La fotografia giapponese rappresenta da tempo un punto di forza significativo nel panorama artistico internazionale. E una testimonianza concreta arriva dalla mostra Seven Japanese Rooms. Fotografia contemporanea dal Giappone, in corso alla Fondazione Carispezia, che ne indaga forme e caratteri attraverso le opere di Tomoko Kikuchi, Toshiya Murakoshi, Koji Onaka, Chino Otsuka, Lieko Shiga, Risaku Suzuki, e Chikako Yamashiro - sette tra gli artisti più rappresentativi del panorama giapponese.
La rassegna, a cura di Filippo Maggia, si sviluppa attraverso una serie opere caratterizzate da approcci differenti, ma accomunate dalla vicinanza a temi strettamente legati alla realtà, dove l’esperienza diretta rappresenta l’elemento fondante e comune all'indagine di questi fotografi. Così è per Koji Onaka il quale si distingue per catturare il paesaggio giapponese in immagini a colori raccolte nel corso dei suoi numerosi viaggi attraverso il Paese. I suoi scatti, dalla serie Short Trip Again, Matatabi-2, sono percorsi da un sentimento di nostalgia e di incertezza; lo scopo non è quello di documentare i luoghi quanto piuttosto quello di restituirne la valenza emotiva. Risaku Suzuki, invece, riflette, sulla percezione dello sguardo verso soggetti semplici - la neve o i fiori di ciliegio, come nelle opere della serie Sakura che ritornano nel suo lavoro incentrato sulla consapevolezza che nulla è eterno, ma che tutto può essere messo in relazione con una nuova vita.
E ancora, ecco Tomoko Kikuchi, Chino Otsuka e Lieko Shiga componenti di quella schiera di artiste volitive e indipendenti capaci di intraprendere strade anche difficili pur di affermare la propria ricerca. Tomoko Kikuchi, infatti, indaga temi “scomodi” e tenuti celati all’opinione pubblica, come quello dei transgender. Nella serie I and I - realizzata tra il 2006 e il 2011 - Kikuchi ritrae le esistenze delle drag queen cinesi, dai giorni bui durante i quali trascorrevano esistenze sotterranee, fino all’epoca in cui iniziarono a intravvedere uno spiraglio di luce.
Chino Otsuka, da anni in Inghilterra, sviluppa il rapporto tra storia personale e memoria: nel suo lavoro Memoryscapes, l'artista ha ri-fotografato alcuni dettagli di vecchie fotografie ingrandendo l'immagine che, frammentata e sfuocata, narra la propria storia. E ancora diversa è l’avventura intrapresa da Lieko Shiga che si è trasferita nello sperduto villaggio di Kitagama - nel nord-est del Giappone sull’Oceano Pacifico - dove ha documentato le festività, le cerimonie e ogni attività del villaggio, raccogliendo narrazioni orali sulla storia dell’insediamento. Le opere della serie Rasen-Kaigan sono il risultato della collaborazione dell'artista con gli abitanti del luogo e i soggetti dei lavori sono i loro corpi che rappresentano storie troppo delicate e invisibili per essere trascritte come cronache, ma a cui, invece, si aggiungono le esperienze dell'artista stessa che ha preso parte allo scatto.
Sulla cultura e le tradizioni del luogo in cui è nata, Okinawa, si spinge invece Chikako Yamashiro attraverso un puzzle dove realtà e sogno si sovrappongono, come accade nel video Your voice came out through my throat che muove dal racconto dell'esperienza della Battaglia di Okinawa narrato all'artista da alcuni anziani della sua città. La regione natale è infine il tema esplorato da Toshiya Murakoshi che indaga la sua città d'origine, Fukushima. Murakoshi, realizza potenti fotografie in bianco e nero, paesaggi che ripercorrono i suoi ricordi, e che inevitabilmente si collegano al sisma e al disastro nucleare: anche così la fotografia diventa il modo per pensare ed elaborare un disastro e le immagini evocative diventano testimonianza di una memoria.
Un certain regard
di Filippo Maggia
Quando, quasi venti anni orsono, mi recai per la prima volta in Giappone per allestire una rassegna di fotografia giapponese alla Galleria Civica di Modena [1], rimasi molto stupito dalla quantità di eccellenti fotografi di cui, in Europa e non solo in Italia, poco o niente si conosceva. Alla fine degli anni Ottanta, da un decennio scarso erano apparse nel vecchio continente le fotografie di Daido Moriyama e solo dieci anni più tardi sarebbero comparse quelle “scandalose” di Nobuyoshi Araki, grazie al prezioso lavoro di scouting proposto dall’attento magazine Camera Austria [2] e, per la fotografia giapponese in particolare, dal loro redattore e fotografo Seiichi Furuya.
Hiroshi Sugimoto, già residente a New York da diversi anni, veniva considerato un artista contemporaneo a pieno titolo, introdotto nel sistema dell’arte e rappresentato da Sonnabend, importante galleria internazionale. Come Sugimoto, anche Yasumasa Morimura andava in quegli anni affermandosi all’estero prima che in Giappone. Eikoh Hosoe, Ken Domon e Kenro Izu completavano la sparuta pattuglia di fotografi giapponesi di cui qualcosa era giunto sino a noi. Fatta eccezione per Parigi, dove già allora gravitavano diversi autori giapponesi (Keiichi Tahara, Jun Shiraoka, ad esempio), e New York dove fra gli altri risiedeva Kunié Sugiura oltre ai già citati Izu e Sugimoto, chi volesse provare a indagare la fotografia giapponese doveva forzatamente recarsi nel Paese del Sol Levante, dove avrebbe “scoperto” Ryuji Miyamoto, Naoya Hatakeyama, Toshio Shibata, Taiji Matsue e altri ancora.
