Là dove l'Adriatico già promette lo Jonio e perde il verde acidulo sotto le squame d' un azzurro tiepido e denso, questa città che nessuno celebra, Trani...
(Cesare Brandi, Pellegrino di Puglia)
È la sera azzurrina e calda che fa da spalla a certe notti d’estate. Nel porticciolo di Trani mare e cielo si divertono a confondere i turisti, cancellando a tratti la linea d’orizzonte. Una delle più belle città d’Italia, eppure, come scrive Cesare Brandi, “una città che nessuno celebra”. La “perla dell’Adriatico”, come la chiamano, dove storia e leggenda si scambiamo i ruoli e confondono i loro confini, proprio come quel cielo e quel mare: mescolano il loro confine, facendo inorridire gli storici e affascinando i turisti.
All’estremità del porto, ai margini di una piazza vuota di edifici, lì dove forse ci si aspetterebbe di trovare un faro, troneggia la Cattedrale, con le sue linee severe ed eleganti. Cielo e mare, nel teatro a cielo aperto di Piazza Duomo, sono la scenografia essenziale di quella chiesa che incanta chiunque si fermi al suo cospetto. Nonostante la sua struttura massiccia, la chiesa romanica restituisce, nell’insieme, la sensazione di una singolare leggerezza percettiva. Sarà per quella sua colorazione bianco-rosea, che deriva dall’uso del tufo calcareo delle cave di Trani.
È per quei colori, per quella sua pietra unica, che Trani è nota nel mondo come la “perla dell’Adriatico”. Il Duomo, con la sua mole, sembra voler indicare la rotta ai passanti, in un intrico di storie e leggende, che portano alla Cattedrale, come al porto della cristianità. L’alto campanile sembra sfidare il cielo e le tre absidi adiacenti sono come le canne di un immenso organo di chiesa, che sorge direttamente sul mare. Da quell’organo si liberano nel porto, in un’unica melodia indistinguibile, le note della storia e della leggenda.
La storia più nota, a Trani, è quella di San Nicola, che approdò in città sul finire dei suoi giorni. “Kyrie eleison!”, gridava ogni giorno Nicola, invocando la divina misericordia. La madre le aveva provate tutte con quel ragazzo che sembrava un invasato. Finché un giorno, disperata, lo aveva affidato ai monaci di San Luca Stiri che l’avevano rinchiuso in una cella, credendolo in preda a delirio. Nicola però riuscì a fuggire da quella prigione e affrontò il mare, traendosi in salvo e compiendo forse, così, il suo primo miracolo. Da quel momento San Nicola aveva iniziato a girare il mondo facendosi conoscere ed amare, con i suoi miracoli, in ogni città. Mentre era in rotta per la Grecia è approdato al porto di Trani, sul finire dei suoi giorni, dove è stato subito riconosciuto e acclamato dalla cittadinanza come un santo. Nicola morì pochi giorni dopo il suo arrivo a Trani e il vescovo di Bisanzio volle far erigere una chiesa in suo onore.
Fu così che, secondo la tradizione, nel 1099 cominciarono, ad opera di Barisano da Trani, i lavori della regina delle chiese di Trani, pari per imponenza forse solo al Castello, che a pochi metri la guarda e sembra voglia rubarle la scena. Costruito da Federico II di Svevia, direttamente sul mare, sul lato nord del porticciolo, il castello sembra un veliero, con i suoi due torrioni imperiosi, che delimitano una serie di arcate che, alla sera, si riflettono sul mare, in un magico gioco di forme e di luci. Quella struttura suggestiva e imponente, per i tranesi, è la “sentinella del porto”. Tra le sue mura, odio e amore, storia e leggenda giocano a cedersi il passo. Come ovunque a Trani.
Si racconta che proprio tra le mura del Castello, fu richiusa la bellissima Armida, che aveva sposato il signore del Castello, e che fu condannata a vita, in quella prigione, a causa di un amore proibito. Tra quelle mura la bella Armida, s’aggira ancora oggi, alla ricerca del suo amato, trascinando il suo velo grigio e un quintale di pensieri. Non riesce a cancellare gli occhi di quel giovane durante il ballo al castello. Erano usciti di nascosto dal castello, come due ladri. Dalla festa del castello si erano gettati nella festa disabitata delle strade raccontandosi con uno sguardo quello che il cuore troppo a lungo aveva taciuto. Il silenzio della notte aveva contribuito a renderli gli unici abitanti di quella città che, nella sua stanchezza, si era messa a far sfoggio delle luci intermittenti della luna e delle stelle, riflesse nel mare, col solo intento di festeggiarli. O almeno, a loro sembrava così. Il ticchettio di una carrozza in lontananza aveva poi spezzato il gioco segreto appena nato. Un pugnale nel cuore dell’amante, aveva tagliato il filo della vita e dell’amore. E la bella Armida era stata chiusa, per il resto dei suoi giorni, tra le segrete del castello. Ancora oggi si dice che Armida, la sera, si aggiri tra i corridoi del castello, alla ricerca del suo bel cavaliere, confondendosi tra turisti, con il suo velo di seta grigia, che le nasconde il volto.
Ma il Castello Federiciano ospita, insieme alla leggenda, anche la storia della città. Tra quelle mura la principessa Elena d’Epiro, sposò l’amato Manfredi, figlio dell’imperatore del Regno di Sicilia. E sempre qui, tra le braccia della “sentinella del porto”, come i Tranesi chiamano il Castello, la principessa Elena riuscì a sfuggire all’inseguimento dei suoi stessi sudditi, dopo che il marito era stato ucciso in battaglia e dopo che suo padre, il re Carlo d’Angiò, era stato destituito.
