Gli studi sullo sviluppo del bambino hanno colto nel periodo neonatale il momento cruciale per la comprensione e l'evoluzione dei processi affettivi e mentali. Bion è lo psicoanalista che si è occupato in maniera particolare della natura, della genesi, dello sviluppo e dei disturbi del pensiero, reputandolo strettamente collegato con la vita emozionale dell'individuo. Secondo lo studioso, il bambino, quando apprende, entra sì in contatto col mondo esterno, ma la percezione e l’introiezione della mente di qualsiasi oggetto o esperienza sono mediati dalle sue emozioni, dai suoi affetti e dalle sue fantasie che si sviluppano sul modello del rapporto originario vissuto con la madre, in particolare col corpo materno e con l’esperienza del mangiare.
Non dimentichiamoci che “sapere” deriva dal latino sàpere (aver sapore, assaggiare), il significato del verbo ci riporta dunque immediatamente al rapporto col seno materno e all’esperienza del nutrimento. Bion ipotizza che il primo abbozzo di un sistema psichico è paragonabile al sistema alimentare connotato dalla situazione emotiva dell'esperienza di allattamento. Non a caso nel linguaggio comune si usano termini come “assaporare una gioia”, “mandar giù bocconi amari”, “digerire un discorso difficile”, “assorbire conoscenza”, “sputare sentenze”, “gustare una melodia”, ecc. L’associazione tra canale mentale e quello alimentare presuppone analogie tra i meccanismi che regolano il nutrimento a livello fisico e quelli che lo regolano a livelli del pensiero.
Questi meccanismi hanno soprattutto a che fare con fenomeni quali l’assimilazione, l’assorbimento, la trasformazione, l’evacuazione, in pratica tutti i movimenti che riguardano l’entrata e l’uscita. La tensione verso il nuovo, l’apertura insatura verso l’ignoto, il desiderio di imparare, trovano il loro modello originario nella ricerca del seno da parte del bambino: per cui la curiosità, la problematicità, la motivazione ad apprendere partono da quella esperienza originaria che mette in gioco la relazione tra due persone, una che cerca e l’altra che è disposta a lasciarsi trovare.
È necessario che si verifichi questo incontro perché l’apparato precognitivo, preesistente alla nascita, possa svilupparsi in maniera sempre più raffinata, partendo dall’elaborazione del distacco dalla madre fino al pensiero più complesso, astratto e al calcolo algebrico. L’apprendimento, perciò, è possibile come fatto non esclusivamente intellettuale, ma in quanto intrinsecamente legato alle vicissitudini emotive che determinano la qualità e il tipo di rapporto con le esperienze del mondo esterno: lo sviluppo cognitivo dipende prima di tutto dall'incontro tra le emozioni della madre e quelle del bambino. Non esiste crescita mentale al di fuori di una relazione il cui prototipo è quello tra madre e bambino all’interno della quale avviene la nascita psicologica. L’origine del pensiero risiede, dunque, nell’interazione tra la mente potenziale del bambino e quella della madre che funge da contenitore: ma cosa succede, in realtà, tra queste due menti?
In un primo momento il neonato scarica in modo primitivo, col pianto o con l'irrequietezza, tensioni, ansie, sensazioni, emozioni non “digeribili” perché intollerabili dal suo apparato mentale e la madre, funzionando come da enzima, le raccoglie, le sperimenta su di sé, le pensa e gliele ridà bonificate, rendendole “psicosolubili”, quasi predigerite in modo che il figlio possa riprendersele senza terrore. In pratica la madre rende accettabili al suo bebè le sensazioni o emozioni grezze, spaventose, che nella sua mente primordiale hanno dato vita a immagini terrifiche, ai famosi lupi mannari divoranti o alle streghe avvelenanti, la madre le ha rese accettabili in quanto è riuscita a trasformarle in qualcosa di più tollerabile, di più sopportabile perché ha patito, capito, contenuto, condiviso i suoi dispiaceri, conferendo loro forma e senso.
