Dopo che Eric Woolfson morì, il 2 dicembre del 2009, la maggior parte dei quotidiani nazionali dedicò alla notizia appena un trafiletto. Non era forse chiaro a tutti che il musicista scomparso rappresentava la metà esatta del gruppo inglese noto come The Alan Parsons Project - effettivamente fuorviante nel nome perché sembra quasi quello di un’operazione solista, cosa che Parsons stesso smentirà ad ogni occasione buona -, ossia uno dei fenomeni musicali, “sonori” e artistici più rilevanti fra la seconda metà degli anni Settanta e la fine degli Ottanta e che ad oggi ha venduto quasi 50 milioni di dischi.
Oltre al ruolo decisamente paritario a livello di responsabilità artistica rivestito all’interno del “progetto”, che era appunto sostanzialmente un duo che gestiva un collettivo di cantanti e musicisti, allargando il campo va però anche rilevato che Woolfson ha il merito di una vocalità unica - per qualità timbrica e tecnica - e di uno stile compositivo che ha fatto molti più proseliti di quelli dichiarati. C’è da dire pure che il “low profile” era una volontà del musicista stesso, ma si trattava di qualcosa che aveva a che fare con la difficoltà ad apparire e non di certo con la sua presenza all’interno del processo di composizione e di produzione dei dischi.
Sia Parsons che Woolfson avevano le idee molto chiare in fatto di materia musicale e tendevano, ognuno dalla sua direzione, ognuno con il proprio contributo, a una visione finale comune ed è per questo motivo che il “Project” presenta un’identità tanto forte anche quando nel corso dell’ascolto si succedono le partecipazioni di collaboratori diversi. Basti pensare che i brani che vedono come cantante titolare Woolfson (nonostante fra questi figurino hit quali Time, Eye In The Sky, Don’t Answer Me e Prime Time) sono un numero limitato rispetto alla mole di composizioni firmate dalla coppia, eppure, complici un modo del tutto personale di pensare le note e di intrecciarle coi temi trattati e una produzione che per tanti versi è parte anch’essa del pentagramma, il cammino della musica conduce sempre a un luogo magico dai tratti inconfondibili (si pensi ad esempio al tema principale della suite The Turn Of A Friendly Card, cantato da Chris Rainbow).
E lo stesso discorso di riconoscibilità del marchio vale anche per i temi strumentali, alcuni famosi tanto quanto quelli cantati (I Robot, Lucifer, Sirius, Mammagamma, Pipeline). Progressive rock, folk, art pop, teatro musicale del West End, beat, elettronica, ritmi funky, disco music: tante sono le suggestioni presenti in un album dell’Alan Parsons Project, climi diversi che viaggiano appaiati, o molecole che si fondono tra loro in esperienze sonore che a distanza di quasi trent’anni dall’ultimo album non accusano un colpo che sia uno. Si sentono i Beatles, si sentono i Pink Floyd, si sente Andrew Lloyd Webber, così come la nascente scena elettronica, ma l’insieme è soltanto The Alan Parsons Project; e ciò anche per la capacità di creare immagini, di costruire ciascuna opera su un argomento preciso che detti il clima e l’ispirazione generale: sono brani che proiettano visioni, che hanno in sé il potere di legare la musica a un certo immaginario iconografico, scelto appositamente di volta in volta.
In fin dei conti Parsons e Woolfson si comportano un po’ come due registi, e non è detta a caso questa cosa, perché l’idea del loro progetto è nata facendo dei parallelismi con il mondo del cinema e registi come Stanley Kubrick, in grado di diventare più protagonisti dei divi dei film che dirigevano. Se però è noto pressoché a tutti chi fosse il produttore e polistrumentista Alan Parsons anche al di fuori del gruppo che porta il suo nome, e cioè il geniale ingegnere del suono di The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd che si era formato alla scuola dei Beatles, facendo da aiuto tecnico in album monumento come Let It Be e Abbey Road - giusto per ricordare i passaggi più celebri della carriera pre-APP - , pochissimi sanno invece chi fosse e da dove venisse Eric Woolfson. Ed è lui soprattutto che qui che intendiamo ricordare.
