Keith Roberts, artista inglese, è stato invitato dall’Estorick Collection di Londra a interagire attraverso i propri lavori con l’attuale mostra ospitata: War in the Sunshine: The British in Italy 1917-1918. L’interesse per Keith nasce da una chiacchierata con un’amica che ha apprezzato fin da subito il suo lavoro, nel nostro confrontarci tra arte moderna e contemporanea, nel comprendere affini linguaggi storicamente differenti. Keith si è posato con grande equilibrio tra il racconto proposto dalle opere di War in the Sunshine, e la sua educazione ed eleganza nel farlo ha scatenato in noi la voglia di andare più a fondo. Keith Roberts, attraverso la sua poetica pone una sottile indagine sulla memoria, e lo fa attraverso un’accurata esplorazione dei materiali, di fatti, ciò che utilizza maggiormente sono materiali grezzi, fogli di ferro, legno, gesso e oggetti trovati come campane, pannelli di cartone. Roberts coniuga abilmente pesantezza e leggerezza, lo fa attraverso un’estetica low profile, modesta, umile, povera; e si serve spesso di questa dicotomia per introdurci a una forte visione poetica. Come non pensare nell’installazione composta da un serie di campane distese Distant Voices, or Caporetto, 2016-17 alla soavità, all’intensità e alla bellezza precaria del nostro amato Claudio Parmiggiani? Fili sottili e lontani legano storie e percezioni differenti, e questo solo il linguaggio silenzioso ed eterno dell’arte può farlo.
Flying Machine, Post Office, Distant Voice, or Caporetto sono tuoi tre lavori inseriti nella mostra War in the sunshine all'Estorick Collection di Londra. Ci puoi raccontare come sono nati i lavori e com'è cominciata la collaborazione con uno spazio espositivo importante come l'Estorick?
La Estorick Collection sapeva del mio lavoro sulle tematiche relative alla Prima guerra mondiale e durante i preparativi per la mostra in corso War in the Sunshine: The British in Italy 1917-191 sono stato invitato a contribuire con una risposta contemporanea ai temi trattati dall’esibizione. È stata una sfida che sono stato felice di accettare. Dei tre artisti di guerra esposti, sono state le fotografie di William Joseph Brunell a permettermi di trovare una strada di accesso alla mostra. Per essendo un fotografo ufficiale di guerra, Brunell rimase, essenzialmente, sempre un civile. Le preoccupazioni e le questioni sollevate dalla guerra e dai suoi effetti sono problematiche universali e ancora correnti, per cui non c’era alcun pericolo che io mi trovassi a lavorare su un qualcosa che fosse fuori dal mio stesso tempo.
Il primo lavoro, Caporetto - or Distant Voices è stata una naturale evoluzione di un pezzo realizzato nel 2015 per il DepfordX Festival a Londra. Là, alla base di un antico campanile, sorgevano, installate, cinque grandi campane dipinte in modo da sembrare di piombo. Queste erano un’espressione del mio interesse per le campane e per come queste, e il loro suono, si intrecciano con le nostre vite. Risuonando nei momenti di celebrazione o di pericolo, o semplicemente per battere le ore. Paragono il suono delle campane a quelle di una voce singola che adesso è caduta nel silenzio. Il pezzo esposto alla Estorick, sviluppato a partire da questo concetto, è fatto però di campane distese su una semplice piattaforma. Caporetto si riferisce infatti alla brutale battaglia dell’autunno del 1917, collegandosi così alla mostra. Distant Voices ci riporta a pensare al carattere universale del dolore e della perdita.
La macchina volante nasce dal mio interesse nel fare aquiloni di carta. E anche dalla mia gioia nel fare aeroplanini di carta e nel farli volare per il mio studio. Per War in the Sunshine ho creato un grande aeroplano fatto di corda, bambù e carta che riflette la fragilità e il rischio dei primi aerei. L’ultimo pezzo Post Office è un muro autoportante che rappresenta la claustrofobia delle trincee e la natura spesso statica del conflitto. Al centro di questa struttura vi è una cassetta delle lettere costituita da una custodia di una mina anti-uomo. Questo elemento è una riflessione sulla natura e sull’importanza delle comunicazioni postali durante questo conflitto. Ho visto il muro quasi come se si trattasse un dipinto, una superficie piatta che può essere spostata e lavorata.
