Fabio Orlando è un fotografo calabrese ormai prossimo alla consacrazione, che vive, lavora e pensa a Melito di Porto Salvo, il comune più a Sud dello stivale. I suoi scatti sono inconfondibili, trasudano di sensibilità, istinto e passione. Un talento che proprio in questi giorni gli è valso il quarto posto assoluto nel prestigioso concorso internazionale di fotografia Jazz World Photo Award, parte integrante del festival jazz cecoslovacco che si svolge a Trutnov, che seleziona rigidamente autori e immagini provenienti da tutto il mondo.
La soddisfazione è doppia, perché l’immagine prescelta per il 2017 è relativa al Reggio in Jazz Festival di qualche mese prima, con un’espressione che rischia di tramutarsi in iconica del batterista Justin Brown, membro del quintetto di Ambrose Akinmusire, probabilmente la migliore nidiata di giovani talenti dell’immortale genere musicale afro-americano. Orlando è anche uno dei fotografi ufficiale di Rumori Mediterranei, fra i più longevi festival italiani di stanza a Roccella Jonica e vanta numerosi altri riconoscimenti in referendum e pubblicazioni di settore indetti da riviste specializzate, fra cui una foto di copertina dedicata a Wallace Roney sull’autorevole Musica Jazz dello scorso febbraio. “Un piazzamento che mi inorgoglisce - sottolinea Orlando - visto lo stuolo di qualificati colleghi con i quali mi sono confrontato. Adesso l’obiettivo è vincere, un traguardo che cercherò di visualizzare negli avvenimenti che mi attendono quest’anno dopo un periodo di riposo forzato. Il jazz è una musica che unisce e socializza, permettendo di conoscere persone che hanno compiuto il medesimo percorso mentale, in cui passione e professionalità sono equamente rappresentati.
Quanto è importante conoscere la materia che si intende fotografare, in questo caso appunto la musica jazz?
Conoscere il gruppo o musicista che andrai a fotografare vuol dire iniziare a scattare sapendo già cosa fare, cosa cercare, cosa portare a casa; ogni musicista ha un suo modo di essere, un’espressione caratterizzante, un suo tic mentre suona; non doverlo scoprire ma solamente attendere che accada agevola lo scatto; rimane comunque il fatto che conoscendo la musica jazz ed essendo appassionati di questo benedetto genere musicale, il concerto sarà sicuramente più piacevole.
Cosa vuol dire per te essere un fotografo?
Bella domanda! Nell’era dove tutti fotografano tutto, la differenza tra essere fotografo e scattare una foto è, secondo me, avere uno sguardo diverso sulle cose, non lasciarsi attrarre dall’ovvio e cercare di raccontate un’emozione non sempre evidente; la bellezza della fotografia è che nessuno ha lo stesso sguardo sulle cose; ti faccio un esempio: spesso ci ritroviamo sotto il palco principale di Umbria Jazz in 15/20 accreditati a fotografare gli stessi 10 min di spettacolo dalla stessa postazione, spesso anche con la stessa attrezzatura, ma poi torniamo in albergo con scatti molto differenti.
Cosa rende perfetto uno scatto in jazz?
Il jazz è secondo me il genere che fornisce i personaggi più particolari per stravaganza ed estro. Poi ci sono i colori che gli vengono naturalmente assegnati come il bianco e il nero, ovvero il formato adottato dai grandi Maestri del passato. Ho notato che i risultati dei miei scatti sono direttamente proporzionali alla musica che viene eseguita. Se è stato un bel concerto, ci saranno quasi certamente delle belle foto e viceversa. Lo scatto vincente restituisce tutta l’umanità di una delle icone del free jazz in una posa del tutto spontanea e naturale.
Qual è il tuo approccio invece, hai già la fotografia in mente oppure attendi fino a quando non succede qualcosa?
