Presso gli antichi Romani, la coniazione monetaria e le operazioni bancarie si diffusero attraverso i contatti con le colonie greche dell’Italia meridionale. I primi banchi mobili di cambiatori di monete, provenienti dalle città della Magna Grecia, cominciarono a diffondersi nel Foro romano verso la fine del V° secolo a.C. e vennero definiti argentarii o trapezitae.
In una prima fase, non vi era ancora una vera e propria coniazione di monete locali ma si utilizzava l’aes rude (bronzo non lavorato), ossia pezzi di bronzo irregolari di vario tipo e peso, senza alcun contrassegno, e successivamente, a partire dalla metà del IV° secolo a.C., l’aes grave (bronzo pesante) sul quale veniva impressa un’immagine, in genere di animali (quali bue o pecora). Le monete di bronzo sostituirono l’antico sistema di misurare il valore dei beni in capi di bestiame (dal termine pecus, ossia pecora o bestiame, derivano alcune voci latine, come pecunia, denaro/ricchezza, e peculium, patrimonio/guadagno/donazione di beni). Tuttavia, anche le prime monete in bronzo venivano accettate in pagamento nelle transazioni commerciali soltanto a peso e, pertanto, ci si rivolgeva spesso ai cambiatori di monete.
L’intensificarsi dei contatti commerciali con gli Etruschi e con le popolazioni greco-italiche indusse Roma a fare ricorso a una propria coniazione argentea nel 269 a.C. quando, alla vigilia della Prima guerra punica, fu coniato il denarius nel tempio di Giunone Moneta (epiteto della dea che significa consigliera o ammonitrice), luogo presso il quale si trovava all’epoca la Zecca. La moneta argentea aveva un peso di 4,55 grammi ed ebbe, come sottomultipli, il quinarius (o mezzo denaro) e il famoso sestertius (con un valore pari a un quarto di denaro).
I cambiatori di monete consolidarono progressivamente la loro posizione e ottennero intorno al 330 a.C. il riconoscimento ufficiale dello Stato, dal quale acquisirono la concessione in fitto di sette botteghe situate nella parte meridionale del Foro, che da allora vennero denominate tabernae argentariae. In questi ampi edifici ubicati al piano terra, gli argentari disponevano il banco (mensa) con i libri contabili e gli altri strumenti della loro attività, che riguardava non soltanto il cambio delle monete ma anche le altre operazioni del commercio bancario, quali l’accettazione di depositi in denaro dai privati, ai quali veniva riconosciuto il pagamento di un interesse, la concessione di prestiti con il supporto di una garanzia, l’esecuzione di pagamenti per conto dei clienti, su piazza e fuori piazza, sulla base di ordini orali o scritti.
Sotto l’impero di Augusto, il sistema finanziario venne accentrato e posto alle dirette dipendenze dello Stato, e pertanto gli argentari, al fine di difendere gli interessi della categoria, si riunirono in una corporazione (collegium argentariorum), controllata dalla Stato, e stabilirono rigide norme per l’accesso alla professione e il relativo esercizio. Accanto agli argentari, operavano anche i cosiddetti nummulari (da nummus, moneta), saggiatori di monete, che avevano appunto il compito di esaminare e valutare la purezza dei metalli, attestando la qualità delle monete con etichette (tesserae) che venivano attaccate alle borse di denaro oggetto di analisi. Anche i nummulari, in seguito ai crescenti rapporti con i commercianti, cominciarono a svolgere le attività di cambio della moneta e le attività creditizie, in concorrenza con gli argentari, i quali tuttavia rimasero gli operatori più importanti e influenti nel settore bancario.
A partire dal II° secolo a.C., nel Foro, divenuto principale mercato finanziario di una vasta area economica, vennero costruiti sontuosi edifici, denominati basiliche, che diventarono le sedi delle riunioni degli argentari e le piazze in cui circolavano le principali informazioni commerciali, quali quelle relative alla solvibilità dei debitori, si fissavano i tassi di interesse, si costituivano le società e si trattavano gli affari di ogni genere. Lo sviluppo dell’attività bancaria degli argentari fu favorito dal perfezionamento dei metodi e sistemi contabili.
