Diana Bracco, presidente di una multinazionale del settore farmaceutico, è cavaliere del lavoro ed è stata presidente di Assolombarda e di Expo 2015; ricopre importanti incarichi nel mondo della cultura milanese come membro del consiglio di amministrazione della Filarmonica e dell’Accademia della Scala e del Museo Poldi Pezzoli.
Come è arrivata a rappresentare la terza generazione della sua azienda?
Dopo il liceo classico al Parini di Milano, ricordo che avevo in mente di fare il medico, ma alla fine mi iscrissi a chimica a Pavia; una materia che mi appassionò subito e che poi mi è servita in tutti questi anni per capire l’importanza dell’innovazione scientifica e per dialogare con chi fa concretamente ricerca. Mio padre Fulvio era un uomo esigente. È stato lui a guidarmi sulla strada giusta, riservandomi peraltro una dura gavetta in azienda dove entrai 50 anni fa: dapprima al controllo di gestione, poi all’organizzazione, quindi nel ruolo di assistente alla presidenza. Per non parlare delle esperienze estere e nel mondo associativo a cui mio padre ha sempre dato molta importanza.
Nella conduzione dell'azienda si sono susseguite più generazioni: che cosa le ha contraddistinte?
Come dico spesso, le aziende familiari hanno qualcosa in più rispetto alle altre: un amore per l’impresa e per i suoi prodotti. Una linfa vitale, un’anima che dura nel tempo. Il passaggio generazionale è un momento delicato per ogni azienda e pertanto va preparato con grande cura. Noi abbiamo affrontato con successo i cambi generazionali assicurando la continuità dei nostri valori e abbiamo già in campo da anni la quarta generazione: Fulvio Renoldi Bracco, mio nipote, è a capo della business unit più importante del Gruppo. In quasi 90 anni ogni generazione ha portato qualcosa di nuovo: mio nonno Elio creò un’impresa commerciale, mio padre Fulvio realizzò un’industria integrata e io ho puntato fortemente su ricerca e innovazione e sull’internazionalizzazione del Gruppo che ora mio nipote sta sviluppando con nuove iniziative di marketing globale.
Poche donne sono riuscite, come lei, ad occupare posizioni di alta responsabilità: la strada femminile a incarichi dirigenziali è ancora in salita?
Nel mondo degli affari le donne hanno qualità vincenti come la capacità di fare squadra, l’intuito, la tenacia, la disponibilità all’ascolto, la concretezza, la voglia di non smettere mai di imparare. Anche per questo nessuna impresa può più rinunciare allo straordinario contributo delle donne sul cui potenziale si deve quindi investire, impegnandosi nella lotta contro ogni tipo di condizionamento e di discriminazione. Come diceva il grande poeta Rudyard Kipling: “L’intuizione di una donna è molto più vicina alla verità della certezza di un uomo”. Siamo vicine alla verità, ma il cammino per giungere al pieno riconoscimento non è ancora finito. Le donne rappresentano un formidabile motore di crescita in tutto il mondo. Sia nei Paesi in via di sviluppo sia nelle società più avanzate, infatti, l’impulso più importante alla crescita globale nel prossimo futuro verrà proprio dal lavoro femminile, che rappresenta un fattore decisivo. La nuova presa di coscienza delle donne in tutte le parti del mondo è anche una straordinaria leva di cambiamento sociale e politico. Nell’ultimo decennio l’incremento dell’occupazione femminile nei Paesi sviluppati ha contribuito alla crescita globale più dell’intera economia cinese. Il lavoro delle donne è un fattore decisivo di crescita perché garantisce più ricchezza alle famiglie.
La donna manager si trova anche a dover affrontare il suo rapporto col potere…
Una delle più grandi emozioni della mia vita, non solo professionale, è stata la mia elezione del 2005 a Presidente di Assolombarda – prima donna nella storia dell’Associazione delle imprese milanesi – col voto unanime di tanti illustri colleghi maschi. Con modestia, ma anche con orgoglio, dico che nel nostro Gruppo le donne dirigenti sono quasi il 20% e quelle che lavorano nella Ricerca e Sviluppo quasi il 50%. Per raggiungere questi obiettivi abbiamo messo in campo precise politiche per la conciliazione vita-lavoro e per le pari opportunità. Anche Fondazione Bracco ha del resto come fil rouge proprio la “gender question”, ovvero l’attenzione verso le problematiche femminili nei vari ambiti della vita sociale, economica, politica e scientifica.
L’ambito in cui lei opera comporta un delicato rapporto tra cura della salute ed esigenze di mercato: come è riuscita conciliare i due aspetti?
I principali prodotti del nostro Gruppo sono i mezzi di contrasto, medicinali utilizzati per migliorare l’accuratezza diagnostica dell’imaging biomedico. Dunque, la prevenzione è il nostro vero core business. Nei nostri quasi 90 anni di storia la bussola è rimasta sempre orientata ai bisogni clinici dei medici e dei loro pazienti. La sfida per noi è stata rendere fruibile l’innovazione e dimostrare di poter offrire un reale vantaggio nella prevenzione, nella diagnosi e nel monitoraggio della cura. Nei prossimi 10 anni la medicina cambierà completamente il suo paradigma ed evolverà sempre più dall’attuale medicina “reattiva” in una medicina “proattiva”, che interviene, prima che la malattia si sviluppi, sui fattori che la favoriscono o che la causano. Per queste ragioni la ricerca è essenziale e occorrerà investire sempre di più in innovazione.
