"Mi dà gioia vedere la mia nipotina Verde che si aggira per la casa editrice con in mano un libro della collana Beccogiallo, classici della letteratura in versione ridotta e illustrata per i piccoli lettori. Una serie di libri che ho progettato più di trent’anni fa per mia figlia, oggi diventata mamma. Vedere la mia nipotina che li sfoglia e li guarda - è ancora piccola ma sa già indicare i personaggi delle storie - mi dà un senso di continuità che mi rasserena. Le mie gioie sono legate a tutto ciò che continua, si rigenera. La natura, che per me è fonte di ispirazione e di equilibrio, mi ha insegnato che gioie e dolori sono parte di un unico grande ciclo vitale. Per questo non faccio mai bilanci esistenziali, perché credo che tutto sia sempre in movimento, tutto cambia e muta continuamente. Nella vita professionale mi accade qualcosa del genere: quando ho preso in mano la casa editrice, nel 1990, ho sentito la responsabilità di essere parte di un progetto, nato da mio padre, che doveva continuare e mutare. Se mi guardo indietro - e lo faccio solo perché me lo sta chiedendo lei - vedo molta fatica, molte soddisfazioni, qualche solenne arrabbiatura, qualche errore ma alla fine un conto che torna. A differenza di molti editori storici, Mursia è ancora qua. Non abbiamo venduto, siamo sul mercato e, seppur con molte inevitabili mutazioni, continuiamo il progetto pensato da mio padre".
È stata definita l’ultimo grande editore italiano…
Le etichette non mi piacciono molto, anche se devo ammettere che questa un pochino mi gratifica, e vorrei aggiungere “indipendente”, sono un editore indipendente. Comunque per correttezza devo aggiungere che mi definiscono anche ruvida, poco socievole, controcorrente. Tutte definizioni che mi calzano a pennello, umanamente e professionalmente. Oggi essere un editore indipendente significa pubblicare anche contro le logiche del marketing e del mercato. Non lisciare il pelo al lettore, non tranquillizzarlo ma proporgli letture che lo obblighino a cambiare il punto di vista. Penso ad esempio alle nostre collane Tracce e Piccole tracce che hanno acceso i riflettori sulla filosofia antica come strumento di comprensione di sé e del mondo. Sembra una cosa da poco, ma se pensa al dilagare del sincretismo spirituale, alle filosofie fai da te che spesso hanno fatto disastri, riproporre Platone, Epitteto, Epicuro o gli stoici,radici della nostra cultura, è rivoluzionario.
Rappresenta la seconda generazione della Mursia: che cos’è cambiato rispetto alle origini?
Fuori dalla casa editrice è cambiato tutto, dentro la casa editrice sono cambiati gli strumenti ma non i fondamentali. Per essere più chiara, così come faceva mio padre, io leggo e valuto tutte le proposte che arrivano e decido cosa pubblicare; certo, ascolto i miei collaboratori e i miei consulenti, ma alla fine decido io. E le assicuro che molte volte pubblico libri che so benissimo che non si ripagheranno ma, se sono convinta che il loro contenuto abbia un valore, lo faccio lo stesso. Prenda ad esempio il Libro dei Deportati di Nicola Tranfaglia e Brunello Mantelli, stiamo parlando di un’opera monumentale in cinque volumi sulla deportazione nazifascista. Solo il primo volume è composto da due tomi di quasi duemila pagine con tutti i 24 mila nomi dei deportati politici italiani nei lager nazisti, tenga conto che avevo già pubblicato il Libro della Memoria con gli oltre otto mila nomi e schede biografiche degli ebrei deportati. Da imprenditore attento ai conti non avrei dovuto pubblicare quest’opera, ma sono un editore e so che questo studio è fondamentale per la comprensione dell’universo concentrazionario nazista. So che è, e sarà, una pietra miliare della storiografia. Quindi l’ho pubblicato. Oggi il mercato del libro è soffocato dall’iperproduzione, nei grandi gruppi editoriali comandano i manager che devono far salire i fatturati. A volte salgono i fatturati ma non gli utili per gli azionisti, ma questo è un altro discorso. Dal punto di vista editoriale, questo però significa che si pubblicano titoli come si buttano le fiches sul tavolo della roulette, sperando che almeno uno faccia l’en plein. L’editore invece deve essere un selettore, deve avere un progetto, una linea e deve essere coerente con essa. Non va bene tutto purché faccia fatturato. Almeno per me è così.
È stata membro dell’Assolombarda, membro del Cda dell’Università Statale di Milano, consigliere del Cda della Rai, membro del Comitato dei garanti per il 150° dell’Unità italiana: quali riflessioni farebbe su queste esperienze?
Ho capito da queste esperienze che non sono portata per la politica che ha logiche completamente diverse da quelle dell’impresa. Non credo ai tecnici prestati alla politica. Se uno fa davvero il tecnico, e io per esempio in Rai ho cercato di fare il mio mestiere e di dare un contributo in questo senso, finisce per entrare in rotta di collisione con il meccanismo politico che governa la cosa pubblica. Credo che la politica abbia bisogno di competenze specifiche. I tecnici possono dare un contributo in fase di progettazione e di comprensione dei fenomeni, ma il ruolo dei politici è quello di avere una visione della società nel suo complesso. Per essere più chiara: le imprese private, per definizione, non sono strutture democratiche; uno solo decide, tenendo conto del parere di altri certo, ma alla fine la decisione è dell’azionista. La società è invece democratica, e tutti gli interessi legittimi devono essere considerati e salvaguardati. L’imprenditore che fa il politico è un ibrido pericoloso.