I libri fondamentali dei banchieri romani erano: le adversaria, tavolette contenenti l’annotazione quotidiana delle operazioni; il codex rationum, il libro dei conti, che accoglieva la registrazione di entrate e uscite; il codex accepti et expensi, registro in cui venivano registrati per obbligo normativo alcuni importanti negozi giuridici; il calendarium, nel quale venivano registrate le somme prestate, le date delle scadenze di rimborso di capitale e interessi. Le scritture contabili dei banchieri derivavano da quelle più semplici, ma pur sempre molto scrupolose, tenute dal “pater familias” per la gestione del patrimonio domestico, e potevano essere invocate come prova in giudizio.
Fu merito dei Romani l’avere dato una sistemazione giuridica a molte obbligazioni connesse all’attività bancaria, quali in particolare il mutuo. Il diritto romano operava una netta distinzione tra mutuum e fenus (o foenus), indicando con il primo termine il contratto con il quale il mutuante trasferiva al mutuatario la proprietà di denaro o di altre cose fungibili, con obbligo di restituire esclusivamente il cosiddetto “tantundem” (un’uguale quantità di denaro o di beni), cosicché il mutuo era formalmente un negozio a titolo gratuito. Invece, il “fenus” prevedeva le “usurae”, ossia gli interessi, quale compenso/corrispettivo per l’utilizzo di una somma di denaro (sors), da corrispondere in genere periodicamente e in base all’ammontare e alla durata del finanziamento. Per tale motivo, gli argentari venivano definiti talvolta feneratores.
Con l’avvento dell’Impero di Augusto, venne introdotto un sistema monetario bi-metallico, basato sull’argento e sull’oro. Accanto al denaro d’argento, venne fatto coniare l’aureus, una moneta d’oro che inizialmente aveva un peso di 7,80 grammi ed equivaleva a 25 denari d’argento. Successivamente, sotto Costantino, nel 309-310 d.C., l’aureus pesava appena 4,55 grammi e venne denominato solidus (solido), da cui derivano i termini attuali “soldo”, “soldato”, “assoldare”. Gli altri operatori del settore creditizio a Roma erano le mense pubbliche e, in misura minore, i pubblicani e i negotiatores.
Le mense pubbliche erano istituzioni creditizie incaricate di pagamenti e riscossioni per conto dello Stato, attività rintracciabili a partire dalla metà del IV° secolo a.C., epoca in cui risulta che alcuni “mensarii” furono incaricati di concedere, con fondi statali, anticipazioni a favore di debitori in difficoltà, mentre un secolo più tardi altre mense furono preposte alla raccolta di doni alla patria per sovvenzionare le guerre contro Cartagine. I pubblicani, (da “publica”, termine con cui si designavano gli affari finanziari e le attività economiche dello Stato), erano coloro che gestivano la riscossione delle imposte e delle rendite statali, tramite appalto dei relativi servizi con aggiudicazione all’asta in Italia e nelle province, e si occupavano inoltre dell’esecuzione di numerosi lavori pubblici, quali lo sfruttamento delle miniere, le forniture per l’esercito, la costruzione delle strade.
I pubblicani, al fine di far fronte a impegni così rilevanti, spesso si organizzano in società simili alle attuali società in accomandita, che prevedevano due tipi di associati: i socii, responsabili delle obbligazioni sociali “ad infinitum”, ossia in misura illimitata, e i participes, partecipanti in qualità di finanziatori accomandanti, con responsabilità limitata al solo capitale conferito. Le quote di partecipazione, dette partes, erano di diverso valore (partes, partes magnae, particulae), avevano una loro quotazione di mercato e potevano essere trasferite per atti tra vivi (negozi inter vivos) o per testamento (negozi mortis causa). Sotto l’impero di Augusto, con l’accentramento del sistema finanziario, che fu posto alle dirette dipendenze dello Stato, i pubblicani vennero assoggettati alla sorveglianza degli agenti imperiali e vennero privati dell’appalto della riscossione delle imposte dirette.
I negotiatores si occuparono del commercio al dettaglio nei settori più svariati. Essi soprattutto frequentavano le fiere regionali e si installavano intorno agli accampamenti militari, presso i quali sviluppavano i più diversi traffici, in particolare concedevano anticipazioni di denaro ai legionari e curavano per loro conto il trasferimento del bottino di guerra alle famiglie.