Da più di 150 anni gli appassionati discutono se sia più grande Giuseppe Verdi o Richard Wagner. Una cosa è certa, chi è verdiano difficilmente potrà essere anche wagneriano: essi incarnano due modi completamente diversi di concepire la loro arte. Entrambi sono nati nel 1813, e questa, oltre al fatto di essere due tra i più importanti compositori d’opera della storia, sembra l’unica cosa che veramente li unisce.
L’ideale a cui Verdi mirava era una sintesi, da un lato, della grande tradizione europea del dramma di parola, come si era sviluppata negli ultimi secoli, con Shakespeare, Molière fino a Hofmannsthal, Schiller e Victor Hugo; dall’altro lato, di quella del dramma in musica, nato dall’intuizione della Camerata Fiorentina, il gruppo di letterati e umanisti che nel XVI secolo aveva dato inizio all’avventura moderna dell’opera, che si era poi sviluppata attraverso Monteverdi, Gluck, Mozart, Rossini fino a diventare un genere di grande rilevanza culturale e artistica.
Verdi era il campione di questa duplice tradizione teatrale: i libretti delle sue opere erano spesso tratti da grandi tragedie ed erano pensati per la messa in scena. Il suo pensiero costante era arrivare all’equilibrio ideale tra testo e musica: di qui, la sua continua richiesta ai librettisti di trovare sempre la “parola scenica”, le parole o frasi più teatralmente adatte ad essere messe in musica.
Il melodramma verdiano era in qualche modo purissimo e altissimo ‘intrattenimento’, poiché teneva in considerazione i gusti del pubblico e li soddisfaceva, pur ampliando genialmente i confini della cultura musicale e operistica. Wagner invece si propose di produrre qualcosa di mai visto fino ad allora. Il compositore tedesco non voleva creare solo uno spettacolo, sia pure di eccellenza, quanto ‘possedere’ in qualche modo la mente degli spettatori, assoggettarne la personalità. Non gli interessava piacere in termini convenzionali: la sua intenzione era di arrivare a realizzare una “opera d’arte totale” (Gesamkuntswerk), e richiedeva che il pubblico diventasse parte della rappresentazione, fosse spettatore e insieme soggetto passivo di un rito tra il religioso e l’esoterico che si compiva attraverso una combinazione di miti precristiani, filosofia idealistica e geniali invenzioni armoniche e melodiche.
L’opera per Wagner doveva essere un’esperienza trascendentale, un itinerario spirituale, e per questo concepì un’opera completamente nuova; infatti, le sue innovazioni hanno segnato in maniera profonda la storia della lirica, rivoluzionando il modo di comporre e di ascoltare la musica. A Wagner non bastava mettere in musica un libretto; per realizzare la sua idea egli doveva avere il controllo pieno su tutto il processo: oltre a comporre la musica, scriveva il testo, dirigeva la messa in scena e l'illuminazione. Fece perfino costruire un teatro in cui solo le sue opere fossero rappresentate. Questo posto è a Bayreuth, in Germania, e un festival wagneriano vi si tiene tuttora ogni anno.
Se Wagner non aveva una grande considerazione di Verdi, quest'ultimo rimase colpito (non sempre positivamente) dal ruolo che l'altro dava all’orchestra e dalle sue soluzioni armoniche, eccentriche per l’epoca. Entrambi si posero l’obiettivo di un teatro d’opera libero dagli schemi tipici del primo romanticismo, senza la divisione in “pezzi chiusi”, arie, duetti, terzetti, anche se vi giunsero in modi e forme completamente diversi. Verdi esplorò i nuovi territori, ma sempre tenendo conto delle aspettative del pubblico, mai volendo scioccare i suoi ascoltatori.
Per questo ci sembra più facile ascoltare il Bussetano; per trarne piacere, non dobbiamo rinunciare alla nostra individualità, come invece Wagner ci chiede di fare per le sue opere. Questo è anche il motivo per cui molti rinunciano ad assistere a L’anello dei Nibelunghi, un ciclo di quattro opere per un totale di circa quattordici ore che l’autore pretendeva fossero ascoltate nell’arco di una sola settimana. Bisogna essere disposti a perdersi in un mare infinito di musica, mitologia e filosofia. Chi però fa questa esperienza, cambia definitivamente il proprio modo di capire e amare la musica.
Le opere di Verdi si inseriscono ‘naturalmente’ nel solco della grande tradizione italiana del bel canto, che con lui giunse a vette ineguagliate. Utilizzò magistralmente lo strumento della voce umana, a cui fece esprimere emozioni che continuano ad affascinare gli ascoltatori di ogni età e condizione. È lui l’autore di alcune delle opere più rappresentate nei teatri di tutto il mondo, con un numero annuo di produzioni molto maggiore rispetto a quelle di Wagner. E se quest’ultimo è riconosciuto come un musicista che ha enormemente influenzato la musica contemporanea, a Giuseppe Verdi va certamente la palma di icona universale dell’opera lirica.