Piedi, a cosa mi servite se ho le ali per volare?
Definita “una donna straordinaria”, “una colomba”, una “femminista convinta”, Frida Kahlo, persona prima che pittrice, ha conservato, da sempre, uno sguardo ipnotico che continua ad ammaliare tutto quelli che desiderano spiccare il volo verso i propri sogni e la propria libertà. Protagonista d’eccezione del successo in mostra a Bologna, a Palazzo Albergati, La Collezione Gelman: arte messicana del XX secolo, la pittrice messicana ha rivendicato da sempre la sua identità attraverso grandi opere d’arte, diventando anche un’icona fashion per stilisti di fama mondiale. Bologna ha deciso di celebrare degnamente l’arte messicana, raccontandola attraverso gli acquisti artistici di due collezionisti d’eccezione: i coniugi Gelman, due emigrati dell’Est Europa con una grande passione per l’arte. Nel 1943, quando Jacques commissiona a Diego Rivera il ritratto della moglie, Natasha Gelman, inizia una lunga avventura che darà origine a una collezione unica e straordinaria. María Izquierdo, David Alfaro Siqueiros, Rufino Tamayo e Ángel Zárraga, insieme all’elefante e la colomba, Frida Kahlo e Diego Rivera, tra le coppie più famose al mondo, sono tra i più importanti artisti della Rinascita messicana, che si estese dal 1920 al 1960.
La curatrice della mostra, Gioia Mori, ha sapientemente suddiviso i due piani del Palazzo Albergati, offrendo, al primo piano, una panoramica generale della storia dell’arte messicana, per poi concentrarsi al secondo piano sulla vita dell’eroina messicana, sviluppando varie tematiche. In primis si analizza il rapporto, sempre conflittuale ma straordinariamente vero e passionale tra Frida e Diego, documentato attraverso le splendide fotografie di Edward Weston, Nickolas Muray e Lola Avarez Bravo e i video documentario, uno tra tutti, lo splendido video Tribute to Frida Kahlo, concesso da Jean Paul Gaultier; poi l’attenzione si sposta sulle mascotte di Frida: cani, gatti, pappagalli, ma soprattutto le scimmie, espressione dei suoi stati d’animo e delle sue emozioni; e infine il racconto svela il segreto della sua immagine, attraverso l’abbigliamento folclorico, che i grandi stilisti, Valentino, Gianfranco Ferré, Raffaella Curiel e Antonio Marras hanno voluto omaggiare sulle passerelle dell’alta moda.
Allestita come un quadro nel quadro, la mostra inscena, in chiave metateatrale, la vita di questa “eroina messicana”, svelandone i suoi segreti, a guisa di scatole cinesi, come nella matrioska; quasi la sua esistenza fosse stata vissuta interamente come una grande mostra, della quale noi siamo protagonisti. I colori del Messico sono poi fedelmente riprodotti sulle pareti delle varie stanze, esaltati anche dalle vivacità cromatiche delle cornici, che delineano i quadri stessi. Un’inedita e suggestiva consonanza tra i suoi quadri e il mondo della medicina, viene riprodotta in una stanza, che raccoglie una serie di opere, nate dai tormenti fisici che hanno segnato tutta la vita di Frida. Attutendo il dolore emotivo con l’esposizione scientifica, l’artista esplora il proprio corpo con “occhio tedesco e analitico”, come lo definiva il marito Rivera, squadernando gli organi malati, la colonna vertebrale spezzata, il ventre sterile, il piede fasciato, con una vocazione da “naturalista e biologa”, come amava ripetere lei stessa a chi le chiedeva cosa volesse diventare da grande!
Ragazzi, studenti, giovani coppie, bambini, famiglie: tutti in coda per assaporare, almeno una volta, quel gusto messicano, intriso di allegria malinconica e misticismo, e perpetuarlo attraverso uno scatto fotografico dal sapore tipicamente artistico.