“Ricerca e innovazione” sono alla base della sua attività…
La ricerca è il nostro passato e il nostro futuro. La nostra vita si basa sulle scoperte di ieri e si proietta nel domani grazie alle scoperte che verranno. Le scoperte dei ricercatori di oggi – in tutti i campi della scienza – cambieranno il nostro futuro. Resto convinta che fare ricerca sia il lavoro più bello del mondo e al tempo stesso il più difficile per l’incertezza dei risultati ai quali si tende. La costante attenzione alla ricerca e all’innovazione rappresenta una delle chiavi primarie per il successo e per la competitività di ogni singola azienda e dell’intero “sistema Paese”. La ricerca ha un ruolo strategico perché produce crescita e benessere: una considerazione sulla quale opinione pubblica, mondo politico e mass media si soffermano poco.
È stata presidente del’Expo: che bilancio ne farebbe?
Il mio compito nel progetto di questa grande Expo è stato di rappresentare l’intero sistema Italia. Una responsabilità enorme perché in qualità di Paese ospitante, il Padiglione Italia era il cuore della visitor experience degli oltre 21 milioni di persone che hanno affollato l’Expo e occupava un quinto dell’intero sito espositivo. Sono stati raggiunti obiettivi importanti: una moltitudine di visitatori soddisfatti ed entusiasti, un grande rilancio d’immagine del Paese, una straordinaria ricchezza di contenuti, la condivisione planetaria di temi cruciali, e tantissime opportunità offerte alle imprese e ai giovani, senza dimenticare l’enorme contributo che questo evento ha dato e sta dando al turismo, all’export, all’economia in generale. Con Padiglione Italia abbiamo davvero fatto goal: 266 le alte cariche istituzionali italiane e straniere che hanno visitato Palazzo Italia; oltre 2 milioni di persone hanno visitato la mostra “La Casa dell’Identità Italiana”; oltre 14 milioni hanno assistito agli spettacoli dell’Albero della Vita.
L’Expo si è rivelata un vero driver di sviluppo costituendo una straordinaria piattaforma di relazioni internazionali e di incontri B2B oltre che un grande attrattore di investimenti esteri. Avere avuto per sei mesi a Milano i buyer di tutto il mondo ha permesso di firmare accordi e contratti. È stata un’opera di semina che darà i suoi frutti nei prossimi mesi con effetti positivi su export e Pil italiani. L’Esposizione Universale del 2015 è stata anche una straordinaria opportunità per tantissime donne che vi hanno lavorato e che hanno partecipato al grande dibattito su questi temi. Un confronto che il progetto Women for Expo ha saputo innescare creando nel semestre a Milano una vera agorà globale. Il legame tra le donne e la nostra Expo era racchiuso nel titolo stesso “Nutrire il pianeta, energia per la vita”: la nutrizione, infatti, nella sua declinazione più profonda, è strettamente legata proprio all’universo femminile. C’è una familiarità naturale con il nutrire, il prendersi cura e il fornire energia alla vita che ha reso le donne protagoniste della grande Esposizione.
Milano, con la sua storia e la sua tradizione di dinamismo economico e culturale, può considerarsi ancora la “capitale morale” e il ponte tra Italia e Europa?
Milano è tornata al centro dell’attenzione del mondo. Milano è stata il “place to be” del 2015, come sancì il prestigioso New York Times. Grazie all’Expo la nostra Città è tornata ad essere una grande protagonista. Alle sue eccellenze tradizionali, come il design, la moda, il business e la ricerca, Milano è riuscita ad affiancare un patrimonio a tutto tondo, fatto di arte, cultura, cibo, architettura, proponendosi come città aperta e ospitale, moderna e solidale, in grado di accogliere il mondo con garbo, eleganza, gentilezza e ha contribuito così a rilanciare l’immagine internazionale dell’Italia intera. Ma quello che è stato definito il “Rinascimento” di Milano non è legato solo all’Expo. Penso alle nuove creazioni architettoniche che stanno modificando il volto di intere aree della nostra città, proiettandone il profilo nel futuro. Qui si sono sfidati archistar di fama mondiale per ridisegnare nuovi quartieri restituendo a Milano quel ruolo di pioniere e di luogo all’avanguardia che ha sempre avuto.
Dove ci condurrebbe per scoprire, respirare e gustare la vera milanesità?
Comincerei senz’altro da Palazzo Visconti, un vero gioiello nascosto nel cuore di Milano che ospita la Fondazione Bracco e che ha una storia davvero affascinante. Da questi cortili sono passati Mozart e Verdi. Qui venivano la nobiltà e la grande borghesia milanese: erano gli anni della belle époque. Ed era lo stesso Giuseppe Visconti, padre di Luchino, che scriveva i testi e dirigeva i commedianti nel Teatrino rococò del Palazzo a due passi da piazza San Babila. Da qui proseguirei in un percorso nel cuore di Milano all’insegna della musica e del liberty: il Conservatorio, per raggiungere il quale si passa di fronte al capolavoro liberty di via Bellini dell’architetto Campanini, e, dopo una sosta al Camparino in Galleria con i suoi bei mosaici di Angiolo D’Andrea, il Teatro alla Scala, cui sono legata da tanti magnifici ricordi familiari.