Dalla parte opposta del molo, la Villa comunale: un giardino pensile, tra i più belli d’Europa. Costruito sul terrazzamento delle antiche mura, il giardino fa da invito allo spettacolo del porto. Attraversando la Villa, passando tra palme maestose, filari di lecci, e una coreografia di fontane, il cancello del giardino si apre come un sipario sul fortino di S. Antonio. Il fortino risale al XII secolo. In un gioco di pietre e venature, che oppone alla compattezza delle linee esterne, l’architettura interna dalle ampie arcate, con la struttura basilicale a tre navate tipica delle chiese. La struttura nasce come dono votivo di un capitano scampato alla tempesta che promise appunto la costruzione di una chiesa in riva al mare. Anche questa volta non è chiaro dove finisce storia e dove inizia la leggenda. In ogni caso, promesse da marinaio: la chiesa è diventata oggi un noto ristorante.
Lo spettacolo che si ammira dall’alto del fortino, è di una bellezza inafferrabile. È quell’incanto che una fotografia non sa cogliere: da lì si ammira, nella sua interezza, la splendida insenatura del porto, che fa da contorno a tutto il borgo antico. È l’Adriatico che si riveste dei toni caldi del tramonto. Quell’antro di mare, alla sera, è tutto un brulicare di barchette bianche di pescatori, come giocattoli galleggianti, un andirivieni di marinai indaffarati a riparare le reti. Dal porticciolo arriva, fino sul fortino, l’odore del pesce appena pescato, e dalle case dei pescatori, poco distanti, la promessa di una cena che odora di pane. Anche il porticciolo di Trani, ha la sua leggenda: la leggenda del povero pescatore. Che è poi la leggenda di Trani e del suo matrimonio con il mare.
Si racconta che un giorno, nella rete di un povero pescatore, restò impigliato un grande pescecane. Il pesce cominciò a parlare e rassicurò il poveruomo (che si lamentava di non avere avuto nulla dalla vita) che se avesse seminato nel suo orto, i denti aguzzi del pesce, avrebbe certamente realizzato i suoi sogni. Così fece il pescatore. Da quella semina nacque un grande albero, che si trasformò in un cavallo bianco, che condusse il pescatore in giro per il mondo, rendendolo ricco e famoso in ogni angolo della terra. Finché, al suo ritorno a casa, l’uomo si accorse di aver perso famiglia e amici, e soprattutto di aver smarrito la felicità. Così, mentre era seduto sconsolato nel suo orto, il pescatore vide, in una zolla di terra, un pesce agonizzante. Non appena lo ebbe raccolto, il pesce di trasformò nel suo amico pescecane, che lo invitò a seguirlo. Il pescatore scomparve per sempre, nel mare, a cavallo del pescecane. Da allora nessuno lo ho più visto.
Forse ancora oggi si nasconde tra le acque del porticciolo, su una di quelle navi dai nomi lontani: “Speranza”. Trani custodisce, insieme alle sue leggende, anche il suo passato medioevale. Ogni pietra, ogni angolo della città, è testimonianza di quell’età di mezzo. In questo scrigno di storia baciato dal mare, sono stati scritti gli Statuti Marittimi di Trani, i cosiddetti Ordinamenta et consuetudo Maris: il più antico codice marittimo del Mediterraneo, tutt’ora internazionalmente valido. Il codice fu promulgato nel 1063 per volere del conte normanno Pietro di Trani e testimonia il passato della città, come crocevia di popoli e culture del Mediterraneo e soprattutto come ponte per l’Oriente. Per questo suo essere ponte fra Oriente e Occidente, il porto di Trani è stato anche luogo di partenza e di ritorno delle crociate. Nelle acque del porto infatti, si riflettono le tre absidi della chiesa di Ognissanti, meglio conosciuta come “chiesa dei Templari”: un gioiello d’architettura romanica.
A Trani, con i templari, storia e leggenda, ancora una volta, si tengono per mano. Nella Historia Traslationis Sancti Nicolai, opera del futuro vescovo di Bisceglie, si racconta che il Diacono Armando, nel corso della cerimonia di traslazione del corpo di San Nicola, in un cielo completamente terso, vide levarsi all’improvviso due colonne di nuvole nere. Il Diacono riconobbe, nell’avanzare al galoppo di quelle nubi, i cavalieri dell’Ordine, accorsi per assistere alla celebrazione.
Scendendo dal fortino seguo passo passo, come facevo da bambina, la linea irregolare delle lastre chiare dei marciapiedi. Un passo per ogni riquadro. Mi ritrovo così nel centro storico di Trani. Il sole è in procinto di tramontare, e la pietra bianca, simbolo di Trani, cattura e restituisce al mare gli ultimi raggi. Percorro il lungomare in direzione del molo di S. Lucia, sul polo opposto del porto. Da lì mi giro per guardare l’ultima volta il castello, prima di far ritorno a casa. L’esattezza di un ricordo mi colpisce all’improvviso: avevo forse otto anni quando ho visitato Trani per la prima volta. Ricordo che proprio davanti alla finestra del castello, una vecchia dagli occhi azzurri e i capelli bianchi guardava il mare da un’insenatura della roccia. Mi si avvicinò sorridendo, con quella dolcezza che hanno solo gli anziani: “ciao piccola, conosci la storia della principessa Armida?”. Aveva, poggiato sul capo, un velo di seta grigia. Il passato, a Trani, è il più caparbio dei suoi pescatori. Di notte, mentre avvolge le reti, e prega San Nicola, dice di vedere Armida, tra le arcate del castello, con il suo velo grigio poggiato sul capo. E stringe forte, nella sua mano rugosa, un dente aguzzo di pescecane.