Eraclito sosteneva che il tempo fosse un gioco splendidamente giocato dai bambini, secondo Romano Battaglia invece il tempo era come un fiocco di neve, scompare mentre cerchiamo di decidere di cosa farne, Charles Dickens lo paragonava a uno dei più antichi tessitori.
Le Geografie Temporali dell'artista georgiana Sophie Ko, per la prima volta a Bologna, alla Galleria de' Foscherari, sono il tempo dell'immagine. La mostra riflette su quello che il contemporaneo soffre, e cioè la mancanza di tempo e la sovrabbondanza di immagini, due poli opposti antitetici che mirano a sottolineare un bisogno, una necessità di ascolto dell'origine, di un'essenzialità perduta sotto i fasti di un logorroico e isterico capitalismo.
Quello che si chiede di accogliere con questa esposizione, è l'ascolto, il silenzio, la materia, la terra. Questa mostra vuole essere un viaggio nel naufragio dell'esistenza, ma non in senso nichilistico, anzi, quella alla quale siamo invitati, è una visione microscopica del senso della rinascita; il senso della dicotomia, della contraddizione, di essere inizio e fine in un continuum sinestetico.
I lavori esposti, sono composti da pigmenti puri e/o da ceneri derivanti da combustioni di immagini, solo Kaspar Hauser, è l'unico acquarello dove la dimensione figurativa viene recuperata. È proprio questo lavoro che fa da anello di apertura o chiusura a questo viaggio espositivo, il mito della figura di Kaspar Hauser, è una presenza umana minuscola, fragile, in balia di un silenzioso bianco, alla ricerca di una terra perduta o promessa, il mito moderno e romantico dell'uomo avvolto dalla totalità del cosmo ci orienta a una complessità stratificata, ardua, Kaspar Hauser diviene lo snodo di passaggio, il punto centrale delle clessidra, dove il corpo si affusola per permettere alla sabbia di passare. E allora il tempo sottile, scorre, passa, corrode, sfila, scivola, scappa da noi e insieme a noi, per altri luoghi, altre mete, altri spazi dove potersi compiere.
L'uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti, Terra e Stella polare, i titoli dei lavori, aprono e introducono chiaramente al significato della poetica dell'artista, una ricerca volta all'essenza vibrante della materia, alla costituzione più intima dell'uomo, Le geografie temporali della Ko sono storie epiche che stanno all'origine della narrazione, a un passo, un soffio, poco prima della parola. Le teche verticali contenenti le ceneri si dispongono allineate una a fianco all'altro, come un'eco. Solo con Atlanti la verticalità viene abbandonata per fare posto a una trasversalità aguzza, appuntita, serrata e decisa come nei profili della Scogliera sulla costa di Caspar David Friedrich. I riferimenti della Ko sono colti, dalla pittura sino alla letteratura, la maestosità tumultuosa di queste impronte nella polvere celebrano un'intensità pari ai versi di Rilke o alle sinfonie di Felix Mendelsshon, in particolare cito l'overture Die Hebriden Op. 26.
Le geografie mutano con il tempo e vertono sul concetto di limite, quello che intercorre tra visibile e invisibile, tra noumeno e fenomeno, tra dentro e fuori dal tempo. Le geografie temporali sono esse stesse tempo, tra concetto e spirito, contengono in sé contraddizioni e pluralità, sono esse stesse immagini, combustioni, resti delle stesse, per poi divenire eleganti fenici e rinascere come nuove immagini. "Che cosa resta delle immagini quando se ne è fatto scempio? Cenere e colore." Ci invocano ad avere cura della nostra cenere, in un momento di massima usura delle immagini, qui ci si interroga sul valore più alto e più ampio della visione.
Come afferma il curatore, Federico Ferrari in Finis initium, "la cenere è quel che resta, quel che ci resta", la Ko iconoclasta e iconofila allo stesso tempo, ci conduce sul filo del paradosso proprio di ogni costituzione dell'essere.
Come cavalieri düreriani nella sala delle tredici Geografie temporali di Terra ci troviamo avvolti e sopraffatti dalla profondità di essa, come anime osserviamo la caducità propria del guardare, dell'esperire, del vivere stesso, è come avere un punto privilegiato per osservare la fine, la cessazione, la consunzione, l'abrasione, la morte, come ultimo atto. Dal fondo del sepolcro, scalzi, rimiriamo e avvertiamo il sublime, l'enigma, l'impercettibile mutare del tempo che intraducibile, si traduce difatti con le crepe tra le masse di cenere e pigmento, come rughe, come corpi attraversati da rivoli di memoria, si fanno carne e sguardo frammentato, impalpabile. Le Geografie sono corpi e lembi di materia residuale, a metà tra la fantasmagoria e il reale.
"La materia, il colore, tracciano una - iconografia dell'invisto - come ribadisce Ferrari, è come se l'artista ci affidasse una mappa con l'unica istruzione di perdersi. E come il tempo gioca con la cenere, cambiandone forme e destini, come i bambini con la sabbia, anche noi giochiamo a perderci come Kaspar Hauser, naufraghi nella cosmogonica attitudine dell'arte.