In un momento successivo il bambino impara e fa sua questa funzione materna di rielaborazione e di riordino del caos interno, apprende cioè a contenere da solo ciò che prima aveva bisogno di “evacuare” all’esterno come qualcosa di cattivo e di ingestibile. La madre, avendo offerto al figlio la sua mente quale strumento per metabolizzare i suoi disagi, avvia in lui quel processo di rappresentazione mentale della realtà interna ed esterna che lo porterà alla capacità di pensare. Nella relazione madre-bambino risiede la struttura originaria che consente lo sviluppo della mente, relazione che traccia la struttura di qualsiasi altro rapporto successivo.
Melanie Klein ha ipotizzato che il neonato viva l’esperienza del nutrimento attraverso fantasie inconsce che inducono sentimenti di rabbia e di invidia a causa della dipendenza dal seno che non sempre è presente e disponibile. Il bebè non possedendo ancora le categorie del tempo, non riesce a sopportare la dilazione dell’appagamento dei suoi bisogni, in quanto, per lui, l’attesa equivale a un’eternità penosa e questo genera in lui sentimenti di dolore e disperazione. Il piccolo riversa il suo odio sul seno “traditore”, lo invade e lo vive come cattivo confondendo le sue fantasie aggressive con la qualità del seno stesso, anzi attribuendogli tutta la sua distruttività. In questo modo egli oscilla tra stati di grande benessere, quando si sente pienamente appagato e ha la percezione di un seno buono e stati di forte sofferenza, quando i suoi bisogni sono frustrati ed è, di conseguenza, dominato da impulsi rabbiosi verso il seno “cattivo”.
Queste fantasie inconsce diventeranno le prime rappresentazioni mentali. La prima conoscenza risulta, dunque, essere confusiva e irrealistica, perché il neonato non è in grado di distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo, né i suoi sentimenti da quelli della madre, ma può solo concepire il mondo partendo dalle sue aspettative. Insieme alle esperienze frustranti, Bion ci rassicura, esiste anche la possibilità di incorporare una buona esperienza di allattamento, fatta non solo di cibo, ma anche di affetto, di cura e di sollecitudine se la madre può accettare e contenere le fantasie distruttive del figlio, continuando a parlargli nonostante il suo rifiuto e le sue rabbie, e mostrandosi interessata a lui offrendogli una mente capace di contenerlo nelle sue esigenze, restituendogli le sue emozioni in modo che siano da lui tollerabili, garantendogli così un sostegno non solo fisico.
La disponibilità della madre può, dunque, modificare l'aggressività del bambino offrendosi come modello di funzionamento mentale e inducendo lo sviluppo della capacità di pensare. Dall'introiezione della madre riparatrice il figlio potrà, a sua volta, accettare che nella sua mente esistano sia parti buone che parti cattive che potranno essere sentite non più come parti terrificanti, ma tollerate come parti di sé. Dal modo in cui il piccolo elaborerà interiormente i suoi impulsi distruttivi, dipenderà la qualità delle sue funzioni cognitive. Questo, secondo Bion, il cammino evolutivo del pensiero. Se la proiezione del disagio mentale rappresenta la primissime forma di comunicazione del neonato è evidente che tale meccanismo fonde il cognitivo con l'affettivo.
L'affetto è una forma di conoscenza e Bion teorizza l'affettività della conoscenza superando l'antico retaggio storico della dicotomia mente-affetto, corpo-anima, materia-spirito e supportando la contemporaneità, la compenetrazione, la commistione di affetti, emozioni e pensiero. Con Bion tutto il percorso maturativo è scandito dall'esperienza emotiva dei legami affettivi. Passare dalle impressioni sensoriali alla rappresentazione mentale non è riducibile a una fotocopia della realtà, ma è un processo che si realizza tramite il concorso delle informazioni esterne, dei sentimenti, delle esperienze emotive che diventeranno la realtà psichica del soggetto, ossia andranno a costituire il suo mondo interno.
È comunque evidente l'imprescindibilità di una relazione sufficientemente buona con l'altro perché la mente si possa sviluppare, insieme a quell'esperienza dolorosa, ma indispensabile per la maturazione globale dell'individuo che è la separazione, intesa come la capacità emotiva di differenziarsi dalle figure di riferimento. Infatti, una relazione è attuabile solo col riconoscimento dell'alterità, unico modo possibile per la formazione di uno spazio psichico dove interiorizzare le persone significative di accudimento, quei “buoni” genitori interni con cui l'individuo si accompagna e si riferisce costantemente per far fronte all'esperienza umana del vivere.