Ciò che desidero, è che tutto sia circolare e che non ci sia, per così dire, né inizio né fine nella forma, ma che essa dia, invece, l’idea di un insieme armonioso, quello della vita.
(Vincent Van Gogh)
Secondo l’aforista Fabrizio Caramagna “Ogni filo d’erba sembra contenere una biblioteca dedicata alla meraviglia, al silenzio e alla bontà”. Quest’idea panteista, che la natura madre contenga in sé un misteriosa magia in ogni suo elemento costitutivo, autentici segreti di bellezza ci riporta a un’idea di sublime. Un sublime in grado di provocare la più forte emozione che l’animo umano sia in grado di sentire, una consapevolezza che si forma nella contemplazione, un riconoscere l’immensità, la grandezza e la potenza di universi cangianti e infiniti come l’arte, la natura e la tecnologia. È proprio dinanzi a questi ultimi che ci sentiamo infinitesimali, microscopici, minuscoli, impotenti, incapaci di comprendere tutta l’energia che si cela dietro questi tre maestosi giganti, ma proprio per questo affascinati e sedotti, condotti nella e dalla visione.
La mostra sull’artista Davide Quagliola in arte Quayola, a cura di Federica Patti al CUBO Centro Unipol Bologna, Il Sublime tecnologico e il rapporto fra arte, natura e tecnologia - vuole raccontarci queste complicità, questi rapporti così importanti e necessari. Quayola, è uno degli artisti italiani digitali contemporanei più importanti, che ha deciso di trasferirsi e aprire il proprio studio a Londra. Come ho introdotto all’inizio un pensiero di Van Gogh, la forma per Quayola è uno degli assi portanti della propria ricerca artistica insieme all’urbanistica, al suono e al colore. E ovviamente alla tecnologia, come voce del proprio tempo, che si tratti di grafica, video, performance o installazione, il ruolo di quest’ultima è centrale, essenziale.
Van Gogh ritorna non solo per la centralità della forma, in Pleasant Places, la video installazione di Quayola vuole essere un autentico omaggio all’artista fiammingo, in particolare al suo ultimo periodo di vita, dove il paesaggio diventò a tutti gli effetti strumento per una pratica creativa e di visione più sofferta, più intima, più personale. Girato dall’artista nella stessa campagna della Provenza con una risoluzione di ripresa 4K (ovvero 12 milioni di pixel per fotogramma, la stessa risoluzione della pellicola cinematografica) i visitatori si ritrovano dinanzi a un paesaggio luminoso, nitido, naturale, brillante, fedele a un reale più vero del vero, il vento muove e sposta gli alberi in una danza persuasiva e naif.
A un certo punto però entra scena il dialogo che l’artista ama fare tra antico e nuovo, reale e fittizio, quello tra due diversi medium, quali la pittura e la tecnologia, nella fattispecie tra il dato naturale, la pennellata di Van Gogh, e il computer. Durante la visione idilliaca di questa arcadia francese avviene un cambio di registro stilistico e teorico, attraverso un morphing progressivo e straniante, gli algoritmi di image analysis utilizzati da Quayola entrano in azione disgregando e liquefacendo l’immagine, con un effetto quasi corrosivo la natura si scioglie, si contorce, in un movimento trascendentale, riportandoci alla gestualità tormentata e sensibile, post-impressionista - espressionista di Van Gogh; l’unità visiva formale non è più il dato icastico, ma qualcosa di informe, di astratto che viene meno alla sua natura per mutare, divenire altro, quello che riconosciamo sono minuscoli segni, affiancati l’uno all’altro, densi, saturi, luminosi, carichi di energia. La forma si compie in un rituale compositivo immersivo, reso grazie anche alla fruizione permessa dallo spazio scelto, isolato, e grazie a un’inquadratura a campo largo, alla scala 1:1, come sottolineato nel catalogo – un tocco lirico alla Bill Viola, del quale viene riportato anche un pensiero : "Una delle cose che la videocamera mi ha insegnato è stata quella di vedere il mondo, lo stesso mondo che vedono i miei occhi, nel suo essere metaforico e simbolico. Questa condizione è infatti sempre presente, latente nel mondo che ci circonda".
