Enrico Gori vive a Bibbiena, nella valle del Casentino, vicino ad Arezzo. La scorsa estate ha tenuto una mostra di fotografie scattate a Città del Capo, Sudafrica, durante un soggiorno di tre mesi. L’ho intervistato poco dopo aver visitato la mostra.
Ci si potrebbe aspettare che un europeo sottolinei gli aspetti più spettacolari, coloriti e caotici di un luogo come Città del Capo. Invece le tue immagini sono piuttosto austere: primi piani di case e strade povere o modeste, con poche figure umane davanti a muri spogli. Si è trattata di una scelta estetica o sociale?
Il mio primo incontro con la città è stato allo stesso tempo eccitante e confusionario. Città del Capo vanta bellezze uniche al mondo, popolate da un mix di culture autoctone e non, diversissime tra loro. È la città degli estremi. Ricchezza e povertà assoluta convivono a poche centinaia di metri di distanza. Con le mie foto avrei potuto raccontare molte cose scomode. Ma la scelta è stata senza dubbio più estetica che sociale, lasciando intravedere ogni tanto aspetti più umani; un po’ pittorica se vogliamo, tanto che un noto pittore realista (Carlo Lanini) visitando la mostra ha iniziato la riproduzione di ogni singola foto, adottando così la mia visone.
Colpisce la spoglia geometria delle tue immagini, la contrapposizione di colori semplici e luminosi nei muri e nelle superfici. Ne deriva un formalismo piuttosto astratto in cui le figure umane sembrano essere quasi imprigionate, raggelate. Che cosa intendevi comunicare con questo?
Un’immagine quando contiene troppe “parole” diventa difficile, poco immediata alla velocissima fruizione a cui oggi siamo soggetti. Amo forme, colori, pulizia e design. Ognuna di queste immagini rappresenta una delle mie visioni della città, sono click che catturano un istante, uno stato d’animo.
A giudicare dall’assenza di ombre, la maggior parte delle foto deve essere stata scattata attorno a mezzogiorno.
La luce più calda e bella è quella del mattino presto o della sera al tramonto; sono andato contro corrente scegliendo le ore dove il sole era più alto. Scattavo per lo più durante la tarda mattinata, una scelta obbligata visto che ero libero dal lavoro.
Con la parziale eccezione della scena delle capanne sulla spiaggia, non c’è traccia di sporcizia, spazzatura, disordine in queste immagini. È una caratteristica di Città del Capo o una conseguenza della forma d’espressione da te preferita?
Ho scelto pulizia e ordine. Mi sono ritrovato ad avere una visione delle forme molto nord europea, coloniale se vogliamo, seguendo linee semplici. Per quanto riguarda i colori volevo che le mie immagini trasmettessero il caldo e la vivacità tipici dell’Africa più vera. È stato un lavoro che ha unito due estremi e che mi ha portato a vedere la città in modo diverso dal semplice turista di passaggio. Ho battuto ogni angolo della città per trovare l’immagine che cercavo e che volevo portare con me per sempre.
Veniamo alle figure umane: a volte sono il fulcro, a volte sono relegate ai margini delle foto. Come vedi il rapporto tra gli abitanti di questi quartieri periferici e il loro ambiente?
Nei miei scatti sono presenti sempre persone comuni, non ho cercato particolari immagini esotiche che potessero risaltare all’occhio. Si tratta semplicemente della quotidianità di una città. Seguendo la mia idea della fotografia, ho cercato quello che ritenevo fotograficamente potesse funzionare al meglio, usando colori molto vivi in una composizione molto semplice ed essenziale.
Hai chiesto il permesso alle persone che fotografavi? Come hanno reagito al fatto di essere riprese? Hai voluto comunicare qualche messaggio sociale su di loro?
Soltanto una persona sapeva di essere stata fotografata, il mio amico Ven seduto sulla sua poltrona. È emigrato in Sud Africa dal Malawi per lavorare come giardiniere in una grande villa coloniale, con il sogno di costruirsi una casa tutta sua. Tutti gli altri non sanno di essere stati catturati con uno scatto. Perché questa scelta? Perché altrimenti non sarei riuscito ad ottenere il risultato che desideravo. Cercavo la spontaneità quotidiana, proprio per questo a volte mi ritrovavo in situazioni dove rubare uno scatto era molto difficile. Così scattavo a volte senza neppure guardare nel mirino, tenendo la macchina all’altezza della vita. Molte immagini contengono messaggi sociali più o meno forti, prima tra tutte la babysitter vestita in rosso e il bambino biondo appoggiati sul muretto, un’immagine che accompagna la quotidianità di molti in questo paese, sintomo della disuguaglianza di status e razza. C’è una gigantografia particolarmente significativa di Mandela sulla facciata di una casa in ricordo di una lotta non ancora del tutto conclusa. Ma poi c’è la ragazza con il selfie-stick che vuol condividere in tempo reale sui social il suo star bene.
Le inquadrature sono pervase da un senso di immobilità, come se il tempo si fosse fermato.
L’assenza di tempo e l’immobilità delle immagini vogliono congelare l’attimo e non raccontare storie o prefigurare un futuro. Tutto continuerà a fare il suo corso. La mia fotografia è un istante, un momento della giornata, sia di relax, che di lavoro o di divertimento di persone comuni incontrate per strada. A volte mi piace parlare con le persone e conoscere le loro storie, ma molto più spesso mi piace immaginare le loro vite, gli stati d’animo, e pensare da dove arrivano, dove stanno andando o che stanno per fare.
Alcune foto hanno un bagliore quasi iperreale, che mi ricorda Andy Warhol. Pensi di essere stato influenzato da qualche artista in particolare?
Non sono consapevole di prendere ispirazioni da nessun artista in particolare. Frequentando un noto club fotografico (AVIS Bibbiena EFI) ho la possibilità di incontrare e confrontarmi con i più grandi fotografi italiani, come Nino Migliori, Gianni Berengo Gardin, Giovanni Gastel, Francesco Zizola, Chiara Samugheo… e molti altri. È così che immagazzino molte idee senza accorgermene.
Biografia
Enrico Gori è nato nel 1988 in Casentino, Toscana, dove oggi vive e lavora. Si è laureato in Tecnica Pubblicitaria nel 2011 presso l’Università per Stranieri di Perugia. Membro del Circolo Fotografico Avis EFI di Bibbiena e socio della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche dal 2013, ha esposto più volte in mostre collettive. Nel 2013 è stato selezionato nella sezione OFF del festival Fotoconfronti di Bibbiena e recentemente ha tenuto la sua terza mostra personale. Ha viaggiato molto e lavorato nel campo della comunicazione in tutta Europa. Attualmente sta portando avanti numerosi progetti personali.