È mercoledì
Piove
E sono a Cesena

(Marino Moretti)

Per l'esattezza sono a Cesena, insieme a tre amici fotografi, nell'Aula Piana della Biblioteca Malatestiana. Entra una guida insieme a una coppia di visitatori. Siamo nel cuore della biblioteca antica dove le risposte che ognuno di noi può dare a tanta bellezza sono il silenzio e la contemplazione. La guida invece urla come se avesse di fronte, ai lati e alle spalle una scolaresca di bambini ingovernabili oppure come se si trovasse all'Arena di Verona e senza l'aiuto del microfono - in ogni caso del tutto superfluo - arringasse la folla seduta nelle gradinate. Siamo invece in un luogo sacro dove in tempi antichi i monaci leggevano, catalogavano, alcuni di loro - i manuensi - creavano capolavori di scrittura fiorita. Qui siamo in sette. Quando la guida arriva alle bacheche dove sono le installazioni dei miei manoscritti, urla: "Qui non c'è nulla!" E se ne vanno. Così noi possiamo riprendere a guardare e nel silenzio comprendere e tracciare le diverse regioni che hanno condotto i miei manoscritti nella Sala Piana e pare che dicano: "Abbiamo attraversato tutti i fiumi, tutti i mari, abbiamo incrociato tutte le strade. Siamo arrivati qui e qui restiamo".

Il Nulla

Qualche giorno fa ho riletto un mio brano che fa parte del libro Arte Immateriale Arte Vivente a cura di Roberto Barbanti ed edito nel 1994 dalle Edizioni Essegi. Ne riporto qui la parte riguardante il Nulla.

"...Potrei evocare il percorso etico dell'opera; in condizione di eclisse permanente è necessario scavare la terra - anima e corpo - per riportare alla luce lune orientali. In questo tempo e in questo luogo di superfici lisce e levigate è necessario immergersi in cavità ruvide e oscure alla ricerca di piccoli fori luminosi dai quali possa riemergere la nostra memoria innocente... I percorsi etici, poetici, critici, analitici, logici, formali, contenutistici e altro ancora, dell'opera, sono stati a tal punto svelati che a me sembra necessario riappropriarmi del pensiero rivolto al nulla. Il nulla coincide con la mia perfetta inconsistenza divina. 'Dio creò dal nulla tutte le cose'; io ne ribalto l'operazione e riporto il nulla al suo primario valore assoluto. Per fortuna ho per la mente degli indizi, altrimenti il discorso risulterebbe puro delirio e molto probabilmente, nonostante gli indizi, le mie, rimarranno parole deliranti. Non è nulla. Il primo indizio riguarda la totale coincidenza tra me e l'opera. Io sono l'opera. Sto mettendo in campo regole geometriche ed è necessario che apra una parentesi in memoria di quella stupenda persona che è stata - ed è tutt'ora, per me - mio padre e racconti uno tra i grandi e piccoli dispiaceri che gli ho procurato nel corso della vita. Ritorno indietro nel tempo, ritorno alla mia adolescenza ingrata, esattamente al tempo in cui frequentavo la scuola media. Il ritornello che mio padre sentiva costantemente ripetere dalle e dagli insegnanti era il seguente: 'Ci addolora comunicarle che sua figlia non capisce alcunché di nulla...'. Io allora non lo sapevo, ma questa mia adolescenza ingrata stava attrezzandomi alla grandezza del nulla. La codardia di quel tempo era il presupposto necessario per accedere al coraggio grande di ribaltare una creazione data per universale. Mi sono perduta e ritorno - pare che per ritornare ogni tanto ci si debba perdere - e ritorno al teorema e alle regole della geometria. Dunque, se per ipotesi, - io sono l'opera - e se - il nulla coincide con la mia perfetta divina inconsistenza - allora si dedurrà che anche l'opera è - il nulla.

Ora vorrei, solo per una questione rivendicativa, in nome di tutte le persone che sono o sono state scolarmente incapaci d'intendere e di volere - alcunché di nulla - che questo postulato fosse materia di studio, esattamente come il teorema di Pitagora. E per questa ragione tenterò, per altre vie e per altri indizi, di concretizzare le ipotesi.

Non devo andare lontano, basta che mi osservi, anche in questo momento. Per riuscire a sedermi con penna, fogli bianchi e fogli già scritti credo di aver impiegato un'ora. A volte il rituale della ricerca del materiale si protrae più a lungo. Nascondo, cerco e non trovo; oppure ritrovo ma sono troppo esausta per concentrarmi sul nulla del mio fare. Trascorro molta parte del mio tempo appoggiata allo stipite della porta, guardo la confusione che mi circonda e mi interrogo sul come, dove e quando posso avere occultato con tanta perfezione il materiale che mi serve. Smarrisco continuamente materiali necessari. Non solo. Se con infinito sforzo riesco a consegnare nel luogo indicatomi, nel tempo richiesto e alla persona giusta, materiali necessari accade poi che vengano ugualmente smarriti: anche la Banca ha smarrito un mio assegno. Il mio 'smarrire' tende a dilatarsi, è in espansione. Sono un vero pericolo per la realizzazione concreta di qualsiasi progetto solo apparentemente utile. La mia attenzione, ancora una volta, è tutta rivolta all'inutile concretezza del nulla. Coloro che ricevono le mie lettere devono considerarle un grande dono non tanto per il contenuto, ma per il fatto che sono riuscita a spedirle e le Poste non le hanno smarrite. Operazioni così semplici e normali come trovare la busta, scrivere l'indirizzo giusto, affrancare e spedire, strada facendo, si complicano a tal punto che spesso lascio perdere. Le lettere rimangono a me da qualche parte, per cui il loro arrivo a destinazione rappresenta un vero evento. Dato che la mia vocazione tende all'essenziale 'fatale qualità del nulla', la spedizione di una lettera deve essere del tutto superflua, arrivano solo quelle necessarie. E sono poche.