Da artista quale sei, ti chiedo, come definiresti la figura dell'artista e che ruolo occupa nella società contemporanea.
Questa è una domanda difficile. La figura dell’artista cambia costantemente e spesso assume una maggiore o minore importanza a seconda di chi lo richiede. Credo che un artista dovrebbe guardare all’epoca in cui vive, commentandola. Ma al contempo ci dovrebbe essere anche una sottigliezza relativa a questo impegno, un processo di pensiero e di produzione che va ben oltre la superficie e che va a scavare nel passato per poi proiettarsi nel futuro. Un procedere a braccetto tra quello che è stato e quello che sarà. La produzione artistica deve poi esistere e delinearsi secondo i suoi propri termini. Una presenza (cosa???) innegabile, il pubblico sarà libero di cogliere ciò che più vuole.
C'è stato qualcuno o qualcosa (che sia un'opera, un libro, un film, un artista, un insegnante, una pièce teatrale) che ti ha influenzato e ispirato profondamente durante i tuoi anni di studente a Newcastle, Londra e Roma?
Da studente presso il Newcastle Polytechnic ricordo che si pensava che l’ispirazione non esistesse. Il lavoro veniva creato attraverso il lavoro. Questa era una posizione deliberatamente dura, adottata dai professori dell’università. Le cose che utilizziamo come carburante per il lavoro si raccolgono attorno a noi talvolta in maniera sorprendente e talvolta invece provengono da fonti assurde. Il volo di un aeroplano di carta che si muove lentamente per una stanza. Un pezzo di musica che ti ricorda che il tuo lavoro deve essere migliore. Credo sia questo stato d’animo delle cose a spingermi a lavorare. Vedere l’opera di Joseph Beuys: La Fine del XX Secolo (1983-85), che mi spiazzò, la prima volta che la vidi. Vedere una figura di un uomo accovacciato sul bordo di una fossa di esecuzione. Il dolore straziante del Miserere di Allegri ascoltato per la prima volta. Un atto di coraggio che punge i tuoi occhi. Credo che l’ispirazione arrivi con l’essere aperti e pronti all’osservazione.
Come definiresti/come trovi, gli ambienti di formazione artistica come le università e le accademie nell'attualità?
Non ne sono più sicuro. Sono stato fortunato abbastanza da poter passare attraverso il sistema educativo quando ancora si pensava che l’educazione all’arte fosse valida tanto quanto le altre materie ed era quindi debitamente finanziata. Adesso l’educazione all’arte in questo paese favorisce soltanto il segmento di popolazione più ricca o di coloro a cui non interessa indebitarsi con prestiti studenteschi. Le istituzioni scolastiche accolgono un numero molto sempre più alto di studenti, riducendo al contempo la durata dei corsi. L’educazione all’arte dovrebbe essere difficile così come ogni altra materia e dovrebbe instillare un senso di auto coscienza e disciplina necessario per continuare a lavorare anche quando le cose si fanno difficili. Mi chiedo se le accademie verranno mai sommerse e poi bypassate da coloro che vogliono creare.
Progetti futuri?
Un pezzo simile in scala a Caporetto verrà esposto a Londra in ottobre, come parte del progetto 14-18 che commemora la Grande Guerra. Spingerò la mia ricerca verso le macchine volanti, per portarle verso una direzione più astratta. Parallelamente a questo continuerò a dipingere e un paio di lavori verranno esposti in primavera.
Cosa vorresti che ti chiedessi come ultima domanda?
Interessante! "La scultura sembra essere diventata un’importante parte della tua pratica artistica: come sei arrivato a questo punto?" "È la pittura che alimenta i tuoi lavori scultorei o il contrario?"