Il 22 dicembre scorso ho speso in pochi minuti trecentotrentacinque euro in biglietti per concerti rock e pop. La notizia in apparenza può sembrare rilevante solo per il mio commercialista o per l’estratto conto della mia carta di credito, e non dubito che nella vostra testa stia già rimbombando un sonoro e comprensibile “ecchissenefrega?”. In realtà questa annotazione puramente contabile mi offre lo spunto per un paio di riflessioni, legate come sempre alla musica.
Comincio da quella positiva: ci aspetta una stagione di ottimi appuntamenti live, che a mio parere meritano un esborso, ovviamente proporzionato alle nostre tasche e alla misura delle nostre passioni. Le mie, com’è noto, sono smisurate, a differenza del portafoglio. Ad ogni modo ho frantumato il porcellino elettronico e conquistato due posti in prima fila per Leonard Cohen a Lucca, due biglietti per Nick Cave e uno per Neil Young & The Crazy Horse, sempre nello stesso scenario. Tutti concerti che si terranno a luglio, quando avremo la maglietta d’ordinanza al posto del piumino e del cappello di lana. L’antipasto sarà, di qui a meno di un mese, la gig di Glen Hansard nel piccolo Viper Theatre, alla periferia di Firenze.
Per chi vive in Toscana, come me, l’estate in arrivo sarà foriera di magnifiche occasioni. Cohen l’ho già ascoltato dal vivo due volte, negli ultimi due passaggi a Lucca e Firenze, ma ho sempre mancato il rendez-vous con Cave e Young, che pure stanno entrambi nei primissimi posti tra le mie preferenze. Due canadesi e un australiano ai quali, si dice, sempre a Lucca, dovrebbero aggiungersi gli scandinavi Sigur Ros (che non frequento moltissimo ma che andrei comunque a sentire) e, si vocifera, addirittura il signor Sting. A quanto pare gli organizzatori del Summer Festival hanno deciso di fare sul serio e di assicurarsi grandi nomi con larghissimo anticipo.
E qui si può innestare la seconda riflessione, assai meno positiva: se 89 euro (prevendita inclusa) per la prima fila in un concerto con gran parte del pubblico seduto (Cohen) si possono accettare, pur non trattandosi di una cifretta irrisoria, quasi 60 per un posto in piedi continuano a sembrarmi troppi, anche se Neil Young si è appena dimostrato in grandissima forma con Psichedelyc Pill. E non credo che la colpa si possa scaricare su chi organizza quel concerto o quel festival, perché in Italia per i grandi eventi i prezzi sono questi, e ricordo ancora il mancamento che ebbi quando mi dissero quanto costava un seggiolino lontanissimo dal palco per The Wall di Roger Waters, che ora si trasferisce dai palasport agli stadi, forse anche per contenere il prezzo e fare comunque un bel malloppo.
La spiegazione di questo caro-concerti è semplice, piuttosto nota, e ne avevo già scritto anche qui: gli artisti guadagnano sempre meno dalla vendita dei dischi, l’acquisto dei quali è ormai un’abitudine residuale (non certo per me, che supero di gran lunga i cento l’anno), e sono costretti (si fa per dire) a far cassa con le esibizioni sul palco. Non parliamo neppure della crisi dei negozi di dischi, che in Europa riguarda per esempio la Fnac e la Hmv (e che potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza del mio adoratissimo Fopp, il record discount britannico).
Si arriva dunque a questa contraddizione: il rock, una musica che dovrebbe essere accessibile a tutti per definizione, e che fin dai vagiti puntava ad abbattere le barriere sociali, è diventata, almeno per gli appuntamenti di maggior richiamo, una roba da ricchi, o come minimo sconsigliata ai precari e ai cassintegrati. E c’è una seconda stortura: i cd, che durano una vita, costano sempre meno, i concerti, che finiscono in due ore, sempre di più. Ma i primi si trovano su youtube, i secondi bisogna viverli di persona.
Per fortuna esistono alternative a questo salasso: scegliere gli artisti e le band emergenti o i rocker perennemente indie, che sono costretti a stare tra i 15 e i 30 euro se vogliono riempire un locale, e le occasioni non mancano. John Grant, il cui concerto fiorentino è stato uno dei più belli del mio 2011, farà tre date in Italia da 17 euro più prevendita e Glen Hansard mi è costato 22,77 prevendita inclusa. Sforando di poco questo budget si potranno ascoltare gli Eels all’Alcatraz di Milano (34,50) ad aprile. Se vivete in zona o potete andarci senza problemi durante la settimana, non perdeteveli.
Nella mia agenda dei concerti estivi, che certamente si arricchirà di varie date nei prossimi mesi, manca ancora all’appello il Ferrara sotto le stelle, il cui programma è in fase di elaborazione (primo nome: i Fun.). Intanto è fugato il timore che i danni prodotti dal terremoto (che costrinsero nel 2012 lo spostamento da piazza Castello a location alternative) potesse causare una cancellazione: il festival si farà, e c’è da sperare che porti, come al solito, molti dei nomi più cool della stagione. La lista degli ultimi due anni parla chiaro, citando al volo PJ Harvey, Bon Iver, John Grant, Johanna Newsom, Josh T. Pearson, Paul Weller, Soap&Skin, The National, Beirut, Cocorosie. Se ci sarete, ci vedremo in piazza.
Video: Glen Hansard, Love Don’t Leave Me Waiting