Durante i concerti osservo chi e cosa succede in scena. Preferisco aspettare e muovermi, trovando un'angolazione con luci laterali o di taglio, qualcosa che renda il tutto più suggestivo. Odio lo scatto banale, quello tipo cartolina. Molti credono che fotografando mi distraggo, ma in realtà non è così. Attraverso la mia Nikon sono molto concentrato e vedo cose probabilmente invise agli spettatori.
Quali sono stati i tuoi Maestri e quante foto avrai scattato in vita tua?
Ammiro molto Guy Le Querrec, un francese noto per i suoi reportagès, ci ha onorato di una visita in Calabria, proprio a Roccella qualche anno fa. Venne con il sassofonista Louis Sclavis, per il quale ha firmato molte delle copertine dei suoi album, poi c’è il “cult” per eccellenza nell’ambito della fotografia jazz, ovvero William Claxton, che amo anche per il debole che nutro per Chet Baker. Nei miei archivi avrò circa 120.000 foto partendo dal primo concerto serio: fui “battezzato” dal mitico Jaco Pastorius a Reggio Calabria. Credo fosse il 1987.
E fra i contemporanei invece chi ha il tuo gradimento?
Oggi vi è una netta differenza tra chi scatta ai concerti e chi si occupa di fotografia jazz per shooting promozionale o pubblicitario in genere; tra i primi mi piace Francesco Truono che considero un grande fotografo: mi ha dato degli ottimi consigli quando è venuto a Roccella e per un festival intero ho scattato al suo fianco, guardando cosa faceva lui. Mi piace molto anche lo sguardo di Andrea Palmucci, Emanuele Vergari e Roberto Cifarelli, ai concerti hanno una marcia in più. Tra i secondi mi piacciono Andrea Boccalini e Paolo Galletta. Ma ci sono delle menzioni d’onore: per esempio ho avuto il privilegio di incontrare Roberto Masotti e Silvia Lelli, di cui conoscevo già il loro curriculum professionale, da Keith Jarrett e L’etichetta discografica Ecm fino al Maestro Riccardo Muti e tutta la documentazione prodotta per il Teatro alla Scala. Mi hanno colpito anche per la loro umiltà, che resta sempre la virtù di chi grande lo è per davvero. Sinceramente però ultimamente sto guardando molto fotografi che hanno fatto cose importanti al di fuori del jazz, fotografi di moda e di costume: Giovanni Gastel e Toni Thorimbert mi piacciono molto.
Anche tu hai sofferto il passaggio dalla pellicola al digitale?
Certamente, al punto che per tre anni ho smesso totalmente di fotografare. Poi ho comprato una delle ultime Nikon e ripreso a poco a poco. La qualità era accettabile, ma non all’altezza della pellicola che rappresentava un mondo a parte, affinando la tecnica ho messo da parte l’interesse per l'attrezzatura e, dotato di tutto l'occorrente, ho capito che dovevo concentrarmi solo sulla foto, sul risultato finale, sullo scatto. Tutto sommato quello che conta è il risultato, non la marca o la tecnologia utilizzata. Quella rimane nella borsa e non arriva agli occhi di chi guarda le mie foto.
Cosa ne pensi del proliferare di immagini e fotografi sui social come Instagram e Facebook?
I social sono uno strumento potentissimo e se ben utilizzati hanno delle capacità di penetrazione davvero enorme; non condivido chi demonizza a priori i social; personalmente credo che se non fosse stato per Facebook vivendo e lavorando qui in Calabria, non avrei mai potuto farmi conoscere e condividere la mia passione per la fotografia a certi livelli.
Qual è lo scatto che ancora non hai realizzato? Ovvero chi è il musicista che ancora non hai fotografato secondo i tuoi desideri?
Ora come ora mi piacerebbe fotografare un pianista polacco che adoro e che non ho avuto ancora il piacere di vedere mai dal vivo: Leszek Możdżer. Ci sono poi alcuni musicisti che ho ascoltato e che non ho fotografato ormai passati a miglior vita, di loro conservo un bellissimo ricordo e questo per ora mi basta, ho goduto del loro grande talento e della loro meravigliosa musica.