Era splendida da vedere e da udire, capace di conquistare i cuori più restii all’amore, persino quelli che l’età aveva raffreddato.
Questo scrive Cassio Dione di una delle donne più celebri di tutti i tempi: Cleopatra, l’ultima regina egizia, che tutte le fonti ci descrivono come dotata di un fascino straordinario, di una grande vitalità ma nello stesso tempo di una profonda malinconia, che il genio di Michelangelo seppe cogliere benissimo nel suo sguardo profondo e nell’amara piega delle sue labbra. Nell’immaginario collettivo è rimasta famosa sia per il suo drammatico suicidio, avvenuto dopo la battaglia di Azio nel 31 a.C, sia per il suo grande fascino, che le permise di diventare l’amante dei due grandi generali romani Cesare e Marco Antonio.
Quello su cui concordano tutte le fonti è che non fosse classicamente bella: varie testimonianze, anche archeologiche, ci hanno trasmesso l’immagine di una donna molto magra e minuta, con zigomi pronunciati, naso aquilino e anche la mandibola troppo sporgente. Ma il suo irresistibile fascino nasceva da una profonda cultura e curiosità intellettuale, come del resto ben testimonia Plutarco: “A quanto dicono la sua bellezza in sé non era del tutto incomparabile né tale da colpire chi la guardava, ma la sua conversazione aveva un fascino irresistibile (…). Dolce era il suono della sua voce quando parlava; la lingua, come uno strumento musicale dalle molte corde, la piegava facilmente all’idioma che voleva usare. Pochissimi erano i barbari con i quali trattava mediante un interprete, alla maggior parte dava da sé le risposte”.
Oltre che essere straordinariamente colta, Cleopatra era anche una donna molto intraprendente: basti pensare al modo in cui si presentò a Cesare quando egli giunse in Egitto per incontrarla. Per arrivare a lui senza altre persone al seguito, si fece avvolgere in un tappeto da lui stesso richiesto e, una volta arrivata al suo cospetto, si levò in piedi da questo involucro, mostrandosi vestita in abiti sontuosi e spargendo intorno a sé un inebriante profumo di unguento di giglio. Inutile dire che Cesare fu conquistato all’istante dalla giovane donna, ed ebbe inizio una relazione che portò la regina egizia anche ad abitare a Roma per un po’ di tempo, nel 46 a.C. La donna, che ufficialmente si trovava nell’Urbe per negoziare un’alleanza tra Roma e l’Egitto, divenne subito la protagonista dei salotti romani in una società dedita al lusso e ai piaceri mondani, conoscendo molte personalità del tempo (come per esempio Cicerone) e dettando moda tra le matrone romane che la imitavano e la invidiavano.
Alla morte di Cesare, nella vita di Cleopatra entrarono altri due grandi generali romani: Antonio per esaudirla, Ottaviano per respingerla. La donna capì subito che conquistando Antonio, diventato il governatore d’Oriente, poteva andare avanti nel progetto orientale di Cesare: ancora una volta, il sesso si confondeva con il potere, al punto che è difficile quale desiderio in realtà prevalesse in lei. Vittorio Alfieri, autore di una bellissima tragedia che la vede come protagonista, coglieva nel segno con questi due versi in cui la “Cleopatraccia”, come lui la chiama, si dispera: “Amor non è, che m’avvelena i giorni; mossemi ognor l’ambizion d’Impero”.
Ancora una volta, Cleopatra ricorse a tutte le sue doti di seduzione per conquistare Antonio: sempre Plutarco ci racconta che gli si presentò a Tarso “su un vascello dalla poppa d’oro con le vele di porpora spiegate al vento. I rematori vogavano contro corrente con remi d’argento al suono d’un flauto accompagnato da zampogne e liuti. Essa era sdraiata sotto un baldacchino trapunto d’oro”.
Ovviamente, la donna raggiunse in pieno lo scopo che si era prefissa: Antonio si invaghì di lei e, quasi dimenticandosi di essere un grande triumviro di Roma, si dimostrò disposto a esaudire ogni suo desiderio, tant’è che Cassio Dione lo definì il suo “schiavo egizio”. Sicuramente a legarli era un amore passionale, che però in entrambi era sostenuto anche da un grande egoismo e cupidigia di potere, e inoltre appariva chiaro come tra i due il più debole fosse sicuramente Antonio. Nel 34 a.C. i due amanti si presentarono ad Alessandria nei panni di Iside ed Osiride, pensando trionfanti alla possibilità di costituire un grande impero orientale. Ovviamente, per fare questo, dovevano sconfiggere Ottaviano, che non intendeva rinunciare al suo desiderio di annettere l’Egitto a Roma. La battaglia decisiva fu combattuta ad Azio nel 31 a.C: Antonio fu miseramente sconfitto da Ottaviano e Cleopatra, invece di accorrere in suo aiuto, fuggì con la sua flotta. Antonio, ingannato dalla sua amata, si suicidò tra le sue braccia.
E a questo punto la donna tentò l’ultima carta, l’unica che l’avrebbe salvata, ovvero sedurre l’ultimo romano che poteva aiutarla a realizzare il suo sogno: Ottaviano, il quale però rimase del tutto indifferente al suo fascino e la fece prigioniera. A questo punto Cleopatra, per non subire umiliazioni, preferì morire da regina d’Egitto, l’ultima regina che nessun comandante romano avrebbe mai potuto esibire in trionfo. Seducente e sensuale fino alla fine, per togliersi la vita scelse di ricorrere al morso dell’aspide, simbolo del peccato ma anche animale protettore di Alessandria e simbolo del potere supremo. Bellissima la frase che Shakespeare le fa pronunciare al momento della morte: “chiudetevi, finestre delle ciglia, perché il Sole d’oro mai più non sarà contemplato da pupille così grandi”.
Ed è stato anche questo romanzato suicidio ad aver alimentato la leggenda di Cleopatra, leggenda che nei secoli ha affascinato scrittori, autori teatrali, musicisti e storici. Perché certe vite, uniche come sono, non smettono mai di affascinare e perché con Cleopatra si dimostra quanta verità c’è nel dire che all’origine di un grande evento c’è una sempre una donna.