al Bolshoi nel 1971 e che qui non convince e lascia spazio a Tea or Coffee, non interamente pensato per Polunin ma per l’ensemble del Teatro Stanislavsky. Quasi un omaggio a Zelensky che gli restituisce il favore ospitandolo frequentemente alla Bavarian State Opera, di cui è l’attuale direttore del corpo di ballo.
Conclude il programma Narcissus and Echo ed è l’epitoma del fallimento stesso. Parzialmente ideato da Polunin e danzato con la Osipova (unica presenza a dare un senso a ciò cui stiamo assistendo): un’accozzaglia di idee senza filo logico accompagnata da costumi imbarazzanti e coreografie al limite dei peggiori saggi domenicali. Speriamo siano solo questi i motivi per cui, anche la grazia e la leggerezza che avevano reso sublime il videoclip di Take me to Church e indimenticabile l’addio alle scene di Tamara Rojo in Marguerite and Armand, sembrano essere non più che un vago ricordo.
Di diversa riuscita, invece, Dancer la biopic diretta da Steven Cantor che vuole far luce sugli anni successivi all’abbandono del Royal Ballet, fino alla realizzazione del progetto. Il film è molto ben strutturato, coinvolgente, le interviste si susseguono veloci e danno spazio a brani di balletto mozzafiato. Significativo un toccante il passaggio in cui Polunin afferma di sentirsi schiavo del proprio corpo e dell’urgenza di danzare. Corpo che duole per le fratture, ma anche quando non è utilizzato. La chiave di lettura del film e delle opere portate al Sadler’s Wells è non solo da riscontrarsi in questa affermazione, ma anche nei personaggi interpellati a dare di lui un quadro dettagliato.
Amici, sedicenti tali, parenti effimeri. Un’improbabile corte dei miracoli di eco circense, in cui ognuno è chiamato a fare luce su un fenomeno che non può né essere gestito da e né essere in balia di terzi. È evidente che la maestria e la grazia di Polunin sono oggi alla mercé del miglior offerente. La sua carriera dirompente è così ridotta a una macchietta. La via d’uscita, a 27 anni, è ancora possibile, ma occorrono verve e personalità per liberarsi da ogni zavorra. In assenza di esse, sarebbe auspicabile l’essere affiancati da un mentore d’eccezione, quali furono Zelensky a Mosca e la Rojo a Londra.