Woolfson nasce nel 1945 a Glasgow, in Scozia, e si appassiona alla musica e al pianoforte grazie a uno zio. Dopo poche lezioni studia come autodidatta, raggiungendo livelli tecnici altissimi, e ancora giovanissimo si imbarca alla volta di Londra dove trova lavoro come session man. Il primo a notarlo per le sue doti di compositore fu il famoso nonché eccentrico manager degli Stones Andrew Loog Oldham, il quale gli offrì subito un contratto come autore che lo portò a lavorare con artisti quali Marianne Faithfull e Frank Ifield, e persino con Mick Jagger, nei panni però di produttore per il cantante Chris Farlowe (la canzone scritta da Woolfson finì sul lato b del 45 giri di Out Of Time che nell’estate del 1966 andò al primo posto della classifica inglese).
Dopo vari contratti editoriali – fra cui uno con la Southern Music, della quale facevano parte anche Andrew Lloyd Webber e Tim Rice – e una breve esperienza come pianista degli Herman’s Hermits, Woolfson si dedica all’attività di produttore indipendente e viene chiamato a lavorare da molte etichette discografiche. In questo periodo comincia a pensare a un disco incentrato sulla figura di Edgar Allan Poe e compone del materiale che poco dopo chiude nel cassetto. Scoraggiato dai pochi profitti provenienti dal suo ruolo di autore, nonostante le molte canzoni scritte e sparse fra Europa e America, decide di provare a occuparsi di management musicale ed è qui, quasi inaspettatamente, che i tasselli iniziano a comporre la strada del successo.
I suoi primi clienti sono infatti Carl Douglas, campione di vendite ovunque col singolo Kung Fu Fighting, e un certo Alan Parsons, un produttore discografico che cercava un manager per i propri gruppi. Gli esiti non tardano ad arrivare (parliamo addirittura di due numeri uno consecutivi in classifica per i gruppi di Parsons Pilot e Cockney Rebel), ma Woolfson guarda oltre e pensa, a ragione, che l’abilità dell’ingegnere del suono possa dare la giusta direzione alle proprie composizioni: ecco che quel famoso cassetto si riapre e che il materiale su Edgar Allan Poe diventa, nel 1976 con il titolo di Tales Of Mistery And Imagination, il primo capitolo degli Alan Parsons Project. Il resto è storia.
Dopo dieci dischi (più due se si considerano anche The Sicilian Defence, rimasto inedito fino al 2014 e compreso soltanto nel box set The Complete Albums Collection, e Freudiana, attribuito al solo Woolfson ma che guardando i crediti risulta una sorta di capitolo finale del Project) il duo si scioglie e ognuno prende la propria strada. Alan Parsons sceglie di continuare a incidere concept album di marca prog rock e di portarli in tour dal vivo, cosa che effettivamente mancava al Project, Eric Woolfson invece si convince a dedicarsi anima e corpo alla sua grande passione, il teatro musicale, e lo fa partendo proprio da quel disco ispirato a Sigmund Freud che nei progetti iniziali pensava di portare alla causa del gruppo. Ad ogni modo il promotore di Freudiana era stato proprio il compositore, il quale aveva approfondito e curato in prima persona ogni aspetto della lavorazione dell’album (l’idea era nata in casa grazie ai libri della moglie che aveva studiato psicologia) e firmato tutti i brani.
Ecco quindi che l’opera diventa un musical e va in scena all’Amder Wien di Vienna, storico teatro dove si tenne la prima rappresentazione del Fidelio di Beethoven. Di lì in avanti Woolfson ha firmato altri quattro musical di enorme successo (Gaudi, Gambler, Dancing Shadows, Edgar Alla Poe: A Musical), ottenuto svariati riconoscimenti del settore e raggiunto platee di ogni dove. Interessantissimo e di grande pregio anche la pubblicazione del disco Eric Woolfson Sings The Alan Parsons Project That Never Was, l’ultimo prima della prematura scomparsa del musicista lo stesso anno: una raccolta di brani composti all’epoca dell’APP e rimasti – incomprensibilmente a giudicare dalla qualità – fuori dagli album. Da avere, per la bellezza del contenuto e per comprendere ancora meglio il valore e il peso dell’artista scozzese nella produzione del celebre duo.
Un’ultima curiosità: Woolfson, per quanto defilato come personalità nel jet set e nel mondo dell’arte, si animava molto per la politica ed è stato un acceso sostenitore e membro attivo del fu Partito Socialdemocratico Inglese. Nei primi anni Ottanta, mentre Alan Parsons era alla ricerca di nuove tecnologie da impiegare negli album, si dice che fosse abbastanza facile incontrare Woolfson nel suo ristorante preferito a discutere, appunto, di politica. Due personalità differenti, dentro e fuori dallo studio, e proprio per questo, gli elementi di un’alchimia irripetibile che parlerà per sempre attraverso la propria opera.