In un angolo della periferia parigina un fermento creativo si è sviluppato e ancora fruttifica nel campo della cultura francese: è Fontenay-aux-Roses. Nel grande parco, i platani secolari - sotto le cui fronde convivono ancora gli studi di due artisti ormai consegnati alla storia, René Letourneur e Jacques Zwobada - continuano a emanare importanti energie fecondanti: quell’afflato oggi si perpetua in Jean Letourneur, figlio di René.
In questa cittadina si sono cimentati e hanno raggiunto notorietà internazionale due artisti variamente caratterizzati: il primo, René Letourneur, scultore forgiato al classico dalla sua permanenza presso l'Accademia di Francia a Villa Medici a Roma; il secondo, Jacques Zwobada, appassionato di disegno sin dalla più giovane età, approdato alla scultura accademica suo malgrado e, infine, sublimato al simbolismo erotico da un tipo di scultura di sua creazione.
Nel grande parco di platani secolari di Fontenay-aux-Roses, inoltre, sono state scritte pure tante affascinanti pagine di storia, di arte e d’amore del secolo XX. Per l’arte vi è, appunto, l’eredità riconosciuta del padre di Jean, René, e di Jacques Zwobada, artista eminente non ancora conosciuto come dovrebbe in Italia. In occasione della mostra presso la Fondazione Memmo [1], Claudio Strinati scrisse di Zwobada:
Chi voglia accostarsi oggi in Italia all’opera di Zwobada deve recarsi a Mentana a vedere il mausoleo che il Maestro volle erigere in memoria dell’adorata moglie Antonia Fiermonte e che non potè mai vedere completato, ancorché si presenti oggi, dopo un intervento della figlia del Maestro, Anna Filali, in un degnissimo assetto. L’opera, per certi versi straordinaria (e oggetto di una recente, partecipe pubblicazione di Salvatore G. Vicario, Zwobada a Mentana, Foligno 1997) è quasi il simbolo complessivo dell’universo morale ed estetico di Zwobada e bisogna partire da qui per cogliere il senso profondo della sua arte, che forse soltanto adesso può essere compresa in tutta la sua portata.
Per la storia, invece, il primo personaggio a illustrarla è René, accademico convinto e ormai raffinato dalla frequentazione della scuola romana; non si discostò mai da quella tecnica che, stilema inconfondibile, gli farà sempre modellare figure tonde, procaci, sempre solenni; ma raggiunse davvero bene assimilata dall’arte classica, la capacità di donare al marmo vita epidermica. Quando nel 1934 nella sua esistenza entrò di prepotenza il matrimonio, l’anno successivo, dalla nascita di Anna ne rimase coinvolto al punto da esternare a ogni passante la gioia di essere diventato padre. L’abitazione, da poco ultimata, si adornò di un bassorilievo in bronzo a far da maniglia al portone d’ingresso: raffigurò la piccola Anna in fasce e con le braccia aperte, atteggiate in un gesto di pace e d’amore. Sulla facciata principale della casa inoltre egli fece fissare la testa di Antonia, altorilievo in marmo, come a eleggerla regina e signora della casa.
Jacques, insoddisfatto del classicismo che aveva praticato fino a quel momento, soffrì a lungo per un tormento inquadrato in una cornice di psiconevrosi ansiosa con disturbi del sonno e con la sensazione di una incontrollabile astenia; ciò si protrasse sin quando un processo scatenante, innescato da un accadimento davvero imprevisto, riuscì a scacciare il Super-Io con tutte le sue remore e i suoi tabù, per lasciare via libera al prorompente suo Es e al conseguente prevalere del principio del piacere. Il fattore scatenante fu l’innamoramento per la moglie del suo più caro amico, Antonia. Questo fatto sconvolgente lo condusse al crollo di tutte le censure sociali e a una nuova, intensa folgorante riscrittura della sua vita artistica.
