Il pellegrino è colui che cerca, accettando l’incalcolabile rischio di trovare veramente. Perché trovare significa non essere più quello che si era prima. È cambiare. È morire. Per rinascere.
(Antoine de Saint-Exupéry)
L’adolescenza è l’età dove la questione identitaria si fa sentire in maniera urgente e acuta, è l’età in cui la ricerca di sé, la definizione di sé, il riconoscimento di sé anche da parte degli altri diventa un’esigenza forte, ineluttabile, è l’età in cui la percezione di sé come persona che entra ed esperisce il mondo in modo autonomo, con un pensare in proprio e un agire in proprio, diventa una modalità nuova, spaventosa e allettante: si tratta dell’esperienza entusiasmante e, spesso, conturbante, di misurarsi, per la prima volta da soli, con la vita.
Pietropolli Charmet afferma che “il primo compito evolutivo che l’adolescente deve affrontare è la costruzione dell’immagine mentale del proprio corpo. Le trasformazioni devono essere registrate e alle nuove funzioni deve essere dato un significato narcisistico e relazionale, etico, affettivo, in modo da cambiare la precedente immagine del corpo infantile ed emettere le basi del lavoro psichico che porterà alla definizione dei valori dell’identità di genere e di quella sessuale”.
È l’età in cui si struttura un senso di identità più stabile e integrato, in cui si inizia a prendere consapevolezza della propria individualità, delle caratteristiche della personalità, dei desideri, paure, ricchezze e limiti, pur attraversando non facili guadi e barcollando tra diverse posizioni, esprimendo così l’idea di un’identità in movimento che disorienta anche chi li osserva.
“Non esiste adolescente senza corpo” (Birraux), ma questo corpo in trasformazione spaventa: “Ogni tanto mi capita di pensare che vorrei che fossimo tutti, tutti non solo io, slegati dal corpo, vorrei che fossimo quasi fantasmi. Vorrei non avere a che fare con questa cosa. Come se la mia anima potesse essere estratta, ma non solo io, quella di tutti … è più un problema dell’anima che non si adatta al corpo, che non è il suo giusto rivestimento” (Alice, 17 anni).
E a questo proposito Bion commenta: “Non è facile dire se lo stato mentale che stiamo guardando o studiando stia cadendo in rovina o stia giungendo a maturità”, proprio come di fronte a un cantiere di cui non si realizza se la casa sia in costruzione o in demolizione. Infatti non è certo compito evolutivo facile questo a cui l’adolescente è chiamato. Il poeta Mario Luzi dipinge questo processo con parole di sangue:
Schiodami, ti prego, dalla croce
della mia identità, lasciami
a ogni casuale evento,
libero, neutrale, indiviso dalla vita.
E disorientata e stupita è Emily Dickinson nella percezione di sé diversa, non più bambina:
Confusa solo per un giorno o due -
Imbarazzata - ma non spaventata -
Incontro nel mio giardino
Una ragazza del tutto inaspettata!
Fa un cenno, e i boschi si scuotono -
Annuisce, e tutto ha inizio.
Sicuramente , in un paese così
Non ci sono mai stata!
Ma se il personaggio “Identità” bussa in maniera imperiosa in adolescenza, urgendo di essere riconosciuto e nominato, in realtà arriva da un percorso antico, lungo quanto la vita, ha origine nella notte dei tempi, addirittura ancora prima della nascita dell’individuo, la sua costruzione inizia agli albori della vita, addirittura nella vita intrauterina e da subito rivela di avere una qualità psico-somatica. Il feto, infatti, si muove e cerca una sua posizione che sia in sintonia con i vissuti psico-corporei della madre, la quale, col suo corpo e coi suoi pensieri ed emozioni, fungendo da base musicale, lo accompagnerà nelle danze creative che disegneranno nello spazio uterino i primi abbozzi della sua esistenza: sono movimenti-pensiero unici, personalissimi, intimissimi di quella coppia “mistica” dove ciascun feto mostra già di possedere una sua personalità, quella personalità che lo caratterizzerà, in seguito, come quel bambino, quell’adolescente, quell’adulto che entrerà e si sperimenterà nella vita.
La coreografia che comporrà con la madre sarà fondante il senso di sé, è dunque dalla relazione dei primordi che si germina il senso dell’esistere insieme alla intuizione di abitare il proprio corpo, c’è dunque un corpo soggettivo, ma anche un corpo oggettivo che dipende dalla percezione e dallo sguardo dell’altro. C’è un corpo-mente che viene modellato dal discorso amoroso che si intreccia tra un infante e sua madre. “Nella vocalità, alone musicale della parola, si materializza un’immagine del corpo e, tramite questa, un primo messaggio dell’affettività” (Natali).
Freud, che ha sempre cercato di non dare definizioni assolute ai concetti che andava via via sviluppando nel corso delle sue ricerche, usò il termine identità una sola volta nella sua opera, usò molto invece il termine “identificazione”, sottolineandone il vincolo emotivo con un’altra persona affettivamente significativa. Il processo di formazione dell’identità, quindi, essenzialmente è composto da due processi: l’identificazione e l’individuazione, nella prima la persona si riferisce alle figure primarie o comunque alle figure rispetto alle quali sente affinità o condivide alcuni caratteri e con cui stabilisce un senso del “noi”, di appartenenza, mentre con l’individuazione si differenzia dagli altri e si caratterizza per le proprie peculiarità fisiche, mentali e per la sua storia personale.
