Vitriol è un personaggio fantastico inventato da Gillo Dorfles con occhi piccolini e penetranti che bucano l’osservatore da parte a parte. Lo ritrae la prima volta in un suo dipinto del 2010 e poi lo fa rivivere da protagonista in una serie di disegni e di appunti, realizzati nella seconda metà del 2016.
Vitriol, Disegni di Gillo Dorfles, 2016, fino al 5 febbraio alla Triennale di Milano è l’inedita esposizione del dipinto del 2010 accanto a 18 disegni e rappresenta un’assoluta novità nella pittura di Dorfles che a 106 anni vanta una lunga e vasta storia di critico, filosofo, artista e scrittore. “Dipingo quelle forme che mi ossessionano, che mi si agitano dentro”, afferma l’artista. E Luigi Sansone che, con Aldo Colonetti ha curato la mostra, approfondisce questo concetto : “L’opera pittorica di Dorfles è tutta pervasa da una rara capacità di coinvolgere lo spettatore nel piacere di cercare e ritrovare in essa quel misterioso mondo interiore che è in ciascuno di noi”. E per spiegare Vitriol: “Nel dipinto che ho avuto modo di ammirare per primo nel gennaio 2010, ancora fresco di pittura, è così intensamente ispirato da sintetizzare tutta la sua opera intrigante e stimolante, che ci riconduce all’essenza della vita, a percezioni lontane, consce e inconsce, con sorprendente e compiaciuta curiosità; Vitriol ha un palese significato esoterico che svela la profonda spiritualità filosofica della sua ispirazione pittorica”.
Il curatore chiarisce la genesi e la simbologia di quel personaggio che ricorre in tutta la serie esposta: “Vitriol è l’acronimo ricavato dalla frase Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occoltum Lapidem (Visita all’interno della terra, rettificando troverai la pietra nascosta). Questa espressione nell’alchimia ermetica indicava l’esigenza di scendere nelle viscere della “terra”, cioè nel profondo dell’essere umano, per conseguire l’iniziazione, operando quelle trasmutazioni della materia in spirito che avrebbe permesso di conseguire l’immortalità e riportare alla luce la sapienza”. In un dialogo tra i due curatori e Gillo Dorfles, l’artista chiarisce: “Attraverso la figurazione molto spesso si riesce ad andare al di là della propria “conoscenza cosciente”, per approdare a una sorta di “figurazione dell’inconscio”. Indubbiamente, molti miei disegni sono provenienti dall’inconscio, quindi al di là della mia volontà di fare una figurazione determinata, succede molto spesso che si affacciano degli elementi figurativi che ovviamente derivano da uno stato di coscienza non razionalizzata”.
Luigi Sansone che ha curato il catalogo ragionato di Dorfles e conosce a menadito l’intero corpus delle sue opere, spiega il suo modo di disegnare: “Gillo Dorfles, quando disegna è molto più libero rispetto alle altre attività, come quando si esprime con le parole e la scrittura. Sembra quasi un medium; l’ho visto disegnare alcune volte con la matita, senza staccare mai la punta dal foglio, quasi fosse ispirato da un mondo invisibile. È un mondo molto particolare quello di Dorfles, chi ci entra non se ne stacca più”.
In ogni disegno sono presenti citazioni in lingua di Goethe che rimandano anche al pensiero antroposofico di Rudolf Steiner e a Carl Gustav Jung e riportano una serie di parole e di numeri che prima di essere “parole” sono disegni, composizioni, linguaggi da decifrare. Sansone ci conduce a ritroso nell’arte di Dorfles. “Ho visto le sue prime opere degli anni ’30, quando si ispirava a Rudolf Steiner e alla sua scuola. Sono opere quasi segrete, tra il metafisico e il surreale, accanto a una tecnica pittorica molto raffinata; infatti Gillo in quel periodo usava la tempera grassa all’uovo, l’antica ricetta dei maestri del Rinascimento”. E sottolinea l’unicità della sua pittura: “Le opere che realizzava negli anni ’30 in Italia, non le dipingeva quasi nessuno; sì, qualche eccezione, Arturo Nathan, che conosceva bene, oppure Savinio, ma sono pochissimi esempi in Italia, un paese dove allora imperversava la cultura legata alla Sarfatti, il Novecento italiano. Gillo vedeva oltre, era molto più avanzato; ecco perché ripercorrendo tutto il suo lavoro, è possibile riscoprire le ragioni della sua autenticità di artista perché ha sempre disegnato, ha sempre dipinto, non è mai stato un suo passatempo. Vitriol lo dimostra, perché è un quadro, è una serie di disegni, ma soprattutto è un diario di un viaggio che continua”.