Antonia Fiermonte, moglie di René e poi di Jacques, giganteggia in questo intreccio con la sua romanzesca avventura d’amore, iniziata a Roma, a Villa Medici, sviluppatasi a Fontenay, chiusa per sempre a Roma e eternata a Mentana [2]. Antonia, in due decenni di vita parigina, segnò in modo indelebile la sua presenza sia nell’arte francese del Novecento, creando un artista, Jacques Zwobada; sia nella vita sociale, creando nel grande parco un “salotto” frequentato dai nomi più importanti della cultura francese del tempo; arricchirono il salotto Louise de Vilmorin, della quale Zeri scrisse “una delle grandi signore dell’alta società parigina, rappresentante di un’élite culturale e mondana, sopravvissuta alle due guerre, che viaggiava, sapeva divertirsi, […] lanciava le mode intellettuali sino a consacrare talenti artistici e inventare il gusto”, ma pure Paul Herbé, Pierre Chardourne, André de Vilmorin, André Caplet… Quando per la Francia arrivò la tragedia dell’invasione tedesca, ancora Antonia si avvalse del suo DNA di donna del Sud d’Italia per trasformare il parco in rifugio:
il giardino divenne covo […] ove nascosero le loro fortune molti ebrei, ricchi e meno ricchi. In quei momenti difficili uno dei personaggi più in vista della resistenza fu Jean Rosenthal che aveva seguito il generale De Gaulle a Londra; questi quando rientrava in Francia per le sue missioni segrete veniva di nascosto nella casa di Fontenay. Per tutto il periodo della conquista tedesca l’abilità e la dialettica di Antonia riuscirono a rendere servigi importanti alla causa della resistenza.
Il destino però ha il suo procedere insindacabile: l’idillio fra Antonia e Jacques durò troppo poco. La vita in comune aveva trasformato l’uomo e l’artista ma la magia s’infranse il mattino del 3 aprile 1956. Fu un lunedì dell’Angelo e, nella Roma godereccia, difficile fu trovare un sanitario per un comunque improbabile pronto soccorso. Quella morte in età tanto giovane sconvolse ancora una volta la vita e l’arte di Jacques. Il mausoleo da lui voluto a Mentana accoglie oggi il visitatore con questa epigrafe:
HOMMAGE / A / ANTONIA FIERMONTE / QUI INSPIRE DES SENTIMENTS / ET DES PENSEES FIDELES / DESSINE PAR PAUL HERBE / ELEVE PAR JACQUES ZWOBADA / CE MONUMENT CONSACRE / A L’AMITIE / A LA BEAUTE / A LA VIE ETERNELLE / EST DEDIE / A ANTONIA FIERMONTE /EN TEMOIGNAGE D’UN AMOUR / QUE NI L’ABSENCE / NI LE TEMPS / NE PEUVENT EFFACER.
Nel parco - oggi - vivono e lavorano i figli di René, Anna e Jean. Anna [3], vedova di Abdellatif Filali, primo ministro del regno del Marocco dal 25 maggio 1994 al 14 febbraio 1998, cura a Mentana il
Mausoleo di Antonia e tutta la storia di passione che vi è sottesa, presupposto e conseguenza insieme dell’arte [di Zwobada] che non sarebbe potuta esistere se non ci fosse stato questo riferimento imprescindibile e indistruttibile costituito dall’amore. Zwobada crea, durante tutta la vita, per servire a quell’impulso amoroso che urge dentro di lui ancor prima che la figura di Antonia appaia all’orizzonte della sua esistenza e permane in lui anche quando la parabola terrena di Antonia si interrompe tragicamente e prematuramente [4].
Jean [5], in questo ambiente magico ha ereditato, oltre all’arte del padre e alla istanze emotive di Jacques, pure la virtù della curiosità dal nonno Henri Gondet; questi fu fisico e allievo di Paul Langevin [6]. L'adolescenza di Jean è stata soprattutto e profondamente segnata dalle opere e dalla personalità di André Malraux, mentre dal padre ha imparato la messa a punto e il taglio diretto su pietra e su marmo; Jacques Zwobada infine gli ha trasmesso inventiva e grinta.