Il personaggio Identità abita lo spazio e il tempo dell’individuo, è un inquilino fedele che lo accompagnerà, anche se a volte faticosamente, nelle sue peregrinazioni e nelle sue trasformazioni durante la vita. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta è molto complesso, a volte conflittuale tra la spinta alla crescita e la nostalgia di un passato che offre garanzie di familiarità e di sicurezza.
Sappiamo che durante il ciclo vitale l’individuo attraversa parecchie fasi che implicano dei mutamenti, delle acquisizioni, degli adattamenti che concorrono a formare un Io maturo e i passaggi da una fase all’altra spesso scatenano crisi in cui si sviluppa una maggior vulnerabilità, ma anche una potenzialità più forte. Secondo Freud questo percorso è costellato dal soggiornare della libido nelle varie zone del corpo, dapprima nella zona orale, poi nella zona anale per poi investire la maggior parte delle sue energie nella zona genitale, luogo deputato alla funzione sessuale adulta. Questi avvicendamenti della pulsione libidica vengono riconosciuti, significati, organizzati dalla mente fino a costruire un’immagine del corpo che costituisce la base del senso di identità. “L’Io è innanzi tutto un’entità corporea” sentenzia Freud. “Per la psicoanalisi il corpo è superficie libidinale, campo di forze, schermo di proiezioni immaginarie, percorso di identificazione” (Vegetti Finzi, 2001).
Lo studio della sessualità ha richiesto e richiede una costante significazione, un’elaborazione in grado di contenere e forse collegare le dimensioni consce e inconsce della vita sessuale della persona assieme all’influenza delle immaginazioni collettive e dei comportamenti sociali. Nella svolta relazionale della psicoanalisi, lo sviluppo psico-sessuale viene sempre più considerato nella sua dimensione di esperienza di rapporto con l’altro. La libido, sostiene Fairbairn, non è una forza impersonale, ma è invece strettamente soggettiva e non ricerca semplicemente una scarica, ma un oggetto con cui creare un legame.
John Bowlby che formulò la teoria dell’attaccamento, sosteneva che nel bambino ci fosse un bisogno primario di stare vicino alla madre, di percepirla coi sensi, di placare le sue angosce di isolamento attraverso il rapporto rassicurante con lei, tanto che questo bene-contatto così agognato, una volta sperimentato sarebbe stato riprodotto, in seguito, simbolicamente tramite il gioco e poi le curiosità culturali, l’inserimento nella società e, soprattutto, nelle relazioni. Winnicott ha evidenziato la necessità del bambino di provvidenze ambientali “sufficientemente buone” affinché la sua maturazione diventi un dato di fatto e perché possa avvicinarsi e riconoscere il suo Vero Sé. Anna Freud ha parlato di una linea evolutiva “che conduce dalla totale dipendenza del neonato dalle cure materne all’autonomia affettiva e materiale del giovane adulto”.
A questo proprosito Ferruccio Marcoli sostiene che esistono addirittura due gravidanze: una biologica che avviene nel corpo materno e una seconda, a causa della sua immaturità, nel corpo sociale, gestita in primo luogo dalla madre e in seguito condivisa con altri soggetti e altri ambienti. Nell’inevitabile continuità che si verifica tra la vita intrauterina e la primissima infanzia il neonato ha l’aspettativa del seno e delle cure materne, in pratica necessita di un altro grembo, un grembo esterno che possa garantire una continuità con quello interno appena lasciato, richiedendo un amore devoto che gli permetta di far fronte agli innumerevoli stimoli che irrompono in lui e che non è preparato a ricevere e a metabolizzare.
Bion ha chiamato rêverie la funzione materna di accoglimento, rielaborazione e riordino creativo del caos interno e della confusione vissuti dal figlio in maniera concreta e ansiogena, quei “terrori senza nome” che spesso si materializzavano come mostri, bloccando ogni spinta maturativa. Offrendo il proprio corpo-mente al suo bambino, la madre avvia in lui il processo di rappresentazione mentale della realtà interna ed esterna. Purtroppo non sempre questa relazione di rispecchiamento bonificante si realizza e allora “ … la Madre gratificante mi indica lo Specchio, l’immagine, e mi parla ‘Tu sei quella cosa’. Ma la Madre muta non mi dice cosa sono: io non ho più basi, fluttuo dolorosamente senza esistenza” (Roland Barthes). Lo sguardo dell’altro ti riconosce e ti parla, ti dona il sentimento del vivere, dell’appartenere al mondo degli esseri viventi, dell’esserci, mente e corpo. Il corpo è perciò da sempre un corpo in cui è inscritta una storia, è un racconto che si scrive dentro una matrice relazionale, in “una trama di tessuti di carne” (Magrelli).
Rivisitando l’identità, è evidente che i vari modelli di pensiero, pur partendo dai propri vertici epistemologici, sottolineano e riconoscono la centralità delle interazioni corpo-mente e soggetto-ambiente nel percorso evolutivo, per cui, in stretta correlazione e a seguito dell’esito delle cure materne, si costituisce nell’infante una continuità dell’essere che è il fondamento della forza dell’Io e della costruzione dell’identità personale che lo accompagnerà sempre anche se si andrà rimodulando, cammin facendo, per tutta la vita.