Li scorsi da lontano, prima che l’auto prendesse un tornante, poi, per qualche secondo, non li vidi più.
Da quella distanza sembravano due scimpanzé eccitati, due marziani oscillanti e scuri che agitavano le braccia uno contro l’altra.
Eravamo in una specie di altopiano, povero di case, solo qualche luce intermittente e fiacca pulsava in lontananza.
Appena compiuta la curva, ce li trovammo davanti e B. ebbe un moto di esitazione, l’auto disegnò una breve esse sullo sterrato.
Rallentammo.
Erano un uomo e una donna, sulla sessantina, vestiti da sera.
Si scorgevano paillettes nere fuori della pelliccia che la donna stringeva alla vita, lui aveva una sciarpa di seta al collo.
B. si voltò verso di me stupito.
– Magari hanno dei problemi con l’auto. – ipotizzai.
Così, rallentando al minimo, ci avvicinammo ai due.
B. abbassò il finestrino e si sporse di lato.
– Ehi tutto bene? Avete bisogno di un passaggio? –
La donna si allontanò di qualche passo come volendosi dissociare da quella situazione.
– Salve, sì – rispose l’uomo e, tenendo il palmo della mano sul vetro, come a trattenerci, si rivolse alla donna:
– Vieni dai, torniamo su! –
Quindi, girandosi di nuovo verso di noi, spiegò:
– Dobbiamo arrivare a quel casolare in cima, vedete là, dove ci sono le luci. Sono poche centinaia di metri. Vi dispiace? –
La donna si convinse dopo che lui la prese per un braccio; era alta e bionda e portava con estrema disinvoltura la mise lussuosa e il trucco.
Entrarono uno alla volta.
Entrò il freddo.
Di colpo c’era un affollamento di mondo dentro l’abitacolo e il nostro silenzio felice divenne solo imbarazzo.
– Perché mi hai fatto salire? Non voglio venire via con te. Fatemi scendere! – sibilò la donna, quindi cominciò a smanettare con la portiera dimostrando la volontà di saltare fuori dell’auto.
– Stai calma, stai zitta! – le intimò lui.
B. fece per girarsi, ma l’uomo gli mise una mano sulla spalla e sentenziò che era tutto sotto controllo. La donna, tuttavia, continuò ad agitarsi; la complicata acconciatura laterale iniziò a cedere e il vestito di paillettes nere si contorse sul sedile come un grosso serpente in fase digestiva.
– Noi ci stiamo lasciando, lo vuoi capire? Noi non stiamo più insieme. Io non voglio più fingere con la tua famiglia, con tutto il tuo circo di parenti. Basta!
Il tono di voce della donna era rauco e minaccioso; una voce da mora, non da bionda, e da fumatrice.
B. continuò a guidare guardando dritto davanti a sé.
Intorno a noi non c’era che la campagna rinascimentale colpita dalla luna.
A una distanza difficile da stabilire, si scorgevano le luci del casolare che i due dovevamo raggiungere.
Mi chiedevo come avessero fatto a camminare così tanto, soprattutto lei che indossava i tacchi alti.
– Non chiamare "circo" i miei familiari. Te l’ho detto mille volte Patrizia. Hai tutto da guadagnarci dal frequentare la mia famiglia! –
Così la donna si chiamava Patrizia. Le stava bene quel nome.
Di sicuro Patrizia era nata alla metà degli anni Cinquanta.
Non era difficile immaginarsela più scura di capelli, alta e formosa negli anni del liceo o di ragioneria e poi impettita in un ricco abito bianco di sposa, alla fine degli anni Settanta.
B. si girò solo un attimo verso di me e sorrise come se avesse captato la solita deriva dei miei pensieri, quindi tornò concentrato sulla strada che adesso aveva cominciato a salire verso la collina.
– Senti Valerio basta. Non dovevo accettare di partecipare a questa farsa, dovevo restarmene a casa, da sola. –
– Ah sì? Ma chi ti infastidisce tanto? Io? I miei parenti? Pensi che non si siano resi conto tutti di quanto sei fuori di testa? Vuole stare da sola, senti, senti … ma dove vai senza me e la mia famiglia! –
I fari dell’auto, puntati in salita, illuminavano un bosco; l’altopiano aperto e la distesa di campi, non c’erano più.
La strada tortuosa era costretta ai lati da un fitto esercito di alberi sempreverdi, pini o abeti, che sembrava moltiplicarsi e armarsi a ogni curva.
– Ma perché ti ostini a tenere in piedi questa cosa? Io non sono codarda come te che non mi ami più da un pezzo ma vuoi conservare le apparenze. Io mi sento soffocare, ho bisogno di aria, di andarmene … –
B., in un gesto di stizza, accese lo stereo dell’auto e di colpo le note di "Kid A" si espansero dentro l’abitacolo.