Altro indizio. Rileggo i miei brani sparsi di scrittura e mi piacerebbe sapere quando li ho scritti; sarebbe stato sufficiente scrivere - in alto, in basso, di lato - insomma, da qualche parte un numero, la data. E così, ora, vorrei sapere quale numero pesa su questo giorno per fissarlo sul foglio. Sarebbe sufficiente un leggero spostamento. Dovrei alzarmi dal trono delle mie meraviglie al quale sono evidentemente inchiodata, cercare -da qualche parte deve esserci - l'agenda. È un'agenda troppo pesante per essere trainata all'interno di qualsiasi borsa di media o di grande ampiezza e per questa ragione non porta né segni né tracce di quotidiani appuntamenti. Gli appuntamenti spesso mi vedono fuori tempo e fuori luogo. Avevo un amico distratto come me. Ci piacevamo molto ma non abbiamo mai azzeccato un appuntamento. Tra Bologna e Cesena, le vie di mezzo degli amanti ci hanno visti sempre in ore e giorni diversi e soprattutto soli. All'economia della mia vocazione è inutile lasciare segni e tracce. L'attitudine al nulla mi porta a una concezione opposta del tempo.

Dal momento della creazione - questo tempo - va inesorabilmente verso la sua fine. Il nulla si muove dall'attimo prima della creazione e 'va verso' privo d'inizio. È per la medesima ragione che solo verso la fine del mese di febbraio ho cercato inutilmente una piccola, leggera agenda da borsetta e continuo a scrivere racconti nelle agende degli anni trascorsi. Con buona volontà anche se in ritardo tento di attrezzarmi a questo tempo, ma proprio non ci riesco. Iniziavo ad abituarmi al 1991 quando inaspettatamente è arrivato il 1992 trovandomi del tutto impreparata. Non riesco ad adeguarmi alla velocità di questo tempo: gli anni, i mesi, i giorni, i minuti non mi appartengono. E io chissà in che tempo di questi miei anni mi sono fermata. Con l'avvento poi dell'ora legale non faccio altro che rincorrere gli impegni quotidiani e non mi si chieda di più; in questo inseguimento consumo tutte le mie energie. Gli impegni e le riunioni mi trovano regolarmente senza parola né sguardo. Il mio essere, anche qui, coincide con il nulla: il tempo procede inesorabile e io mi ritraggo, anzi retrocedo...

Questa disattenzione alle cose, per me superflue, si allarga anche nel campo del lavoro. Quando, per esempio, ci sono riunioni tra colleghi o colloqui con i genitori dimentico sempre qualche cosa di fondamentale per una presenza partecipe. Di recente, in previsione dei colloqui, in un impeto di correttezza professionale, ho trascritto i voti nel registro - in quelle piccole grate tanti numerini allineati - ma al momento di riferirli ai genitori non avevo gli occhiali e i numerini incasellati sono diventati segni confusi. Così ho improvvisato. Da questi piccoli aneddoti e per altra via posso enunciare il teorema iniziale.

Allora, di nuovo, - io sono l'opera - e come i miei lavori non voglio collocarmi da nessuna parte. Coltivo a tal punto la mia vocazione al nulla che continuo ad aggirarmi al di sopra, al di sotto, di lato, comunque mai in posizione corretta rispetto alla normale realizzazione degli impegni quotidiani. Anche ora ancorata all'orlo del tavolo bianco - un po' dentro e un po' fuori - sempre in equilibrio instabile, ostinatamente non mollo. Attorno a me occhiali, temperini, matite colorate, lenti, corpi estranei, corpi contundenti, penne, pennini, pennelli, libri, sassi, smalto, acquerelli, bicchieri d'acqua colorata, fogli. Fogli sparsi ovunque. E fotografie e ancora libri. Io nell'angolo estremo osservo questa città muta e scrivo con una piccola matita nera.

I miei scritti sono veri e propri brandelli, mi vien da dire - brandelli di carne e di ossa. Con il foglio bianco da ricoprire di immagini e scrittura è necessario il coraggio dell'incoscienza. Ogni tanto, un consiglio: 'Fai una scaletta'. La scaletta a me serve, al massimo, per rompermi il capitello radiale oppure per starci seduta sopra, in attesa. Trascorro molto del mio tempo in attesa. A chi mi dice di fare una scaletta potrei rispondere: 'Raccogliete voi i brandelli, che io ho già fatto'. Che cosa? - Nulla. Raccogliete questi brandelli che ruotano attorno al nulla e ripercorretene lo spazio e il tempo perduto. Nel nulla mi sono persa, non ritorno più. Ho vinto. La mia grandezza: l'abbandono. È nell'abbandono che l'espressione della mia vocazione al nulla trova la sua massima realizzazione...".