Ha condotto un’appassionata battaglia per un’imprenditoria e un’editoria non condizionata dal sistema creditizio: qual è la situazione attuale?
Le banche sono oggi un fardello che pesa sull’economia italiana e sulle imprese. Ho pubblicato un libro recentemente, La riscossa degli imprenditori di Pompeo Locatelli, spiega molto bene come il sistema del credito sia irrimediabilmente inceppato e di come siamo passati a una nuova fase: prima le banche si limitavano a chiudere le linee di credito alle piccole e medie imprese mentre con l’altra mano finanziavano grandi gruppi per motivi squisitamente politici, oggi con gli interventi pubblici di salvataggio dei grandi colossi bancari le piccole medie imprese finiscono per pagare anche i debiti delle banche che non fanno più credito. Un sistema impazzito che nessuno sembra in grado di governare. La grande crisi finanziaria del 2008 non ha cambiato niente, siamo tornati esattamente al punto di partenza e credo che ci sarà un’altra esplosione a breve. La differenza è che le aziende medio piccole, quelle dove c’è un imprenditore e non un manager al comando, hanno imparato la lezione e, appena possono, delle banche ne fanno a meno. Io sicuramente.
Come è riuscita a difendersi dalle sempre più incombenti concentrazioni editoriali?
Grazie ai miei collaboratori e ai miei autori. Sono, anzi siamo, come gli Arditi della Prima guerra mondiale decisi a resistere ad ogni costo. Un po’ guerra di trincea e un po’ d’assalto. Ci difendiamo con tanta fatica e voglia di continuare a portare avanti un progetto indipendente. Io credo che l’editoria sia come la natura: più diversità significa più possibilità di evoluzione e di crescita. Il concetto di bibliodiversità mi piace molto e per questo cerco di fare la mia parte.
Ha detto che “L’editoria è mestiere femminile”: in che modo la mano e la mente femminile caratterizzano l’impresa editoriale?
Le donne sono meno invadenti. Una editor, ad esempio, non cerca mai di lasciare la sua impronta in un libro, lo lavora cercando di minimizzare i limiti e massimizzare i pregi. Sa stare alle spalle dell’autore e non davanti. Le donne sono maestre dell’arte del negoziato, sono più flessibili, sanno avere visione ed essere allo stesso tempo molto pratiche. Non dico che tutte le donne siano così, lo sono quelle che lavorano con me. Tutte molto giovani, molte mamme di bambini piccoli. Hanno un’energia senza limiti. Vere combattenti.
Pensa che le donne, oggi, siano consapevoli delle loro capacità e delle loro pecurialità?
Certo. L’unica rivoluzione che ha davvero cambiato il mondo è stata quella femminile. Una rivoluzione pacifica ma radicale.
Ci parli del progetto Mursia Passpartù, la libreria itinerante…
È stato un viaggio bellissimo quello che abbiamo fatto per un anno in giro per l’Italia con la nostra libreria itinerante: un tir che si apriva e diventava una libreria attrezzata di tutto, dall’impianto video a una mini sala conferenze. Un’iniziativa che ci ha fatto conoscere migliaia di nuovi lettori. Non è detto che non la riprenderemo, magari con un mezzo più piccolo perché devo ammettere che entrare con un Tir nelle città è bello ma logisticamente complicato.
In questi giorni Mursia ha annunciato l’accordo editoriale con RTL 102,5, la prima radio italiana. Questa alleanza tra libri e radio che obiettivo ha?
In Italia si legge poco e il numero di lettori è costante da decenni. Credo che sia necessario portare i libri fuori dal solito perimetro e andare alla conquista dei cosiddetti non lettori con nuove modalità, usando linguaggi nuovi. Dall’incontro con Lorenzo Suraci, l’editore di RTL 102,5 è nata al collana, Leggi RTL 102,5, che nasce dai contenuti della radio, dalle storie dei radioascoltatori. E allo stesso tempo cercherà di invitare alla lettura anche chi abitualmente non entra in libreria. Il nostro obiettivo è ambizioso, cambiare la percezione della lettura in questo paese, non più attività per pochi, ma occasione per molti di conoscenza, informazione e divertimento. Far diventare la lettura un gesto quotidiano e normale: è questa la nostra sfida.
Milano è una città amica del libro?
Molto. Qui sono nate grandi case editrici, qui è nata qualche anno fa la prima associazione di librai indipendenti, qui è nato Bookcity, un ottimo progetto di promozione della lettura che costa pochissimo e mette in rete tutta la filiera del libro sotto il coordinamento del Comune. Costi contenuti e massima resa. In questi anni, poi, Milano sta conoscendo una nuova età dell’Oro, tante iniziative pubbliche e private per la cultura che fanno bene all’economia. Sì, Milano è amica del libro.