Erano belle ma non erano più le stesse, non suonavano più come quando eravamo soli e salivamo verso la collina, erano di colpo estranee ed esangui.
E poi successe quello che non doveva succedere: l’uomo sembrò ricordarsi che, seppur litigando con sua moglie che voleva mollarlo, loro due stavano andando a una festa, quindi batté una pacca sulla spalla di B. e propose:
– Non hai qualcosa di più allegro?
Lui, B., non reagì subito, infatti l’auto percorse ancora qualche decina di metri ma poi, in modo del tutto inaspettato, con una frenata brusca, fermò la macchina.
– Fuori. Fuori tutti e due – disse scandendo bene le parole e restando immobile con le mani sul volante.
Fui presa alla sprovvista da quella decisione ma l’accettai d’istinto, fiutandola come la nostra unica possibilità di salvare non solo quella serata, ma le nostre strade, le nostre vite, le idee, tutto.
Il bosco incombeva ai lati, frusciante e gelido.
L’uomo tentò di riprendere in mano la situazione, e con tono che aveva ancora qualcosa di baldanzoso come conveniva alla serata, incitò:
– Che ti è preso? Dai su, portaci a casa. –
Ma B., stavolta voltandosi, ribadì ai due di uscire dalla nostra auto.
Patrizia, superata la sorpresa, sembrò tornare in contatto con la sua decisione e con la sua rabbia di lunga data, aprì la portiera e scese, le paillettes tutte impazzite la seguirono agili.
– Sei contento stronzo? – urlò Valerio e, invece di uscire e rincorrere la moglie, cominciò a battere pugni ai nostri sedili.
B., con la testa leggermente abbassata, pensò un paio di secondi, quindi mi disse di restare dentro e scese dall’auto.
Con un movimento deciso aprì la portiera e prese Valerio per un braccio costringendolo a uscire.
Io non ubbidii, non potevo restare seduta in macchina mentre fuori tutto esplodeva.
I miei stivali ruppero il ghiaccio creatosi sopra una pozza d’acqua.
L’odore del bosco mi arrivò forte alle narici.
Vidi B. e l'uomo di nome Valerio fronteggiarsi in piedi vicino alla macchina.
– Che c’è? Ti facciamo schifo? Non siamo abbastanza alienati per ascoltare la tua musica di merda? –
B. non rispose e tirò un pugno al petto di quello sconosciuto con il quale eravamo diventati di colpo così intimi e lui rispose afferrandolo per le spalle.
Caddero entrambi a terra, non li vidi più.
Feci il giro intorno all'auto: le luci posteriori producevano solo aloni infernali sopra i corpi in combattimento. B. era sotto, il suo giaccone, il cappello di lana, toccavano la strada fredda, tutto era calpestato e bagnato dall’umidità e dal gelo.
Urlai di smetterla, ma non produssi altro effetto che scorgere in lontananza Patrizia fermarsi per un attimo e osservare anche lei la scena.
Vidi B. divincolarsi e malamente rimettersi in piedi.
Valerio rimase in ginocchio. Sembrava un grosso bisonte albino abbattuto. B., tenendosi un polso dolorante, gli sferrò un calcio.
Prima che Valerio potesse rialzarsi e reagire, mi avvicinai:
– Andiamo via! – gli urlai.
Lui, continuando a fissare Valerio, prima oppose resistenza, poi cedette e si infilò in macchina.
Mentre stavamo per ripartire l’ombra scura di Valerio si avvicinò di nuovo ai vetri.
– Pensi di essere speciale? Pensi che a voi due non succederà? Mi fai ridere! –
E rise, fortissimo, un ululato che le fronde degli alberi segmentarono e ingigantirono.
B. ingranò furiosamente la prima e partì. Nel giro di qualche secondo avevamo già compiuto la prima curva.
Non ci dicemmo nulla, ma bastò che sfiorassi la sua mano a che lui rallentò. Scuotendo la testa spense il motore e quindi scese a respirare e a sputare a terra tutta quella distanza, tutta quella paura.
Ci guardammo qualche secondo.
Li ritrovammo seduti su un sasso, lui intento a ripulirsi i pantaloni e lei a fumare.
Il vestito di paillettes ci salutò di scintille quando i fari lo colpirono di nuovo.
– Volete salire a questo cazzo di casolare o scendere in città? – chiese B. affacciandosi.
Patrizia guardò Valerio che, senza alzare la testa indicò col dito pollice la discesa.
Lei gli recuperò la sciarpa di seta impigliata su un rovo.