In questo continuo mutare, la forma si celebra pienamente in uno scambio secolare tra pittura e computer, questa è la forza della ricerca di Quayola, mettere la storia dell’arte al servizio dell’oggi, di questo presente veloce, per renderla interpretabile, soprattutto esplorabile e fruibile. Quayola coniuga mito e sperimentazione. Ma Quayola più che artista è , per citare Mario Costa, studioso e teorico del sublime tecnologico, leit motif di questa esposizione, un ricercatore estetico, intendendo per estetica appunto la concezione primaria baumgartiana del termine, l’esperire del mondo sensibile mediante i sensi. E nelle opere di Quayola, dove la fase processuale è anche più importante di quella finale, ciò accade, durante la fruizione veniamo rapiti come in un incantesimo, come in una magia, la percezione viene spiazzata e stordita. Il processo è per Quayola la sintesi di studio, ricerca, progetto e collaborazione, l’artista infatti si avvale spesso di un team multidisciplinare.
Il lavoro Jardins d’été – Process contiene già nel titolo quello che ho sottolineato riguardo l’importanza processuale del lavoro, anche quest’opera dimostra l’interesse di Quayola per la pittura e la storia dell’arte, in questo caso della pittura impressionista di Monet che diviene nel video “pittura digitale e dinamica”, in cui una serie di composizioni floreali attraversa le maglie algoritmiche di analisi computazionale del movimento e di schemi e composti di colori.
Ritornando al “sublime tecnologico”, sottotitolo introduttivo di questa esposizione, Mario Costa in un’intervista per MediaMente ha raccontato cosa sia : “Il sublime tecnologico è, in qualche modo, la nozione dell'oltrepassamento dell'arte, ed è un essere collocati al di là di quelle che erano le categorie specifiche dell'artistico, vale a dire: il soggetto, l'espressione, la creatività, lo stile. La nozione di sublime tecnologico alla quale le nuove tecnologie permettono di accedere è una nozione che liquida tutta questa struttura concettuale legata all'artistico e che introduce, invece, quel sistema di categorie concettuali legate, nell'estetica tradizionale, al sublime: la nozione, cioè, di un soggetto debole, di un soggetto sopraffatto da qualche cosa che non è soggetto; ed è questo, a mio avviso - questo è il concetto che io vado sviluppando -, la dimensione nella quale le nuove tecnologie hanno collocato la situazione antropologica in generale. È una situazione di debolezza del soggetto, di oltrepassamento dell'espressione, di venir meno dello stile, del venir meno di tutte quelle che erano le caratteristiche fondamentali dell'arte tradizionalmente intesa. Questa è la mia nozione di sublime tecnologico. Devo anche aggiungere che è una nozione particolarmente, ormai, ricorrente; mi pare che molti si muovano in questa direzione”.
Quayola, da ricercatore estetico riesce a fornirci una lettura liquida dell’arte e lo fa impostando sempre un dialogo dicotomico in fieri. Gli still da video di Pleasant places sono autentici dipinti digitali, astratti, informi, nebolusi, irregolari, ribelli, ricchi di una potente e irriverente forza e carica espressiva coinvolgente, erotica, caotica, genitrice, esplosiva, ma allo stesso tempo, morbida, liquida, eterea, fluida, materica, densa, corposa. Tattile.
In mostra oltre alla video installazione è possibile vedere i tre alberi della serie PP 3D-scan series, immagini sintetiche generate partendo dalla scansione laser 3D degli stessi paesaggi provenzali video. Ogni immagine, secondo un accurato processo di rendering, è originariamente resa a 950 megapixel, il che permette impianti di stampa di grandi dimensioni, alla Gursky, mantenendo così un’alta definizione di dettagli. Rispetto al video però qui si squarcia il velo di Maya, e l’illusione propria della “pelle fotografica” decade lasciando il posto a linee geometriche asciutte, colori RGB su fondo nero, scrive la Patti: “come se un’improvvisa glaciazione avesse congelato i soggetti durante la mutazione da oggetto reale a raffigurazione astratta. Gli alberi ci vengono restituiti letteralmente spogli, nudi, l’ossatura che ne rimane è un composto di segni analitici, aguzzi, decisi, ghiacciati, taglianti, come un’incisione o un pallido disegno. Quel disegno che tanto caro era anche allo stesso Van Gogh per una netta marcatura e distinzione del segno, un gesto che si compiva nello spazio del colore e della forma.
Nelle opere di Quayola le esperienze divengono autentiche e il funzionamento della tecnologia utilizzata è lasciata intravedere, viene svelata, confessata, rendendone amabile la potenza espressiva. Come direbbe l’autore di 2001 – Odissea nello spazio: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. (Arthur C. Clarke)