Nel 1973 Jean ebbe una prima rivelazione sulla strada da seguire nella sua carriera; fu l’occasione della visita all’esposizione Sciences, Formes, Couleurs al Palazzo de la Découverte, dove l’Office National d'Etudes et de Recherches Aérospatiales presentava il lavoro sul Meccanismo dei Fluidi. Poi, nell'ansia di ricerca, si è cimentato con una nuova tematica: la scultura policroma. Questo modo di eseguire un'opera scultorea è stata un'intuizione personale ma si è ispirata certamente a una cultura molto antica: lo abbiamo appreso da uno studioso che ha imposto un'autentica rilettura del modo d'intendere l'arte nella storia e comprendere l'opera d'arte stessa nel contesto sociale e urbanistico in cui l'Autore la concepì e volle collocarla. Il prof. Federico Zeri infatti teorizzò il concetto di arte-guida nel mondo classico, estendendola ed esemplificandola, poi, alla nuova Rinascenza, al Rinascimento e, un secolo dopo l'altro, sino ai nostri giorni [7].
Prima di questo stilema Jean Letourneur si era cimentato in una scultura accademica, anche se con suoi innegabili spunti personali; fra le varie opere da lui realizzate ricordo l'insieme monumentale posto nella piazza della chiesa di Fontenay aux Roses, costituita da una scultura di 3 metri e da due fontane con mosaico; il busto della principessa Lalla Soukaina a Rabat; il busto e la medaglia per la scomparsa di Antoine de Saint Exupéry (Monnaie de Paris, 1994) e il busto del banchiere Jean Marc Vernes (1995).
Jean, nato da Isabelle, terza moglie di René, oggi sposato con Florence dalla quale ha avuto Iris (1995) e Diana (1998), tentato dall’arte astratta tipica del tempo della sua giovinezza, non ebbe subito chiara la sua strada: seguire il nonno, “fisico” o il padre, premier grand Prix de Rome de Sculpture del 1926, specialista nel taglio della pietra imparata durante il suo soggiorno Villa Medici? Pure per lui, come per tutti gli artisti degli anni Settanta,
il panorama dell’arte […] fu contrassegnato dal netto rifiuto dei linguaggi tradizionali e dal prevalere dei mezzi extra artistici: la fotografia, il video, la scrittura, l’intervento sulla natura, sul corpo, ecc. Il concettualismo costituiva l’elemento unificante delle differenti linee di ricerca; sembrava più importante riflettere sul concetto stesso di arte - metterne in dubbio la legittimità, contestarne il senso – piuttosto che produrre effettivamente delle opere [8].
L'arte di Jean Letourneur come si vede, invece, è ora perfettamente inserita nella sua riscoperta metodica; dalle sue intuizioni un nuovo orizzonte si apre alla scultura moderna e, forse, un nuovo capitolo nella storia dell'arte contemporanea.
Note:
[1] Aa. Vv., Zwobada, Roma, Palazzo Ruspoli, 15 settembre-15 novembre 1998.
[2] Salvatore G. Vicario, Zwoboda a Mentana, Foligno 1997, p. 119.
[3] Per lo svolgimento storico della vita che ancora caratterizza lo stile di Anna, cfr. Vicario, cit.: se non fosse vita vissuta, la sua, potrebbe essere tema di un romanzo.
[4] Claudio Strinati, Zwobada, Fondazione Memmo, Leonardo arte, Roma 1998, p. 9.
[5] Jean Letourneur: insegnante di scultura su pietra e su legno, perspective/descriptive aux Arts Decoratifs all'ENSAD negli anni 1982/91 e professore all'ENSAAMA dopo il 1989.
[6] Lagevin installò per il generale Ferrié il primo apparecchio radio su un aeroplano e poi l'antenna sulla torre Eiffel; fu pure inventore di numerosi congegni e a 85 anni si ritirò per consacrarsi al disegno, sino alla fine dei suoi giorni.
[7] Federico Zeri, Prima conoscitori, poi storici, “martedì letterari”,Teatro Eliseo, 16 febbraio 1982, conversazione poi riportata, nel I° anniversario della morte, in “Annali” dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia onlus, 1999, pp. 115-122.
[8] Stefano Fugazza, Dal Settanta ad oggi, Storia dell’arte italiana, vol. IV, Electa-Bruno Mondadori ed., Venezia 1986, p. 324.