Come ricorda nel suo saggio Michiko Kasahara, tale penuria di informazioni derivava principalmente dal fatto che la fotografia, in Giappone, ancora non godeva di un sostegno pubblico o privato tale da riuscire a promuoverla all’estero. Nei decenni successivi, grazie al lavoro di curatori internazionali (ricordo, a tale proposito, la retrospettiva che rivelò al mondo la statura artistica di Shomei Tomatsu, promossa nel 2006 dal MoMA San Francisco [3]), di critici giapponesi e stranieri, di una nuova generazione di galleristi e degli stessi artisti, è stato possibile approfondire la conoscenza degli autori giapponesi, e oggi possiamo apprezzare come questa importante scuola sia andata evolvendosi arrivando ad affermarsi come uno dei panorami più interessanti in ambito contemporaneo. Pur non avendo la pretesa di offrire una visione esaustiva, questo volume vuole aggiornare la scena nipponica in un importante momento di transizione fra la generazione dei maestri – ai fotografi poc’anzi ricordati va senz’altro aggiunta la pioniera Miyako Ishiuchi [4] -, e quella attuale.
Fondamentale, nel cammino che ha infine portato alla selezione degli autori qui proposti, è stata la collaborazione offerta da quanti in Giappone operano in ambito fotografico, grazie alla quale sono stati raggiunti autori che difficilmente sarebbe stato possibile contattare, prima di tutto per un problema di comunicazione. L’osservatorio privilegiato del Museum of Photography di Tokyo, è risultato essere un riferimento imprescindibile anzitutto per l’atteggiamento democratico di apertura che ha sempre voluto riconoscere alla fotografia giapponese [5], spaziando dal classico reportage alle ultime tendenze multimediali. All’interno di questo ampio spettro di approcci e modus operandi abbiamo cercato di individuare quegli artisti che, attraverso i loro lavori, potessero rappresentare la vitalità e fluidità della ricerca attuale, volendo, contestualmente, preservare alcuni autori che, pur con metodologie assai differenti fra loro, risultino come testimoni del passaggio generazionale.
Una delle caratteristiche che contraddistinguono in maniera rilevante gli autori nipponici oggi compresi fra i 35 e i 55 anni [6] rispetto ai coetanei europei piuttosto che americani, è la loro propensione a uscire dal Paese natale, una necessità oggi più che mai evidente, dovuta in parte a un sistema di mercato interno ancora debole (le gallerie stesse operano principalmente sul mercato occidentale piuttosto che su quello nazionale) ma soprattutto avvertita e poi vissuta come territorio d’esperienza diretta, indispensabile e individuale, in un certo senso compiuta in se stessa, ovvero senza pretese di universalità. Non c’è insomma, alla base di questa scelta, desiderio di affermazione o voglia di emergere, quanto il bisogno di confrontarsi con uno scenario più ampio del proprio mondo – al contrario di Araki, ad esempio, o dello stesso Morimura, artisti che hanno contestualizzato il proprio lavoro sullo sfondo del “teatro” giapponese, con ciò intendendo il raffinato amalgama di tradizione, costume e modernità tipico del Giappone -, nonostante questo, che ha profonde radici in ognuno di essi, puntualmente poi ritorni nelle opere, nell’elaborazione progettuale come nel rigore formale che le contraddistingue.
Osservata dall’esterno, la scena contemporanea giapponese appare nella sua complessità ricca, assai variegata, finanche seducente. La stessa impossibilità di definire una o più tendenze assume immediata valenza positiva, tali e tanti sono i campi d’indagine, tutti affrontati con pari intensità e quella originalità di cui molte volte difetta la fotografia occidentale. È questa un’altra peculiarità che rende unico il palcoscenico nipponico delle immagini: capace di distaccarsi dall’ingombrante eredità dei maestri facendo proprie istanze che nascono dai cambiamenti in atto nella società contemporanea, tradotte in opere nitide, a volte anche formalmente classiche eppure graffianti, crude, essenziali.
Ci troviamo di fronte a una generazione di artisti che, per quanto proceda in ordine sparso e ancora a credito di adeguato sostegno, è ben consapevole dei propri mezzi e parimenti abile a intercettare trasversalmente sensibilità condivisibili da tutti, in primis proprio dalla critica e dal pubblico occidentale che sembra da anni ormai come sedato da estetismi ridondanti.
Note:
[1] Uno Sguardo sul Giappone, Modena per la Fotografia 1999, Galleria Civica di Modena, a cura di Filippo Maggia in collaborazione con Walter Guadagnini.
[2] Le fotografie di Daido Moriyama sono pubblicate sul numero 2 di Camera Austria, 1980. Nobuyoshi Araki, Akt Tokyo viene pubblicato da Camera Austria nel 1992.
[3] La retrospettiva di Shomei Tomatsu Skin of a Nation, promossa dal MoMA San Francisco, itinerante 2004-2006, a cura di Leo Rubinfien, Sandra S. Phillips e John W. Dower.
[4] Miyako Ishiuki, Mother’s 2000-2005 – Traces of Future, a cura di Michiko Kasahara, 51° Biennale di Venezia, 2005, Padiglione Giapponese.
[5] Il Tokyo Photographic Art Museum dai primi anni duemila periodicamente organizza mostre collettive a tema con 4/5 autori, Contemporary Japanese Photography, volume 1, 2, 3…
[6] Gli artisti presenti in questo volume sono compresi in una fascia di età che va dai 36 anni di Toshiya Murakoshi e Lieko Shiga ai 55 anni di Koji Onaka.