La relazione tra madre e bambino è un legame fondamentale per lo sviluppo dell’individuo e delle sue relazioni. Tale legame viene chiamato ATTACCAMENTO
(John Bowlby)
John Bowlby entrò negli anni Trenta nella società psicoanalitica animato dal proposito di scoprire, in altri ambiti di ricerca, dei nuovi punti di riferimento che fungessero da faro per illuminare aspetti inesplorati o trascurati dalla metapsicologia. La scienza dell'informazione e, in particolare l'etologia, gli fornirono questa opportunità.
Bowlby tentò dunque di riscrivere la psicoanalisi alla luce delle moderne ricerche sull'evoluzione, perciò ripensò alla teoria dello sviluppo umano non perdendo d'occhio le scoperte darwiniane. Così come Darwin passava ore a parlare di metodi di allevamento con esperti di piccioni, Bowlby osservava instancabilmente modelli di attaccamento nei nidi d'infanzia e nelle cliniche pediatriche. Lo studioso sosteneva che nel bambino ci fosse un bisogno primario di stare vicino alla madre, di percepirla coi sensi, assaporarne gli odori, berla con gli occhi, godere delle sue carezze, ascoltarne la voce, fissarne le fattezze, sentirsi cullato dai suoi movimenti, sentirsi accompagnato dalle sue attività. Tutto questo per placare le sue angosce derivanti dall’impatto con la vita che suscitavano ansie di annientamento, di frammentazione e un terrificante senso di isolamento, angosce attenuate attraverso il rapporto rassicurante con lei, tanto che questo bene-contatto così agognato, una volta sperimentato, sarebbe stato riprodotto, in seguito, simbolicamente, attraverso il gioco, lo spirito di collaborazione e competizione, le curiosità culturali e l'inserimento nella società, tutte esperienze vissute come sostituti materni.
I primi lavori di Bowlby furono tesi a dimostrare che i bambini che facevano esperienza di separazioni precoci o di privazione traumatica di figure significative, provavano intense emozioni di dolore, tormento, abbandono, inadeguatezza, con reazioni di delusione, rabbia, disperazione, fino ad arrivare all'apatia e al ritiro in se stessi. Per spiegare questi movimenti emotivi, Bowlby attinse, oltre che alla psicoanalisi, alle teorie evoluzionistiche e da lì il breve passo all'etologia, alla quale, in particolare, aveva rivolto la sua attenzione dopo aver letto L'anello di Re Salomone di Lorenz e dopo aver considerato le ricerche di Tinbergen sullo studio dell'istinto. Era stato colpito da un esperimento riguardante la separazione di piccole scimmie Rhesus dalle loro madri e il loro allevamento tramite le madri-fantoccio di cui alcune di materiale rigido, col biberon, e altre spugnose senza biberon. Le piccole scimmie mostravano preferenza per le madri pelose, senza biberon, vanificando così l'ipotesi del riflesso condizionato secondo la quale la forma della madre è associata a una riduzione della fame e della sete. Questo processo di attaccamento filiale nei confronti di una o più figure discriminanti veniva chiamato “imprinting”, termine che comprendeva anche lo sviluppo della preferenza per un particolare tipo di habitat o di casa.
Bowlby, estremamente colpito da questi esperimenti, li considerò utili per lo studio del piccolo dell'uomo e criticò la rigidità di alcuni psicoanalisti che volevano vedere solo lo scenario del mondo interno, ritenendo invece rilevanti le relazioni col mondo reale. Egli dunque si sforzò di mettere in contatto le idee del neodarwinismo con la psicoanalisi e giunse ad ipotizzare un legame del piccolo con la madre non collegato esclusivamente al nutrimento, ma come meccanismo primario il cui scopo biologico fosse la protezione dai predatori, che doveva essere stato, ai primordi dell'umanità, un bisogno reale e vitale.
Lo studioso, in seguito, elaborò una teoria dello sviluppo umano coerente con le ipotesi darwiniane in due punti essenziali: 1) il legame prodotto dal bambino nei confronti della figura di riferimento era determinato dal bisogno di aggrappamento e non da una dipendenza derivata dai bisogni pulsionali come, per esempio, la nutrizione; 2) il metodo adottato aveva posto l'osservazione diretta del bambino in primo piano, oscurando le inferenze speculative derivate dall'analisi dei ricordi. Scoprì che il neonato, per richiamare la madre a rispondere ai suoi bisogni di contatto, metteva in atto le più disparate strategie: il sorriso, il fissare, il toccare, l'aggrapparsi, il pianto e, quando le sue richieste erano disattese, protestava con un piagnucolio insistente o con un vero pianto dirotto. L'osservazione aveva, inoltre, rivelato che la semplice distanza corporea della madre poteva suscitare nel bambino comportamenti di richiamo e che, in momenti di minaccia quali il pericolo, la malattia, la stanchezza estrema, il bambino mostrava di aver bisogno della vicinanza della figura materna come di un bene irrinunciabile.
Bowlby, sia a scopo osservativo, che a dimostrazione delle sue ipotesi, introdusse nei suoi lavori anche le metodologie controllate, facendo uno studio statistico ad ampio raggio sulle persone che avevano sofferto separazioni in età precoce. Aveva osservato che i lattanti e i bambini piccoli avevano bisogno di stare vicino alle proprie madri in ogni momento, essi esprimevano piacere nel guardarle, nell'ascoltarle, nell'essere tenuti in braccio, nel sentire il contatto e l'odore della pelle materna, gioivano di essere capiti e contraccambiati in una reciproca ricerca di vicinanza. I piccoli manifestavano, invece, segni di angoscia e di tensione quando queste esperienze positive, per un qualsiasi motivo, non si potevano verificare o venivano interrotte, tanto che producevano comportamenti di insicurezza, ambivalenza e rifiuto.
L'esperienza di contatto, al contrario, provocava nei bambini uno stato di rilassamento e di benessere, di “andare d'accordo con le cose” insieme alla spinta e al coraggio di seguire i propri progetti e di attuare le prime esplorazioni: in pratica dimostravano di aver appreso la forza propulsiva di vivere e di apprendere. “Se mi parli e mi dai la mano, il buio non mi fa paura!” (Alberto, 5 anni). Era nata così la teoria evolutiva dell'attaccamento. La teoria dell’attaccamento ha dato un importante contributo all’evoluzione degli studi sullo sviluppo socioemotivo dei bambini all’interno dell’ambiente familiare. Nella proposta di Bowlby si dà grande rilievo alle esperienze reali del bambino e non solo ai suoi vissuti interni, inoltre si evidenzia come permanga anche in età adulta la qualità dei legami di attaccamento che si è instaurata in infanzia.
Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba.
(John Bowlby)